SOCIETÀ

L'intelligenza artificiale nel mondo dell'arte: siamo in una fase interlocutoria

Sul nostro giornale abbiamo già trattato l'argomento dell'intelligenza artificiale nella ricerca di informazioni, nella finanza, nella scrittura e persino nei giochi di strategia, ma non abbiamo mai affrontato l'uso di questa tecnologia nell'ambito artistico e l'impatto che può avere l'AI sulla creatività. Questo articolo naturalmente non vuole costituire un'analisi esaustiva di tutti i fattori in gioco in un cambiamento che ha tutte le carte in regola per essere epocale, anche perché sono ancora da risolvere tutte le problematiche legate al diritto d'autore: di chi è l'opera d'arte generata dall'AI? Sicuramente non dell'AI stessa, che non ha personalità giuridica. Dei programmatori? Di chi dà l'output per la creazione? Non lo sappiamo ancora, visto che il quadro legislativo non è chiaro neppure ai giuristi perché l'AI Act europeo è stato approvato da poco più di un mese e non entrerà in vigore nell'immediato (ricordiamo quanto tempo abbiamo aspettato la normativa sul diritto d'autore in ambito web). Quello che sappiamo, e che dicevamo anche a proposito dell'AI legata ai modelli linguistici, è che l'utilizzo di algoritmi e database per produrre opere artistiche non è certo una novità dell'ultimo anno: è semplicemente aumentato l'accesso a questo tipo di tecnologie, che ora sono alla portata di molti più artisti, ma anche di molte più persone che potrebbero utilizzarle in modo piuttosto improvvisato.

Un'altra cosa che sappiamo è che, almeno in Italia, c'è molta curiosità su queste nuove tecnologie, ma non troppa fiducia sulle reali possibilità dell'AI di migliorare la vita e regalare più tempo alle persone (vedi sondaggio Ipsos). In ambito grafico e fotografico, per esempio, si levano molte voci preoccupate sul fatto che l'AI potrebbe sostituire il lavoro dei professionisti. Del resto era successa la stessa cosa nell'Ottocento, quando era stata inventata la fotografia: alcuni artisti si erano strappati i capelli, vedendo questa novità come un'invasione di campo che avrebbe reso inutile la loro ricerca di riproduzione della realtà, mentre altri l'avevano vista come un'occasione. Anche per merito della fotografia, la concezione dell'arte è profondamente cambiata e si è slegata dall'esigenza di realismo che l'aveva quasi sempre caratterizzata.

Per comprendere meglio la situazione attuale, tra opportunità e criticità, abbiamo intervistato Maria Grazia Mattei, critica d'arte e presidente di MEET, il centro internazionale di Cultura Digitale nato con il supporto di Fondazione Cariplo che promuove la tecnologia come una risorsa per la creatività. Mattei ci spiega che non ci sono ancora grandi processi artistici che ricorrono a sistemi di intelligenza artificiale, ma che era già utilizzata prima del recente boom: per fare solo un esempio, Refik Anadol, artista e designer dei nuovi media turco-americano di cui il MEET ha ospitato un'installazione nel 2021, ha cominciato la sua carriera nel lontano 2015, quando ovviamente la tecnologia era ben diversa dall'attuale, utilizzando algoritmi e reti GAN (Generative Adversarial Networks), una particolare forma di machine learning in cui una rete, assemblando i dati disponibili, "sfida" una rete avversaria, cercando di convincerla che il risultato è un'opera originale.

Del resto, quando parliamo di AI, ci riferiamo a processi in continua evoluzione che, soprattutto negli ultimi anni, si sono sviluppati molto velocemente. La differenza rispetto al passato è che ora questi strumenti sono diventati più accessibili, e non è detto che sia sempre un bene.

In termini di funzionamento, l'AI utilizzata nel mondo dell'arte segue gli stessi procedimenti che abbiamo già spiegato parlando di modelli di testo: vengono creati dei dataset con miliardi di dati, molti più di quelli che il cervello umano potrebbe ricordare e rielaborare creativamente, che a seconda degli output forniti dall'artista possono dare origine ad opere sempre diverse (l'installazione di Anadol di cui abbiamo parlato, per esempio, si ispirava al Rinascimento italiano e partiva da più di un milione di immagini e testi realizzati nel nostro paese in quel periodo, e lui e il suo team avevano istruito i GAN perché leggessero forme, colori e relazioni semantiche dalle immagini di partenza).
In questo caso, è bene precisarlo, non si tratta di un collage di opere esistenti, o almeno non propriamente: è piuttosto un collage di singoli pixel esistenti che vanno a completarsi grazie ai meccanismi di apprendimento. E poi c'è invece un procedimento diverso, quello del text to image che converte un file di testo in un'immagine.

