SOCIETÀ

Quando il virus ti costringe a progredire

L’uno è il perceived organizational support, ed è la sensazione che si prova quando si ha la netta percezione di essere in una realtà che si impegna concretamente per favorire e sostenere l’attività lavorativa, aiutando le persone a risolvere i problemi che si incontrano o che emergono in modo improvviso e inaspettato.

L’altra è la ridondanza, che è una sovrabbondanza, un accumulo o, se volete, una riserva di risorse materiali (impianti, infrastrutture, magazzini e così via), cognitive (come ad esempio, investimenti formativi finalizzati a creare riserve di competenze), sociali (che si possono specchiare in qualità delle relazioni, benessere organizzativo, orientamento alla sostenibilità, in fiducia nelle persone che occupano posizioni di direzione e di leadership). Se è la conseguenza di pressapochismo gestionale, la ridondanza è fonte di inefficienza e demotivazione. Se, invece, è il risultato di un progetto deliberato, allora può diventare un asset strategico da attivare quando serve.

E poi c’è il bounce forward, che è la capacità di un sistema sociale, a fronte di uno shock che ne condiziona la continuità, di assorbire il colpo non solo adattandosi e recuperando la posizione precedente all’evento inatteso (bounce back), ma anche sviluppando o mobilitando nuove abilità che permettono di raggiungere risultati superiori a quelli pre-crisi o di cambiare in modo irreversibile alcuni processi interni.

L’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus ha messo in ginocchio interi settori economici, come ad esempio la filiera dell’ospitalità e del turismo, della logistica e della distribuzione. La crisi sta contagiando la manifattura che rischia il rallentamento o lo stop delle attività per mancanza di prodotti finiti, di semilavorati o di materie prime. Molte realtà, sia grandi che piccole, si trovano senza alcuna colpa nell’impossibilità di lavorare e l’unica soluzione che possono adottare è ricorrere allo smartworking per i processi non manifatturieri.

Nulla sarà più come prima: ma per certe organizzazioni, come scuole e università, potrebbe essere addirittura meglio

In questo sconfortante quadro generale, però, ci sono però alcune eccezioni, che solo in parte si spiegano con la fortuna di operare in un settore che non risente direttamente dell’emergenza.

Mi riferisco a scuola e università.

Perché quello che sta succedendo in questi ambiti, ancorché a macchia di leopardo, è di interesse generale e merita di essere evidenziato?

In questi contesti, le attività sono molto istituzionalizzate, regolamentate e i processi di cambiamento non sono propriamente veloci (c’è chi dice, un po’ esagerando, che a volte “non si muove foglia che la procedura amministrativa non voglia”).

Ebbene, in questi giorni, in varie parti d’Italia, abbiamo visto istituti scolastici e Atenei che hanno switchato in tempi rapidissimi le attività didattiche dalle consolidate lezioni in aula (frontali o interattive) alle lezioni a distanza (con svariate soluzioni tecnologiche) e hanno riprogettato alcuni processi di back-office (la preparazione del setting formativo per il digital teaching, la revisione dei materiali didattici, la ridefinizione della sequenza delle spiegazioni per adattarla al nuovo contesto).

Nel giro di qualche giorno parole come homeschooling sono entrate nel lessico comune e sono stati digitalizzate attività che sembravano ingabbiate in procedure ferme ai tempi analogici.

Come è stato possibile? Questi fenomeni non si verificano per buona volontà.

Chi è riuscito a garantire la continuità delle attività dopo lo shock (bounce back) lo ha fatto potendo contare su risorse ridondanti: dalle reti informatiche già preparate per ospitare la digitalizzazione delle attività didattiche alle competenze digitali del corpo docente e che, almeno in parte, è il risultato di strategie deliberate. Tra queste ultime, un buon benchmark è l’università di Padova, che da alcuni anni ha avviato il progetto Teaching4Learning che diffonde la cultura dell’innovazione didattica nella comunità accademica, in termini sia di metodi sia di uso delle tecnologie digitali.

Il secondo fattore che ha reso possibile il bounce back è la disponibilità degli staff amministrativi e informatici ad impegnarsi con prontezza di fronte all’emergenza per affrontare problemi emergenti e nuovi, per individuare soluzioni praticabili, per supportare le persone in difficoltà, per implementare le innovazioni avendo a cuore il risultato finale e, non dimentichiamolo, la buona reputazione dell’organizzazione di appartenenza. Questo si verifica dove c’è un diffuso perceived organizational support. In alcuni contesti, sono anche state create le Covid-19 Task Force, composte da persone con competenze complementari e senza distinzione di ruolo e posizione gerarchica. Sono decisioni che rinforzano impegno e coinvolgimento diffusi a tutti i livelli.

L’impressione è che, dopo questa dimostrazione di capacità di innovazione generata dall’emergenza, non si tornerà più indietro, perché queste organizzazioni hanno dimostrato, in primis a sé stesse e poi alla società, di saper interpretare al meglio le sfide della modernità. L’auspicio è poter diffondere tali esperienze al maggior numero di persone possibile.

Tutti auspichiamo di tornare rapidamente alla normalità nella vita civile.

Ma per certe organizzazioni, come alcune scuole e università, non sarà più come prima: sarà meglio di prima ed è un esempio di bounce forward.

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