UNIVERSITÀ E SCUOLA

Le università, obiettivo privilegiato dei governi autoritari 

La missione di SAR è proteggere docenti, ricercatori e altri membri delle comunità accademiche; e coltivare la cultura dei valori dell’università, il rispetto per la libertà accademica, l’autonomia istituzionale e la responsabilità sociale. La rete opera per proteggere, all’interno delle società e delle comunità, spazi di pensiero e riflessione, perché la conoscenza si sviluppi liberamente e senza paura.

In tempi d’instabilità politica, quando milioni di persone rischiano la vita per fuggire dall’oppressione, è bene ricordare che fra questi ci sono molti studiosi e studenti. Al tempo stesso, vediamo crescere nel mondo le pressioni esercitate sulle università e le istituzioni di alta formazione. Questo non dovrebbe meravigliare: le università sono sempre state obiettivo privilegiato di governi oppressivi, regimi militari, colpi di stato e fazioni politiche. Le università dovrebbero essere luoghi dedicati al confronto fra pensieri e prospettive diverse, luoghi in cui si pongono domande e si definiscono i contorni del futuro. Per questo esse vengono viste con ostilità da parte di coloro che non amano si facciano domande; quanti temono la contingenza degli eventi futuri, e preferiscono la certezza della forza bruta.

Nel contesto attuale, appare evidente e grande la necessità del lavoro di associazioni quali Scholars at Risk. Dalla sua fondazione, nel 2000, più di 900 accademici hanno trovato, grazie a questa rete, accoglienza, riparo e la libertà di proseguire le loro attività educative e di ricerca. Oltre 3000 studiosi e studiose hanno potuto giovarsi del sostegno e dell’appoggio di Scholars at Risk. Ogni anno cresce il numero di quanti si rivolgono alla rete in cerca di sostegno. Quest’anno abbiamo ricevuto quasi il doppio delle domande di aiuto, rispetto allo scorso anno; e abbiamo accompagnato e fornito consulenza al più grande numero di docenti dalla nostra fondazione. Anche se la rete di Scholars at Risk è cresciuta in ampiezza e capacità di intervento – oggi sono 460 le università che ne fanno parte, in 35 paesi del mondo – dobbiamo fare di più.

Nonostante la severità delle sfide alla libertà accademica sia variabile, la portata di tali sfide è globale. Solo nelle scorse settimane, abbiamo assistito ad una serie di situazioni gravi. Ad esempio la proibizione, per il professor. Feng Chongyi di lasciare il suo paese, la Cina, per recarsi in Australia, dove ha un incarico presso la Sydney University of Technology. Feng ha visto rifiutata la richiesta di uscire da suo paese sulla base del sospetto che egli possa rappresentare un ‘pericolo per la sicurezza dello stato’. Questo perché le sue attuali ricerche riguardano la crescita di consapevolezza civica e il ruolo delle forze democratiche in Cina.

Abbiamo anche assistito alla sentenza a dieci anni di prigione per l’economista Nasser bin Ghaith, degli Emirati Arabi Uniti, a causa di attività pacifiche, fra le quali l’aver postato su Twitter commenti che esprimevano, pacificamente, un aperto criticismo nei confronti della situazione dei diritti umani nel suo paese e in Egitto; e la richiesta di maggior rispetto per diritti fondamentali, libertà e accountability da parte di entrambi i paesi.

Nel frattempo diversi college negli Stati Uniti cercano di bilanciare libertà di espressione e sicurezza, ad esempio quanto relatori controversi intervengono nei campus, come è recentemente avvenuto presso la Alabama Auburn University in occasione di una presentazione da parte di Richard Spencer, bianco nazionalista, che ha portato a proteste, arresti e violenze. Mentre nel cuore dell’Europa centrale, il parlamento ungherese ha adottato nelle scorse settimane una legge che renderebbe praticamente impossibile a una istituzione riconosciuta internazionalmente come un centro di pensiero indipendente e critico, quale è la Central European University, la possibilità di operare nel paese. Pochi giorni dopo l’adozione della legge, più di 70.000 persone hanno sfilato per le strade a sostegno di questa istituzione. 

E non possiamo dimenticare le azioni repressive adottate nei confronti del settore educativo in Turchia, dove migliaia di docenti sono stati costretti a rassegnare le dimissioni o direttamente licenziati, sottoposti a sospensione e detenzione, in una situazione che ha colpito migliaia di individui, nel paese e all’estero, e che mette in serio pericolo il futuro della formazione superiore della Turchia.

Questi esempi, ai quali se ne potrebbero accostare molti altri, ci ricordano che il lavoro per promuovere e proteggere la libertà accademica non è qualche cosa di astratto, né qualche cosa che avviene fuori di contesti specifici. Esso riguarda il mondo reale, situazioni concrete che coinvolgono persone e istituzioni ogni giorno.

Alla luce di queste pressioni epocali su studiose e studiosi, e sulle comunità accademiche, Scholars at Risk invita le università italiane ad unirsi alle proprie attività. Ad esempio facendo pressione a favore di studiosi incarcerati, invitando tali studiosi a parlare nelle proprie sedi, partecipando al progetto di monitoraggio della libertà accademica, ospitando un ricercatore o una ricercatrice, anche temporaneamente, per consentire loro di portare avanti il loro lavoro di ricerca in condizioni di sicurezza. 

Sinead O’Gorman

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