SOCIETÀ

Hikikomori: chi sono gli "autoesclusi"

Scelgono di isolarsi, sganciarsi dal mondo, rifiutano qualsiasi occasione di incontro, confronto e aiuto, restano chiusi nelle loro stanze per lunghi, a volte lunghissimi, periodi, con un elevato rischio di cronicizzazione. Il termine giapponese per definirli è hikikomori e significa "restare in disparte": se il fenomeno è partito dal Giappone, oggi, anche in Italia, si sta diffondendo.

Si tratta di un fenomeno ancora poco conosciuto, recentemente al centro di un convegno a Padova. I casi sono in aumento, ma spesso le famiglie di chi sceglie questo tipo di isolamento non sanno cosa fare e a chi rivolgersi per affrontare questo problema "invisibile". Abbiamo dunque provato a fare chiarezza e ad approfondire l'argomento insieme al professor Alessio Vieno del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell'Università di Padova. "Con il termine giapponese hikikomori, ci riferisce soprattutto ai giovani dai 14 ai 30 anni che, come dice la parola stessa, decidono di vivere ritirati, "in disparte" rispetto al mondo.Si tratta soprattutto di maschi che mostrano un forte disagio in particolare in fase adolescenziale. Questi ragazzi non hanno relazioni sociali al di fuori della famiglia e, per essere considerati hikikomori, la condizione deve persistere per almeno sei mesi, e non va dunque confusa con quei brevi periodi di protesta e ritiro che a volte i ragazzi scelgono come modalità estrema per autodeterminarsi. Le cause che la letteratura scientifica sul tema ha evidenziato fino a questo momento sono tipicamente giovanili: conflitti familiari, scolastici, disturbi emotivi. Da qui, l'etichetta è più spesso utilizzata per indicare i giovani che vivono chiusi nelle loro camere".

Proviamo ad approfondire, indagando il disagio che sta alla base di questa scelta.

"Dal punto di vista sociologico (es, Furlong, 2008) questa forma estrema di ritiro sociale è ascrivibile soprattutto al cambiamento delle regole della società, giapponese e dei Paese occidentali in generale: i giovani si ritrovano spaesati di fronte alla mancanza di certezze lavorative e al futuro e scelgono, quindi, di fare a meno di partecipare alla vita della società. Dal punto di vista psicologico, invece, i ragazzi sceglierebbero il ritiro in risposta a gravi problemi nelle relazioni familiari o a gravi difficoltà nelle relazioni a scuola o ancora a una diagnosi di depressione (es, Koyama et al., 2010). Quindi, spesso gli hikikomori soffrono di un disturbo psicologico che spazia dall'ansia e dalla depressione fino ai disturbi di personalità: per queste persone il ritiro dal mondo sembra essere la strategia di coping preferita. È importante però, sottolineare che i ricercatori sono concordi nel dire che il disagio che sta alla base di questa condizione è il risultato di un'interazione tra il contesto - percepito come non supportivo a livello familiare e scolastico - e la vulnerabilità individuale, come ad esempio alcune caratteristica di personalità".

Il fenomeno si sta diffondendo?

"Fino a qualche anno fa, il fenomeno era circoscritto al Giappone e all'area Asiatica più in generale. Ultimamente, in molti Paesi occidentali si sta tendendo a contare i casi di hikikomori che spesso, però, hanno caratteristiche diverse rispetto ai casi giapponesi che sono strettamente legate alla cultura del Paese. Il filo conduttore interculturale sembra proprio essere l'intreccio del disagio vissuto dai ragazzi nel loro contesto di vita con delle caratteristiche individuali specifiche, per esempio la vulnerabilità ai disturbi psicologici".

Quali sono i numeri in Italia?

"Attualmente non siamo a conoscenza di una statistica ufficiale su questo tipo di casi. L'associazione nazionale Hikikomori stima che in Italia ci siano diverse migliaia di ragazzi che fanno questa scelta (l'associazione parla di "almeno 100mila casi", ndr). Tuttavia, riteniamo importante distinguere i casi reali, che raggiungono un livello di gravità al pari di quelli giapponesi, dai casi, spesso segnalati nella cronaca, di ragazzi che passano in casa i pomeriggi dopo essere stati a scuola ma che non hanno una reale compromissione del loro benessere psico-fisico".

L'abuso di tecnologia, la totale immersione in una vita virtuale, è causa o conseguenza di questo isolamento?

"Rispetto alla conoscenza attuale del fenomeno, sembra più verosimile che l'uso problematico di internet sia una conseguenza dell'isolamento. Infatti, gli hikikomori sono chiusi nella loro camera per un disagio che non nasce dall'uso della tecnologia, al contrario, i ragazzi cercano nella tecnologia conforto e distrazione, ovvero un modo per affrontare la sofferenza che provano. I videogiochi online costituiscono quindi un mondo in cui immergersi che costituisce un mezzo per sopravvivere piuttosto che il fine ultimo del ritiro. Diciamo che anche la definizione di abuso della tecnologia è piuttosto dibattuto: per il momento a me sembra che questo fenomeno diventi problematico quando sostituisce integralmente le relazioni".

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