I limiti dell’attuale modello di sviluppo; la necessità di proporre in termini nuovi il rapporto tra scienza e politica e tra salute ed economia; l’esigenza di una concezione più moderna della città che rifletta anche il mondo interiore dei suoi abitanti: sono questi, tra gli altri, gli interrogativi, le risposte e gli spunti per la discussione che la nota di Lucio Bianco mette sul tavolo del dibattito sul futuro della città dopo la pandemia da coronavirus.
In Italia, la popolazione che vive nelle città ha superato, da molti anni, quella che vive nelle campagne, con un trend che coinvolge con ritmo incalzante tutti i Paesi, e in particolare molti di quelli in via di sviluppo, e che determina profonde conseguenze sociali, economiche e culturali. Attorno alle città si sono create aree degradate, dove l’agricoltura ha perso le sue funzioni e l’area urbana non ha acquisito (ancora) una fisionomia organizzata. In tema di pandemia, questo fenomeno ha sottratto ai cittadini quella via di salvezza verso la campagna che invece, nel corso dell’epidemia di peste che nel 1348 contagiò la città di Firenze, fu percorsa da cittadini in fuga, come ci racconta Boccaccio nel suo Decameron. Oggi la città è costretta a combattere la pandemia non fuggendo da essa, ma affrontandola strada per strada e casa per casa, senza la possibilità di opporle almeno il distanziamento fisico tra le persone. Anche Bianco ci ricorda che secondo le proiezioni ONU, nel 2050 due persone su tre vivranno in città: se il distanziamento fisico è considerato uno dei cardini della lotta alla pandemia anche nel futuro, occorre prepararsi per tempo per inventare qualcosa di nuovo che sia valido almeno nel 2050, considerato che l’obiettivo 11 dell’Agenzia ONU per lo sviluppo sostenibile, cioè di rendere le città inclusive, sane, resilienti e sostenibili nel 2030 mi sembra difficilmente raggiungibile allo stato attuale.
Nella sua nota, Bianco afferma che se la pandemia ha fortemente limitato la vita urbana […] ha anche fatto emergere nuove forme di aggregazione rese possibili dalla tecnologia di internet. L’autore non si limita a mettere in luce le vecchie e nuove criticità che la pandemia ha evidenziato impietosamente e drammaticamente, ma offre anche concreti punti di riferimento al dibattito che si intende sollecitare intorno all’argomento. Per quanto mi riguarda, desidero soffermarmi sull’affermazione di Bianco in ordine all’emersione di nuove forme di aggregazione rese possibili dalle moderne tecnologie digitali e che la pandemia ha in parte contribuito ad avviare. Non discuto l’affermazione perché è vera, ma vorrei, se ci riesco, aggiungere ad essa un’ulteriore connotazione di tipo sociologico, settore dove mi trovo a migliore agio rispetto a quello tecnologico. Mi ricordo un episodio tratto dalle mie letture giovanili che riferisco perché può essere considerato una buona introduzione alla domanda che farò a me e a chi vorrà partecipare al dibattito. Né la vicinanza fisica (in città è inevitabile) né un interesse comune (il buon funzionamento delle strutture urbane) sono elementi sufficienti perché gli abitanti della città costituiscano un gruppo in senso sociologico. Un insieme di persone davanti alla gabbia del leone allo zoo non costituiscono un gruppo nel senso che intendo dare al termine.
Esse hanno certamente lo stesso interesse e sono fisicamente vicine, ma non sono in comunione tra loro. Ma se a un tratto il leone uscisse dalla gabbia e quelle persone fossero costrette a rifugiarsi in un ricovero qualsiasi, si creerebbe una situazione di criticità che richiederebbe, per usare le stesse parole di Bianco, la messa in atto di strategie adeguate ad affrontarla. Ed allora sì che quelle persone potrebbero diventare un gruppo, nella misura in cui sarebbero consapevoli di un timore comune e di un obiettivo comune e a tal fine si distribuirebbero i vari compiti, come barricare le porte, sorvegliare le mosse del leone, chiamare i soccorsi, calmare i bambini che urlano spaventati e così via. Mi chiedo e metto in discussione: la pandemia, che certamente ha fatto emergere, come dice Bianco, nuove forme di aggregazione rese possibili dalla tecnologia di Internet, ha anche stimolato forme di aggregazione in cui tutti i cittadini si riconoscono solidali e si percepiscono come membri dello stesso gruppo sociale che partecipano alla realizzazione di interessi comuni?