Foto: Contrasto
Anche il 25 novembre 2023, nel dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’Università di Padova, come in molte realtà dell’ateneo, delle istituzioni locali, nazionali, internazionali, come in molte scuole, piazze, luoghi di lavoro, trasmissioni radiofoniche e televisive, social, posti reali e virtuali di vita delle persone, abbiamo pensato e realizzato iniziative per ricordare la Giornata mondiale contro la Violenza sulle Donne. Tutto come sempre e, come sempre, alle riflessioni, alle denunce, alle mobilitazioni è seguito qualcosa di triste, un sentimento di incompiutezza e di insoddisfazione, per il fatto di essere ancora lì, nello stesso punto: forse solo un passo più avanti ma, certamente, non vicini al traguardo. Un sentimento che, spesso, ci pervade anche nella giornata di oggi, l’8 marzo, anche se per motivazioni a volte diverse.
Solo una sensazione che poi passa, il giorno dopo o quelli che seguiranno, perché alcuni simboli restano: le scarpe rosse, le spille sulle giacche, la sedia con il drappo rosso all’ingresso del Dipartimento, simboli di una rabbia che chiede “rivoluzione”, un cambiamento che sopravviva allo svolgersi della vita che prevale e, rapidamente, sarà il prossimo 25 novembre.
Il 25 novembre 2023, però, diversamente da ogni anno, ha portato con sé qualcosa di profondamente diverso, rispetto agli anni precedenti: ha portato con sé una frattura, di quelle insanabili, che ha generato terrore ma, se ne saremo capaci, trasformazione. Poche settimane prima, una studentessa dell’Università di Padova, Giulia Cecchettin, è stata uccisa dal suo ex fidanzato, anche lui studente del nostro Ateneo. Questo fa la differenza, per molti motivi. Questa volta, la cronaca di un femminicidio, l’ennesimo, è vicina, ha toccato la nostra comunità accademica, la nostra Università il cui motto contiene la parola libertà, contrapponendosi in questo modo a qualunque tipo di legame vincolante, soffocante, mortifero, ma enfatizzando il valore della scelta, delle possibilità, della variabilità. Per esempio la libertà di dire “no” o di mettere fine ad una relazione.
Questa volta, in contrasto crudele con i dati della letteratura nazionale e internazionale sul femminicidio, i principali fattori di rischio sociale e culturale, che spesso vengono riscontrati, (apparentemente) non erano presenti o abbastanza evidenti: non si è trattato di ragazzi appartenenti ad ambienti socio-culturali disagiati, in contesti privi di risorse, nell’ambito di una condizione di malessere diffuso. Si è trattato di ragazzi che ci siamo affrettati a definire “normali” ben sapendo che di normale non c’è nulla nel venire uccise a 23 anni dal fidanzato che abbiamo deciso di lasciare.
Questa volta, Padova si è mossa, l’Italia si è mossa: allo stato stuporoso che i traumi generano in prima battuta, questa volta sono seguite le azioni. Abbiamo assistito a manifestazioni che hanno bloccato le nostre città, ad un funerale che gridava dolore, ad un movimento che fa pensare ad una reazione, come qualcosa che ha iniziato a stridere e che, forse, non è più possibile fermare.
Sono stati momenti traumatici, proprio come spiegano le ricerche: di fronte ad un’esperienza estrema e paradossale la mente si ferma, rimane immobilizzata dall’enormità del dolore e della sopraffazione e necessita di molto tempo e di molte cure prima di riprendere i suoi normali processi di funzionamento. Si tratta di una difesa, di un blocco, che serve a sopravvivere all’apice della sofferenza, ma che rischia di impedire la protezione e l’azione se qualcosa di riparativo non accade. Ma qualcosa è accaduto: in un giorno di quelle settimane ho ricevuto una mail, da parte di due giovani ricercatrici, che mi chiedevano un incontro per parlare di cosa avremmo potuto fare, e ho pensato “cosa mai potremmo fare in questa situazione così violenta che ci sta passando vicino, talmente vicino che una parola in più, una azione in più potrebbero persino essere pericolose …”. Invece una strada c’era. Una strada che, a prima vista, può apparire distante dalle azioni concrete, ma che è fondamentale perché è il punto di partenza per un cambiamento possibile: la strada dell’informazione e della formazione.
Conoscere, portare la conoscenza (le teorie, le ricerche, i dati) è una delle strade in grado di innescare processi di cambiamento nelle persone a qualunque livello culturale, sociale, generazionale. È anche una delle strade che abbiamo scelto nel nostro lavoro di ricerca, docenza universitaria, in quanto persone che credono nella scienza e nel suo potere trasformativo e rivoluzionario. E questa abbiamo intrapreso. Così abbiamo creato un gruppo dipartimentale di lavoro, composto da colleghi e colleghe che si occupano nelle loro attività di ricerca, docenza, clinica di violenza di genere, di discriminazione, di relazioni disfunzionali e patologiche. Il dipartimento ha una lunga tradizione di competenze in questi campi ma mai messe a sistema e per un tempo che non fosse l’evento specifico, l’appuntamento annuale.
È nato, invece, il bisogno di un progetto più ampio, che prevedesse almeno un anno di lavoro perché il tempo dell’impegno è essenziale “per non dimenticare”: questa è l’idea e questa è la proposta che da oggi inizia in collaborazione tra il dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione e Il Bo Live fino al 25 novembre 2024 e che vedrà il susseguirsi di una serie di articoli brevi, con cadenza quindicinale, sulla violenza di genere, trattata secondo diverse prospettive psicologiche attraverso i dati più recenti della letteratura nazionale e internazionale, le esperienze efficaci sul campo, le evidenze empiriche e cliniche. Il punto è: fare il punto. Mettere una lente di ingrandimento su tutto ciò che sappiamo ad oggi sul fenomeno della violenza di genere, fino all’estremo dei femminicidi, dei meccanismi ad essa sottostanti e degli interventi possibili (perché è possibile intervenire e farlo prima, non soltanto durante e dopo), con l’obiettivo di aprire un varco verso il cambiamento dei pensieri, degli atteggiamenti, dei comportamenti.
Gli articoli si susseguiranno secondo un ordine che condurrà i lettori in un percorso attraversando diversi aspetti e costruendo un insieme finale, il più possibile completo, dal momento che stiamo affrontando un focus complesso rispetto al quale esiste davvero molta ricerca, ma che non si esaurisce nelle conoscenze acquisite fin qui. Intanto partiamo, con una prima uscita simbolicamente nel giorno dell’8 marzo, Giornata mondiale della Festa della Donna, per proseguire tutto l’anno, consapevoli che queste ricorrenze sono importanti, ma ci riportano anche al fallimento per ciò che non abbiamo saputo fare e sono un monito al fatto che ancora le donne vengono discriminate, maltrattate, uccise.
Prima e successivamente al femminicidio di Giulia Cecchettin molte altre donne sono state uccise dagli uomini della loro vita, divenuti carnefici. La ricerca psicologica spiega molte cose sulle cause e sui processi ma può fornire anche strade per attivare politiche di prevenzione, intervento, cura per le bambine e i bambini, per le ragazze e i ragazzi, le donne e gli uomini di adesso e delle generazioni che verranno.