SCIENZA E RICERCA

Il suono torna alla luce

Nei pochi minuti necessari a leggere questo articolo, la conoscenza umana registrerà l’irreversibile e silenziosa perdita di circa cinquecento ore di registrazioni di musica, suoni, voci, testimonianze di vita passata: un’erosione della memoria collettiva dovuta alla fragilità fisico-chimica dei supporti sonori, che hanno un’aspettativa di vita molto più breve – pochi decenni al massimo – di altri beni culturali, per esempio dipinti o libri, il cui degrado è misurabile in secoli o millenni. Compact Disc masterizzati solo dieci o quindici anni fa cominciano a non essere più leggibili: questa esperienza sarà capitata anche al più fortunato tra noi. 

Contemporaneamente, non possiamo trascurare che il documento sonoro presuppone una mediazione: al contrario di quanto avviene con un quadro o un libro cartaceo, per ascoltare una registrazione dobbiamo avere uno strumento idoneo e in buono stato, oltre che l’abilità di farlo funzionare. Pochi hanno grammofoni in grado di ruotare dischi 78 volte al minuto, o fonografi per leggere cilindri di cera o di celluloide, o magnetofoni per nastri magnetici a un pollice con otto o sedici tracce, o filofoni per registrazioni su filo d’acciaio. Tutti questi strumenti non sono più in produzione, quindi non è possibile acquistarne di nuovi; inoltre, la riparazione dei sistemi esistenti diventa più difficile anno dopo anno per mancanza di ricambi e di competenze tecniche. E nel mondo digitale i problemi aumentano, a causa della maggiore complessità della tecnologia utilizzata. Per ovviare a queste difficoltà, gli archivisti devono fare ricorso a tecniche di conservazione passiva (cura dei supporti) e attiva (trasferimento delle informazioni nel dominio digitale) del patrimonio culturale sonoro.

Un magnetofono virtuale su tablet come interfaccia culturale per l’accesso filologico alle copie conservative. (Immagine: Csc)

Per quanto riguarda la conservazione passiva, una specifica metodologia scientifica di analisi e di intervento è stata messa a punto a Padova presso il centro di Sonologia computazionale (Csc) del dipartimento di Ingegneria dell’informazione, assieme al dipartimento di Ingegneria industriale – settore chimico. Esistono infatti sindromi note da tempo (per citarne una, la Soft Binder Syndrome – Sticky Shed Syndrome, Sbs-Sss, che interessa tutti i nastri magnetici), il cui trattamento viene solitamente eseguito dagli archivisti solo sulla base dell’esperienza, senza un protocollo validato scientificamente. Questo comporta un enorme rischio per i documenti sonori, che possono essere irrimediabilmente danneggiati se non maneggiati correttamente. La cura definita dal Csc si basa invece su trattamento termico, che è in grado di contrastare efficacemente gli effetti della Sbs-Sss. Sono stati definiti protocolli anche per la rimozione delle polveri o delle muffe, per il miglioramento dello stato di tensione dell’avvolgimento del nastro sulla propria flangia, e per il controllo delle giunte spesso effettuate con nastro adesivo sul nastro. 

Se una corretta conservazione passiva può allungare la breve vita di un supporto sonoro, la sopravvivenza a lungo termine delle informazioni in esso contenute è però possibile solo tramite la conservazione attiva: con essa si rinuncia alla materialità del supporto, riversando l’audio su nuovi dispositivi. Trasferire l’informazione da un medium a un altro (ri-mediazione) è un’operazione scientificamente e culturalmente complessa, che ha come fine quello di produrre un archivio autorevole, accurato, affidabile a lungo termine. Oggi gli archivi sono digitali: per ottenere un oggetto digitale che rappresenti un documento sonoro in maniera efficace e completa (copia conservativa) è necessario un approccio scientifico, una nuova filologia digitale per i documenti sonori. 

Nastro magnetico affetto da polvere e muffa. Senza un adeguato trattamento chimico preliminare alla lettura del nastro, l’informazione acustica registrata andrebbe irrimediabilmente perduta (Foto: Csc)

Applicare in chiave digitale la filologia per studiare i documenti audio ai fini della ricostruzione della forma originaria del tessuto sonoro di una registrazione, significa minimizzare la perdita di informazione durante il trasferimento nel dominio digitale del documento analogico, così da garantire l’autorevolezza del preservation master; questo implica che deve essere copiato non solo il segnale audio, ma anche tutte le informazioni relative al supporto (custodia, allegati) e alle sue corruttele. Tutti i passaggi di ogni operazione effettuata durante la copia devono quindi essere registrati, tramite documentazione fotografica o, meglio, video. Il ruolo dei metadati nella conservazione a lungo termine è fondamentale: se fossero incompleti o inadeguati, e l’originale divenuto inaccessibile, il documento sonoro così come l’autore l’aveva inteso sarebbe perduto per sempre.

Un altro aspetto di primaria importanza nella conservazione attiva è quello dell’accesso: dalla fine del XX secolo si è infatti consolidata l’idea che conservare significa non solo copiare le informazioni, ma anche renderle disponibili. Fortunatamente, l’informatica rende semplice ed economico dare ampio accesso alle informazioni digitali, grazie a interfacce scheumorfiche per l’accesso ai documenti sonori, che non solo consentono l’accesso all’audio e ai metadati, ma recuperano l’esperienza di utilizzo di alcuni strumenti d’ascolto originali (grammofono, magnetofono) con la massima fedeltà possibile. Queste interfacce, create anch’esse dal Csc, sono delle vere e proprie interfacce culturali per l’accesso filologico ai preservation master. Sono state sviluppate per browser web, e recentemente anche per strumenti mobile (tablet, smartphone). Questi strumenti saranno a breve in grado di recepire i più interessanti risultati nel campo dell’information retrieval: una più efficace ricerca dei contenuti sulla base di melodie accennate dall’utente con la propria voce (query by humming) o di esempi sonori tratti da altri documenti audio (query by example).

Queste innovazioni concorrono a definire una metodologia completa e innovativa per la conservazione, il restauro e l’accesso alle memorie sonore: da un lato l’introduzione sistematica di analisi chimico-meccaniche che aiutano a individuare i trattamenti di restauro più opportuni, nella completa salvaguardia del supporto sonoro, dall’altro l’elevato grado di automazione dei processi di conservazione, restauro e valorizzazione ottenuti grazie a strumenti software appositamente sviluppati. Innovazioni che hanno subito riscosso l’interesse dei più importanti archivi internazionali (come il Centro Studi Luciano Berio, il Paul Sacher Stiftung di Basilea, l’Arena di Verona, la Scuola Normale di Pisa) che si sono già rivolti all’università di Padova per le attività di conservazione attiva e passiva dei loro patrimoni sonori. 

Carlo Fantozzi

Sergio Canazza

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012