SCIENZA E RICERCA

Gusto di vini perduti (anzi, trasformati dal cambiamento climatico)

Il cambiamento climatico sta trasformando il gusto dei vini. La questione è al centro di un confronto tra studiosi, produttori e consumatori e recentemente un articolo pubblicato su Horizon, magazine di ricerca e innovazione della Commissione Europea, ha esplorato nuovamente il tema. Approfondiamo l'argomento dialogando con Matteo Marangon, docente e presidente del corso di laurea magistrale Italian food and wine dell'Università di Padova, con il quale abbiamo già avuto modo di analizzare il settore in crescita del vino biologico, e a cui ora rivolgiamo alcune domande proprio sul destino e le trasformazioni già in atto relative al gusto dei vini (anche se, lo scopriremo tra poco, definirlo gusto non basta). Quando degustiamo un vino coinvolgiamo almeno quattro dei nostri cinque sensi: la vista ne valuta il colore, la consistenza e l’effervescenza; l’olfatto considera l’intensità e la complessità dei profumi, il gusto è legato alla sapidità e alla dolcezza. Per tatto intendiamo le sensazioni palatali e gengivali, quelle cioè che permettono di valutarne la corposità o l’astringenza dovuta ai tannini. 

Quindi parlare di gusto non è corretto, si tratta di qualcosa di complesso che non riguarda solo il sapore che resta in bocca.

"Esatto, è riduttivo chiamarlo gusto, perché in realtà è una sensazione complessiva. In inglese si chiama flavour, concetto multisensoriale che comprende olfatto, gusto e retrolfatto. Prima un vino si annusa, i recettori nasali recepiscono gli stimoli e ti presentano profumi di fiori o frutta, poi il vino passa in bocca e lì si sente il dolce o l'amaro, poco il salato, il vino non si definisce salato ma si parla piuttosto di mineralità, infine ci sono sensazioni come il bruciore dovuto all'alcol, un po' di calore dovuto ai polifenoli e ancora, nel caso dei vini rossi, l'astringenza, che allappa perché riduce la salivazione in bocca: in questo caso non parliamo di gusto ma di sensazione, oltretutto sgradevole, che non si dovrebbe provare degustando un vino. Quindi, ricapitolando, naso, gusto, sensazioni tattili somatosensoriali, a cui si aggiunge il retrolfatto, che giunge quando si manda giù il vino: dalla cavità nasale, interna alla bocca, riusciamo ad avere altre sostanze volatili che si rilasciano in bocca e che arrivano ai recettori nasali da una via retrolfattiva. Non è detto che i sentori percepiti in bocca siano gli stessi del naso, perché quando un vino entra in contatto con la saliva si modifica e alcuni aromi si rilasciano. Il sapore del vino è una combinazione di tutto questo: odore, gusto, sensazione tattile, olfatto retronasale, oltre alla persistenza, ovvero il tempo in cui il vino rimane in bocca dopo che è stato mandato giù".

In un'epoca segnata da trasformazioni determinate dal cambiamento climatico, anche il vino sta cambiando, così il suo flavour, il gusto e i suoi profumi. Il processo è già in atto? 

"Sì, il processo è già in atto e sta accelerando. Quarant'anni fa l'obiettivo era quello di produrre tanta uva e quindi tanto vino, oggi si fa meno uva ma più concentrata, la tecnica di produzione è cambiata: siamo passati da una produzione di massa, iniziata nel dopoguerra, con oltre 100 litri pro-capite all'anno, agli attuali 30-35 litri pro-capite annui. La qualità è aumentata tantissimo, il vino non è più un alimento ma è diventato un bene di lusso. La tecnica produttiva è cambiata in favore di vigneti più piccoli e uve di qualità. Nel tempo, se si fa meno uva per pianta, la concentrazione zuccherina aumenta, così la gradazione alcolica del vino, indipendentemente dai cambiamenti climatici: per ottenere un vino buono, con aromi più fruttati, l'uva deve essere matura e questo porta ad accumulare aromi, colore, zucchero che diventa più alcol. Ora, però, a queste tecniche di produzione mirate a far maturare meglio e di più le uve si aggiunge il clima, che si muove nella stessa direzione: piove poco, la maturazione viene spinta a volte anche troppo, e infatti sono già in atto studi e ricerche per capire come ridurre l'alcolicità dei vini".

Una combinazione di elementi. L'essere umano e il clima spingono verso un'uva matura.