In entrambi i casi, perché si possa parlare di arte a dare gli output ci dovrebbe essere un artista, o un team formato da un artista che conosce il funzionamento dell'AI e sia culturalmente propenso a questa tecnologia e da programmatori che lo affiancano nella parte più tecnica.

"Non si tratta semplicemente di ricreare vecchi stili - spiega Mattei - perché quello può essere un buon esercizio del momento, ma finirà molto presto. Come ha detto Piero Gilardi a proposito della fotografia, partiamo da quello che conosciamo per portare avanti le frontiere: una nuova tecnica fa quello che faceva bene quella prima ma aggiunge qualcosa di più, ed è questo di più che noi stiamo ancora cercando. Con questi strumenti si possono insomma creare nuove praterie espressive ed emotive legate a un concept, un progetto che la mente dell'artista ha già definito e a quel punto si genera un'opera nuova".

Com'è facile intuire, l'uomo, e in particolare l'artista, rimane al centro del processo: è lui che dà le indicazioni all'AI, che a sua volta riesce ad analizzare i miliardi di dati ritrovando dei pattern (forme, colori, concetti) che l'artista non avrebbe potuto individuare in modo così completo.

Mancando al momento una normativa sul diritto d'autore legato all'AI, abbiamo chiesto a Mattei un parere da critica d'arte sull'originalità: cosa serve per essere considerati gli autori di un'opera realizzata grazie all'AI? "Per quanto mi riguarda, l'artista può attingere ai dataset, purché ad accesso libero, e quello che legge prima di tutto nella sua mente creativa e poi mettendosi all'opera non con la scalpello e il martello ma con machine learning e GAN gli permette di generare un'opera nuova che dal punto di vista visivo o audiovisivo è qualcosa di nuovo. Del resto nessuno di noi crea dal nulla: noi ci portiamo dietro un'eredità straordinaria che ci porta e ci spinge a ricercare continuamente delle nuove versioni, ma nessuno di noi parte da zero".

Ma quali sono le reali criticità dell'AI nel mondo dell'arte? Da una parte il facile accesso rischia di ingannare, dando l'idea (la stessa dell'arte contemporanea, del resto) che "lo possono fare tutti". Non è più necessario saper programmare e lavorare con i GAN, perché programmi come DALL·E sono alla portata di tutti. Ma basta avere l'accesso agli strumenti per essere artisti? Naturalmente no. Intanto lo strumento va governato, e per un grafico, per esempio, è molto più facile che per un docente che vuole creare delle illustrazioni per arricchire e sue slide. E poi c'è quello che per secoli ha reso gli artisti quello che sono: il costante esercizio, una sorta di ossessione per quello che portavano avanti. È questo che fa la differenza, e per questo motivo Mattei si augura che possa sorgere una generazione di artisti che, oltre a padroneggiare gli strumenti, abbiano anche una sensibilità che li predispone a lavorare su piani diversi da quelli tradizionali: "Entrare nella dimensione digitale - spiega - non è da tutti, è un processo culturale che legge la contemporaneità in una maniera diversa e poi te la restituisce: chi pensa che il digitale sia l'equivalente del pennello e dello scalpello non lo ha capito. Penso che la criticità sarà quella di avere degli artisti significativi e non la proliferazione di immagini tutte uguali". Proprio per questo MEET ha attivato una partnership con HXOUSE e Binance in collaborazione con The Weeknd per dare nuove opportunità ai giovani artisti emergenti nel mondo digitale.

Un'altra criticità è quella dell'immaterialità. Non dobbiamo dimenticare che l'arte è anche un business, e che la figura del mecenate non è tramontata, ma si è semplicemente evoluta, tra gallerie d'arte ed eventi benefici. Un conto è avere un quadro e una scultura da esporre in salotto e mostrare agli amici, un conto è possedere dei dati. "Naturalmente - precisa Mattei - non si esclude che questa espressione immateriale possa trovare una reificazione, ma è ancora tutto da studiare, e il mondo dell'arte al momento è imbarazzato dall'immaterialità, e i tentativi di regolamentazione tramite NFT hanno dimostrato che c'era la richiesta di attestazione di proprietà, anche se immateriale".

Al momento siamo quindi in una fase in cui non sappiamo la direzione che prenderà il settore artistico in seguito all'introduzione massiva dell'AI, ma è lecito sperare che si possa creare un sistema che funzioni, una sorta di arte parallela a quella tradizionale, con professionalità specializzate e committenti che ne comprendano il valore.

 

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