SOCIETÀ

Cop25: abissale distanza tra movimenti per il clima e stanze del potere

Alla vigilia della Cop25 di Madrid il segretario generale dell’Onu António Guterres si aspettava una forte dimostrazione di azione per il clima (#climateaction): “i leader di tutti i Paesi devono mostrare affidabilità e responsabilità” aveva scritto in un tweet. “Qualsiasi cosa in meno di questo sarebbe un tradimento di tutta la famiglia umana e di tutte le generazioni a venire”.

Stando alle parole dello stesso Guterres a conclusione dell’assemblea, quel tradimento si è cinicamente consumato: “la comunità internazionale ha perso un’importante opportunità di mostrare una crescente ambizione nell’affrontare la mitigazione, l’adattamento e gli aspetti finanziari legati alla crisi climatica”.

L’avvio della venticinquesima conferenza delle parti era già stato claudicante, con lo spostamento in extremis della sede ospitante da Santiago del Cile, sconquassata dalle proteste interne, a Madrid. I lavori, iniziati il 2 dicembre, avrebbero dovuto concludersi lo scorso venerdì sera, ma sono stati prolungati fino al pomeriggio di domenica 15, facendo di quella di Madrid la Cop (Conference of the Parties) più lunga di sempre. I delegati, più di 27.000 in totale provenienti da 196 Paesi più l’Unione Europea, non sono stati in grado di raccogliere un consenso condiviso intorno a molti temi, incluse le tempistiche entro cui realizzare gli impegni nazionali. Invece di assistere a un’alleanza intorno a pochi cruciali e pragmatici concetti, la conferenza si è impantanata nelle sabbie mobili di tecnicismi terminologici, tra cui la definizione dei meccanismi che dovrebbero regolare i mercati energetici del carbonio.

La direttrice esecutiva di GreenPeace, Jennifer Morgan, ha dichiarato che in 25 anni di conferenze sul clima non ha mai assistito a un simile distacco tra la lentezza dei procedimenti burocratici e amministrativi delle stanze del potere da una parte e la freschezza e il dinamismo dei movimenti per il clima dall’altra.

Manifestazioni per il clima nel corso della Cop25 a Madrid. YouTube Carbon Brief

Alla fine della prima settimana di assemblea ha marciato per le strade della capitale spagnola quasi mezzo milione di persone, in sostegno di azioni decise contro il cambiamento climatico. Tra loro anche Greta Thunberg, giunta a Madrid dall’altra parte dell’Atlantico. Lì, al Summit sul clima di New York, aveva rivolto un accorato intervento ai leader mondiali, accusandoli di fuggire dalle loro responsabilità e di rubare il futuro, con le loro inazioni e le loro connivenze, a milioni di giovani. L’attivista svedese, ritratta su uno scoglio lambito dalle onde del mare, è stata nominata dal Time persona dell’anno, a riprova dell’impatto sulla società civile che i messaggi ambientalisti stanno avendo.

Ma le crescenti ambizioni e speranze delle masse fino ad ora non hanno trovato una degna rappresentanza nelle istituzioni mondiali, che appaiono incapaci di recepire i messaggi, forti e chiari, che arrivano da buona parte dell’opinione pubblica e dalla quasi totalità della comunità scientifica. Le frustrazioni dei manifestanti per le scarse capacità di iniziativa dell’assemblea sono culminate nelle proteste di mercoledì 11, quando 200 persone, tra giovani attivisti e difensori dei diritti delle popolazioni indigene, sono state allontanate dalla sala delle conferenze.

L’Emission Gas Report del programma ambientale dell’Onu, rilasciato pochi giorni prima della Cop25, del resto stabiliva che quei pochi impegni finora presi dai leader mondiali non sono minimamente sufficienti e l’obiettivo di mantenere l’aumento delle temperature globali al di sotto della soglia di sicurezza di 1,5°C fissata dagli esperti dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on climate change) sta inesorabilmente scivolando al di fuori della nostra portata. L’analisi del Global Carbon Project inoltre illustra non solo che le emissioni di anidride carbonica sono aumentate negli anni dopo gli accordi di Parigi, ma che sono destinate a salire anche per il 2019 e il 2020 (seppur più lentamente rispetto agli anni precedenti) anche e soprattutto a causa delle emissioni della Cina, che continua a finanziare centrali a carbone.

L’altro grande attore mondiale, gli Stati Uniti di Trump, se possibile fa anche peggio, dato che il 4 novembre è ufficialmente uscito dagli accordi di Parigi, esercitando il diritto previsto dall’articolo 28 del trattato, che prevede il ritiro a 3 anni dall’adesione (sostenuta il 4 novembre 2016 da Obama). Il negazionismo statunitense ha sdoganato anche quello di Brasile e Australia, nonché quello dell’Arabia Saudita, che si sente ora più legittimata a non apportare modifiche al proprio modello economico, fondato sull’oro nero.

Se alcuni tra i maggiori leader mondiali dunque si macchiano di quel tradimento denunciato da Guterres, non permettendo di fatto di realizzare misure globali efficaci contro il cambiamento climatico, alcune, poche, note positive, anche se insufficienti nel complesso, si possono trovare.

177 compagnie, sostenute da un gruppo di 477 investitori, hanno preso l’impegno di ridurre le emissioni di anidride carbonica con l’obiettivo di rispettare gli accordi di Parigi. 39 Paesi hanno annunciato di includere nelle loro NCD (Nationally Determined Contributions) maggiori attenzioni agli oceani.

Giovedì 12 a Bruxelles invece la nuova leader della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha presentato il Green New Deal che prevede la riduzione del 55% delle emissioni europee entro il 2030 e il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050. La sfida ambientale dei prossimi decenni sarà l’equivalente della conquista della luna, secondo la neo presidente. Attorno agli investimenti green l’Europa ridisegnerà le sue ambizioni del XXI secolo, ovvero quelle di portare il vecchio continente all’avanguardia delle innovazioni sostenibili.

Il rinnovamento però non può non essere culturale, prima ancora che economico. Eppure, le dichiarazioni di von der Leyen stridono con i risultati del rapporto dell’Agenzia Europea per l’ambiente, pubblicati il 4 dicembre, che sanciscono l’insufficienza anche dell’azione europea negli anni passati e per quelli a venire.

L'imminente volgere dell'anno ci condurrà nel decennio più importante per il destino delle generazioni future. Le stime ci avvisano che abbiamo una decina d'anni per mettere in atto le misure di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico: se i risultati non dovessero arrivare entro questa scadenza, la situazione sarà inesorabilmente sfuggita di mano. Già il primo anno del nuovo decennio sarà decisivo: dopo quello intermedio di giugno in Germania, a Bonn, ci sarà l'appuntamento più importante dagli accordi di Parigi. Alla Cop26 di Glasgow, a fine 2020, i singoli Paesi dovranno ripresentare in forma aggiornata le iniziative nazionali per la lotta al cambiamento climatico.

Le premesse con cui ci avviciniamo a questo cruciale appuntamento non lasciano però sperare in uno scenario sostanzialmente diverso da quello odierno: le istituzioni politiche fin qui hanno mostrato scarso coraggio, inadeguatezza decisionale e incapacità a rispettare anche i pochi impegni presi. Senza un repentino cambio di rotta l'aumento della temperatura globale, entro la fine del 2100, sembra puntare bel al di sopra dei 3°C rispetto all'era pre-industriale. Il loro fallimento, che è il fallimento di tutto il nostro modello di sviluppo, andrà spiegato a chi vivrà e a chi sta già vivendo sulla propria pelle le conseguenze della crisi climatica di origine antropica.

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