"Ora, però, i viticoli stanno provando a far maturare l'uva meno o più lentamente, per mitigare o andare in direzione opposta. Questo è possibile fino a un certo punto, perché se si presenta un'estate come quella del 2022, caldissima e senza pioggia, non si può fare: i vini saranno concentrati, molto alcolici, meno acidi, meno freschi, diversi rispetto a vini di vent'anni fa. Non migliori e non peggiori, ma diversi. Ci sono regioni produttive riconosciute per un vino con un certo stile, gradualmente questo stile sta cambiando: i produttori cercheranno di rallentare il processo, i consumatori proveranno ad adattarsi un po', ma il rischio è che a un certo punto il produttore non ce la faccia più a rallentare, il consumatore non si ritenga più soddisfatto e scelga un altro prodotto. La scienza sta lavorando per trovare soluzioni, ma il cambiamento è inevitabile: la maturazione porta zucchero in più e acidità in meno. L'acidità è un parametro essenziale per la freschezza, se manca l'acidità il vino non è piacevole. In cantina si può correggere, aggiungendo acidi, ma più si aggiunge più si modifica artificialmente l'equilibrio delle uve e questo non sempre garantisce un buon risultato. Dal punto di vista gustativo, dunque, il vino cambia: quando l'uva è immatura il vino risulta erbaceo, con sentori verdi, quando è matura si passa al floreale e al fruttato, ma un conto è dire che un vino sa di fragola un altro è dire che sa di marmellata di fragola, perché in quest'ultimo caso è sovramatura. Quindi, cambia il profilo sensoriale di certi vini: dire che un vino è caratterizzato da frutta fresca o da frutta cotta non è la stessa cosa. Questo sta avvenendo: bevendo i rossi dei climi caldi oggi si ha spesso la sensazione di bere una marmellata d'uva: sono vini molto concentrati, non cattivi, ma che stancano dopo un bicchiere. Questo non accade con il prosecco, poco alcolico, fresco, fruttato, beverino, ma anche con il prosecco le condizioni stanno cambiando, le maturazioni aumentano anticipando le vendemmie, rendendo tutto sempre più difficile. Un altro esempio: ho parlato recentemente con un produttore di spumanti dell'Oltrepò Pavese, la vendemmia in Lombardia è stata anticipata ad agosto. In Sicilia addirittura a luglio per le varietà più precoci. Un tempo si vendemmiava a settembre, ottobre". 

Anticipare la vendemmia può essere una soluzione, ma cosa comporta dal punto di vista delle caratteristiche del vino?

"Gli aromi non si sono sviluppati nello stesso modo, questo porta ad avere vini diversi. Per ora, sfruttando le conoscenze e con accorgimenti particolari, gli enologi riescono a gestire i cambiamenti, ma per quanto tempo riusciranno a farlo? A un certo punto si dovranno prendere decisioni drastiche, non basterà anticipare la vendemmia. Si pianteranno viti diverse, che resistono, oppure non si farà più vino in determinate regioni, ormai troppo calde: in California ci sono incendi ogni estate".

Ci si sposterà sempre più a Nord, in zone che oggi non riconosciamo come terre del vino.

"Esattamente. Per qualche anno ho insegnato viticoltura ed enologia nel sud dell'Inghilterra, lì si sta iniziando a produrre spumante perché ora il clima è quello delle aree francesi dello Champagne di trent'anni fa. Un tempo il vino inglese non esisteva, non era considerato, in dieci anni sono raddoppiati gli ettari dedicati e gli stessi produttori francesi comprano terreni in Inghilterra in previsione di spostare la produzione. Tra cinquant'anni in Francia potrebbero non esserci più le condizioni per produrre Champagne, ma per fare magari un vino rosso. Per capirci, il vino si continuerà a fare ma nel Nord Europa, mettendo a rischio la produzione del Sud dove la mancanza d'acqua è già un fattore critico. Quindi, cambio di varietà: dove oggi facciamo il prosecco magari faremo dei rossi? Nel Bellunese una volta non c'era viticoltura, ora si fa prosecco a 700 metri. Ci si alzerà per avere temperature più fresche, finché si potrà, ma a mali estremi si dovranno utilizzare le cosiddette varietà resistenti, che a livello mondiale stanno iniziando a prendere piede".

Di cosa si tratta?

"Incrociando viti italiane, l'uva da vino si chiama vitis vinifera - il Pinot grigio, il Nebbiolo, il Sangiovese - con una varietà resistente, alle malattie e alla siccità, si avrà una vite che sarà al 95% Sangiovese e al 5% di genetica di una varietà resistente. Questa varietà avrà bisogno di meno trattamenti e pesticidi, con vantaggi dal punto di vista della sostenibilità ambientale, ma il problema qual è? Che quel vino non si potrà più chiamare Sangiovese, avrà un nuovo nome. Il consumatore dovrà abituarsi a comprare un vino simile ma non uguale, e con un altro nome appunto. Quando la sostenibilità ambientale diventerà la variabile determinante della scelta del consumatore non si avranno più problemi a cambiare varietà, questo non potrà avvenire però se il consumatore vorrà bere un Barolo fatto di Nebbiolo, e non di un Nebbiolo 2.0, non riuscendo ad apprezzare il valore di varietà innovative".

Ricapitolando, quali sono oggi le soluzioni principali per mitigare l'effetto dei cambiamenti climatici in enologia?

"Ci sono tre strade: spostare le produzioni, cambiare varietà, scegliere altre tecniche colturali. Si cerca di percorrere tutte le vie, per mitigare, ma la realtà è che la trasformazione è in atto, il gusto sta già cambiando e continuerà a cambiare".

La trasformazione del gusto si può già percepire? Un intenditore lo può già sentire?

"Non proprio, perché la trasformazione avviene in dieci, anche vent'anni. Inoltre il vino risente molto dell'effetto annata. Nella media, però, guardando i parametri analitici, il cambiamento gustativo c'è, è un dato di fatto, in questi anni lo scenario è cambiato: le uve sono più mature, i vini più alcolici e meno acidi". 

Tra i produttori c'è preoccupazione o apertura al cambiamento?

"I produttori sono molto consapevoli, sanno che così non si può andare avanti e che il cambiamento è inevitabile. Siamo nella fase in cui i pionieri sono già partiti e stanno investendo in nuove soluzioni, gli altri seguiranno. Le generazioni giovani sono attente a certi temi, sanno che fare il vino buono non basta più. Pensiamo anche alla ricerca, oggi i fondi vengono assegnati a chi studia tematiche legate a sostenibilità ambientale, mitigazione dei cambiamenti climatici ed economia circolare: significa che queste sono le priorità e le aziende vinicole lo capiscono. Una grossa spinta deve arrivare dai consumatori, privilegiando la sostenibilità".

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