SOCIETÀ

La Resistenza a Padova secondo Francesco Feltrin

Pubblichiamo la prefazione, scritta dalla storica Chiara Saonara, de “La lotta partigiana a Padova e nel suo territorio” di Francesco Feltrin (a cura di Barbara Feltrin e Annita Maistrello, con un saggio di Angelo Ventura, editore Cleup). Un’opera monumentale frutto di decenni di studi, che in tre volumi e oltre 2.400 documentatissime pagine offre un quadro di un’ampiezza e di una definizione inedite, oltre che difficilmente ripetibili, sulla storia della Resistenza in una grande città italiana.

Queste fittissime pagine sono qualcosa di più di una precisa quanto minuziosa storia della Resistenza padovana, che credo non abbia eguali nel panorama della storiografia per ampiezza e profondità. Sono anche lo specchio della vita di un uomo, delle sue scelte politiche, della sua volontà di cercare, di capire, di spiegare, di condividere.

Francesco Feltrin è stato un giovane partigiano di una formazione di Giustizia e libertà, costola del Partito d’azione, un partito, com’è noto, durato poco più del tempo breve e forte della Resistenza. Qualche anno dopo Feltrin è entrato in consi­glio comunale a Padova nelle file del Partito socialista, in cui erano confluiti alcuni dei più importanti esponenti del Pda. Fra gli altri aveva aderito al Psi anche Egidio Meneghetti, che della Resistenza veneta era stato “l’anima e il braccio”.

Con gli anni, il maestro Francesco Feltrin si era anche laureato con una tesi sulla Resistenza. Giunta anche per Padova la stagione politica del centrosinistra, divenne assessore, riuscendo ad offrire alla città alcune delle più importanti mostre che siano state ospitate al Salone. Entrò poi in Consiglio regionale e durante la sua attività alla Regione non a caso vide la luce quella famosa Legge 51 che per anni ha finanziato istituzioni culturali del Veneto permettendo attività editoriali, mostre, rappresentazioni per promuovere conoscenze e cultura nel territorio. Dalla metà degli anni Sessanta, per circa venticinque anni Feltrin lavorerà come segretario all’Istituto veneto per la storia della Resistenza (ora Centro di Ateneo), fondato all’Università di Padova da Egidio Meneghetti, Concetto Marchesi, Gino Luzzat­to, Sebastiano Giacomelli, Mario Saggin, Enrico Opocher – cioè dagli esponenti più importanti dei partiti antifascisti – allo scopo di raccogliere, salvaguardare, studiare e mettere a disposizione degli studiosi il ricco patrimonio di documenti relativi al periodo dei venti mesi della Resistenza e dell’anno successivo, che vide le amministrazioni comunali affidate agli uomini che avevano combattuto e sconfitto il fascismo e il nazismo.

Ancora prima di diventarne il segretario, comunque, Francesco Feltrin aveva collaborato, con la sua conoscenza di uomini e luoghi, alla costruzione dell’archivio dell’istituto, che ha continuato a incrementare per decenni recuperando documenti, fogli clandestini, volantini, manifesti. Un impegno silenzioso e gratuito che ha portato all’archivio dell’Istituto migliaia di documenti che riempiono più di 400 buste.

Fu un lavoro certosino di raccolta e descrizione, ricerca e documentazione: fa­ticose e intelligenti indagini, una caccia paziente e sistematica volta ad individuare luoghi e persone che ancora conservavano ‘carte’; una delicata e non sempre facile opera di convincimento a lasciare quelle carte – in cui molti partigiani, e diversi loro eredi, vedevano quasi un fulcro della loro vita – a una istituzione che le con­servasse e le valorizzasse.

Per anni ancora, dopo il pensionamento, Francesco Feltrin ha studiato quelle carte. Ne erano già nati alcuni piccoli saggi, pubblicati dall’Associazione degli ex consiglieri regionali nei volumi dedicati all’attività della Resistenza nella regione.

Ma non potevano bastare, quelle pagine, a illustrare, a far conoscere davvero tutta l’azione resistenziale a Padova.

A questo ulteriore lavoro, lungo e non finito (la storia qui pubblicata arriva agli inizi del 1945, mancano quindi gli ultimi mesi, quelli della ripresa primaverile e della liberazione), Francesco Feltrin si è dedicato per oltre quindici anni.

Ha schedato centinaia di libri – praticamente tutto quanto era stato edito sulla Resistenza nel Veneto – e migliaia di documenti: non solo quelli conservati nell’ar­chivio del Centro, ma anche quelli provenienti da archivi di Stato, comunali, dio­cesani, oltre alle carte dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di libera­zione di Milano. A questa voluminosa documentazione Feltrin aggiunse lo studio dei documenti che l’Istituto andava acquisendo da istituzioni tedesche a Friburgo, Coblenza e a Monaco di Baviera, relativi all’occupazione tedesca, a di quelli del Ministero della guerra inglese conservati a Kew presso il Public Record Office, relativi alle missioni alleate nella regione.

Un lavoro di lettura, schedatura, confronto assiduo e instancabile. Chi scrive può testimoniare, per averlo visto all’opera, che Francesco Feltrin non licenziava pagina se prima non aveva confrontato e fatto dialogare tra loro una molteplicità di documenti. Non dava niente per scontato, tanto meno il racconto degli accadi­menti più cruciali di quel periodo.

