UNIVERSITÀ E SCUOLA

Spartito o improvvisazione? Il complesso ritorno del jazz a scuola

L’Italia è stata considerata per secoli il “paese del bel canto”, una sorta di terra miracolosa dove chiunque era dotato di una spiccata sensibilità musicale e di una straordinaria abilità canora. I musicisti italiani sono sempre stati presi in altissima considerazione nelle corti europee, erano anzi dei veri e propri trend setter della scena musicale internazionale. Basta aprire un qualsiasi spartito o manuale di teoria musicale e trovare parole come staccato, andante con moto e crescendo, a dispetto della lingua usata dal compositore. Eppure, da diverso tempo, questo orgoglio nazionale sembra essersi decisamente affievolito, in particolar modo sui banchi di scuola.


Una delle ultime polemiche proviene dai musicisti jazz, esclusi dall’insegnamento nei licei pubblici musicali da quasi un anno e mezzo. In seguito ad un articolo pubblicato su Repubblica, è stato proposto un question time al Senato, che ha sollevato molti dubbi e perplessità da parte dei jazzisti. Primo fra tutti l'intervento del ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, che ha proposto di inserire tutti i generi musicali nella disciplina-codice A-55, classici e jazz. Una manovra tutt’altro che soddisfacente per il Coordinamento nazionale per il ripristino del jazz nei licei musicali, che non farebbe altro che creare “un gran minestrone”.

"Il grosso del problema nasce da una questione burocratica" dice Alessandro Fedrigo, direttore della Big Band Unipd e membro del direttivo di MIDJ, l'Associazione Italiana Musicisti di Jazz. "Quando sono nati i licei musicali, uno studente poteva chiedere un percorso didattico che prevedesse l'insegnamento del jazz, in maniera tale da proseguire i propri studi al conservatorio ed ottenere tutte le abilitazioni del caso. In seguito alla riforma La Buona Scuola, ai docenti che insegnavano le materie jazz non è più stato consentito di accedere alle graduatorie per i licei musicali. Si è andato a creare un duplice vuoto: da una parte musicisti che non hanno più potuto insegnare le proprie materie, mentre dall'altra molti studenti si sono ritrovati con un percorso didattico interrotto di punto in bianco.

Il ministro sembra non aver compreso a fondo dov’è il problema. Non si può reintrodurre il jazz ed affidarlo ad un docente di musica classica. La didattica del jazz è differente, è più vicina alla musica moderna ed ha un approccio decisamente più creativo. In generale un jazzista è meno vincolato, è un musicista più aperto che ha avuto diverse esperienze e ha suonato con molti altri professionisti provenienti dai contesti più disparati, e può portare un gran numero di esperienze ed un diverso approccio ai suoi studenti. Bisogna dare il giusto valore alle competenze: un insegnante classico non può essere sufficientemente preparato in jazz, così come un jazzista non può essere sufficientemente preparato in musica classica."

La didattica del jazz è differente, è più vicina alla musica moderna ed ha un approccio decisamente più creativo. Alessandro Fedrigo

Sarebbe più sensato tenere questi due percorsi su dei binari paralleli o dare invece l'opportunità agli studenti di seguire entrambi i percorsi?

"Secondo me questi insiemi relativi ai generi musicali hanno poco senso e in futuro ne avranno sempre di meno: stiamo tralasciando tutto il repertorio della popular music, come il rock, il blues o anche la musica elettronica. Senza parlare poi della musica etnica, il folk, il flamenco, la musica araba: sono tutti linguaggi incredibili. La soluzione ideale sarebbe affiancare due o più percorsi, dando la possibilità al liceale di entrare in contatto con più realtà possibili e specializzarsi solamente in seguito. È fondamentale esplorare tutti gli aspetti della musica, ma si può farlo solamente con dei docenti qualificati provenienti da diverse realtà, che sappiano stimolare gli studenti dandogli i giusti strumenti.

Cantante e bassista, Esperanza Spalding ha scelto di declinare il proprio jazz in una matrice decisamente più "pop".

Anche il professor Luigi Berlinguer, presidente del Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica per tutti gli studenti, nonché ex ministro della Pubblica Istruzione, assume le stesse posizioni di Alessandro: “Prima di tutto, l’esclusione del jazz è un grave errore culturale, perché quando si parla di musica non si può tener conto che il complesso del patrimonio musicale è formato dalla musica classica o colta, dal jazz e dalla popular music. Quest’ultima è entrata solo recentemente in alcuni conservatori a livello di un insegnamento qualificato, di ricerca e di studio.

Questi stili vanno tutti e tre considerati senza discriminazioni all’interno dell’ambiente scolastico. Fanno tutti ugualmente parte del grande patrimonio culturale e musicale a livello globale".

La scuola non può solamente istruire ed educare, deve prestare la dovuta attenzione anche al dato creativo ed emotivo dell’educazione. Luigi Berlinguer

Quindi secondo lei è importante riportare il jazz nelle scuole?

“È fondamentale. Ciò che caratterizza maggiormente il jazz è il rapporto che c’è fra improvvisazione e composizione. L’improvvisazione ha di per sé una natura fortemente creativa, molto simile all’attività di apprendimento dello studente. Nella scuola il protagonista non è solamente il sapere, ma anche l’apprendimento del sapere. La costruzione in ogni essere umano del proprio itinerario verso il sapere, che in passato era sottovalutato rispetto all’insegnare, nasce con un’idea propria, con una vera e propria invenzione. Chi apprende ha un ruolo creativo che è molto simile all’improvvisazione, e sono convinto che molti studenti beneficerebbero da questo tipo di insegnamento.

Quello che mi preme dire è che la scuola non può solamente istruire ed educare, deve prestare la dovuta attenzione al dato creativo ed emotivo dell’educazione, non solo al dato conoscitivo. Questo principio sarebbe sicuramente stimolante per una scuola diversa, costruita sul processo di apprendimento e non sul puro nozionismo, dove il rapporto che la conoscenza ha con l’emozione è altrettanto importante.

Ribadisco però l'importanza di conoscere e studiare tutti i generi musicali. Se si potesse fare in modo, trovando la soluzione tecnica, per cui la musica fosse presentata nella sua interezza, in tutti i suoi stili, questo non solo favorirebbe l’accesso alla stessa, ma permetterebbe anche agli studenti di scegliere un percorso in base alle proprie inclinazioni. Non si insegna solamente filosofia materialistica, idealistica, ma l'insieme della filosofia. Per lo stesso motivo non dovremmo discriminare dei generi musicali rispetto ad altri. Non dobbiamo fare una scelta di una parte di sapere, la scuola deve presentare tutto, distinguendo ovviamente fra i diversi soggetti."

Keith Jarrett, considerato il più grande improvvisatore della storia del jazz, è anche un grande interprete di musica classica.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012