La Resistenza veneta non ha avuto il posto che le sarebbe spettato nelle prime storie generali di quel periodo, forse anche perché i primi ad occuparsene – come Giorgio Bocca o Roberto Battaglia – appartenevano ad altre regioni, il Piemonte, la Lombardia, la Liguria, e non conoscevano dunque il nostro territorio. In verità, essa appare trascurata anche in storie della Resistenza assai più recenti e altrettanto rilevanti, da Claudio Pavone a Santo Peli, in cui il singolarissimo ruolo dell’Uni­versità di Padova nell’organizzazione della Resistenza – anche armata – appare

spesso trascurato, nonostante i ripetuti, puntuali richiami delle ricerche di Angelo Ventura.

Il Veneto si è trovato infatti ad essere, tra il 1943 e il 1945, uno dei luoghi cru­ciali per l’occupante nazista e per gli Alleati. Stretto tra Zone di occupazione tede­sche – dal Trentino a Trieste, divenuti Lander governati da Gauleiter –, unica via diretta per il Reich attraverso Valsugana e Tarvisio, zona di confine con l’esercito di liberazione jugoslavo, di matrice comunista titina ma ben rifornito dagli angloame­ricani, il Veneto ha conosciuto un’occupazione tedesca particolarmente violenta, la proliferazione delle forze neofasciste della Repubblica di Salò, l’attenzione, non sempre benevola, degli Angloamericani sospettosi sui rifornimenti ai partigiani. Padova si è trovata al centro dell’attività di resistenza, con la sua Università in pri­ma linea, i giovani (e i meno giovani) che vi confluivano in cerca di una guida. A Padova il Partito comunista aveva stabilito la sede del Triumvirato insurrezionale per il Triveneto; a Padova, mai troppo fascistizzata, si stabilì nell’autunno del 1944 il famigerato gruppo di violenti fascisti toscani noto col nome di “banda Carità”. Al palazzo del Bo, qualche giorno dopo l’occupazione seguita all’8 settembre era nato il Comitato di liberazione nazionale per la regione, che rimase attivo in città, tranne un breve periodo tra il dicembre 1943 e il febbraio successivo, fino alla Liberazione.

Dunque Padova meritava un’attenzione particolare. A questo compito si è de­dicato Francesco Feltrin, con la sua esperienza diretta di partigiano e di politico di lungo corso, ma sempre attento a non far prevalere le sue idee e i suoi valori su quanto raccontava. Questo non significa che la sua sia una narrazione neutrale. Non mancano i giudizi, anche duri, non manca nemmeno qualche sassolino che si è tolto volentieri dalle scarpe (soprattutto nei confronti di certi uomini di chiesa o del Partito comunista): ma giudizi e sassolini sono dichiarati, non confusi con il racconto dei fatti, diventano riflessioni amare anche sul ‘dopo’ e sono spesso sotto­lineati dai punti esclamativi (che le curatrici, correttamente, hanno lasciato) a dare la misura di quanto Feltrin continuasse a indignarsi e a denunciare.

Un racconto della Resistenza padovana che non perde di vista lo scopo, pur nella molteplicità delle informazioni che l’autore non ha voluto trascurare. Infor­mazioni, peraltro, precise e preziose, sulle persone coinvolte in ogni fatto, fossero partigiani, fascisti o tedeschi: precisazioni che potrebbero sembrare perfino ecces­sive, ma permettono una conoscenza senza ombre – finalmente, si è tentati di dire – di quanto accaduto.

Ci sono, nel corso della narrazione, alcuni momenti che risaltano per l’impor­tanza e la conseguente attenzione data loro: per citarne solo alcuni, i sanguinosi scontri dell’estate del 1944 e la rappresaglia del 17 agosto, in cui furono uccisi in città Luigi Pierobon e Flavio Busonera; gli arresti del novembre 1944, che coin

volsero il Triumvirato insurrezionale del Partito comunista e molti dei suoi più importanti esponenti, e che inflissero gravi danni all’organizzazione resistenzia­le nel suo complesso, e portarono a vivaci e pericolose polemiche interne al Pci; gli arresti del gennaio 1945, che travolsero il Comitato di liberazione regionale colpendo Egidio Meneghetti e Giovanni Ponti dopo l’uccisione in pieno centro città di Otello Pighin, e che furono all’origine di una diversificazione nella stessa struttura del Comitato. A questi accadimenti, le cui cause – defezioni? tradimenti? disfunzioni organizzative? – non sono mai state del tutto chiarite, Feltrin dedica dunque un’attenzione e un impegno di analisi del tutto particolari, avanzando poi fondate ma caute ipotesi interpretative, ma sempre sottolineando che, appunto, di ipotesi si tratta.

La Resistenza a Padova per i diciassette mesi dal settembre 1943 al febbraio 1945 trova in questo libro una sua narrazione che probabilmente non potrebbe essere più completa. Va aggiunto che l’autore ha voluto anteporvi uno studio ac­curato sulla situazione sociale, economica, politica della città dai primi del Nove­cento all’inizio della seconda guerra mondiale, che occupa buona parte del primo volume: si tratta di un ampio affresco, anzi un minuzioso ritratto della città prima e dopo il ventennio fascista, con le sue graduali trasformazioni demografiche, urba­nistiche e politiche, dagli anni del blocco nazionale a quelli di apparente “consen­so” e reale “apatia” degli ultimi anni del regime. Una città che proprio nella lotta di liberazione combattuta da donne e uomini, da studenti, operai, insegnanti, preti, cittadine e cittadini desiderosi di ‘fare qualcosa’ per riconquistare la libertà, aveva trovato e riconosciuto una speranza per il futuro.

Chiara Saonara

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