CULTURA

"I sepolti vivi": il reportage di Gianni Rodari

Il 23 ottobre 1920 nasce Gianni Rodari. Sono passati cento anni. Lo omaggiamo, presentando un volume nato da un'idea dello storico Ciro Saltarelli, illustrato da Silvia Rocchi e con una breve riflessione di Gad Lerner, pubblicato da Einaudi Ragazzi (dagli 11 anni), in libreria dal 6 ottobre scorso. Si intitola I sepolti vivi e sposta il punto di vista, presentando un Rodari inedito, non quello delle poesie e delle filastrocche ma quello della cronaca che, come scrive Saltarelli, "trascende i limiti del genere per farsi narrazione, riuscendo mirabilmente a conciliare i dettagli di singole storie personali con lo sfondo politico e sociale in cui si collocano". Incontriamo, dunque, il giornalista militante, impegnato a dare voce agli ultimi, vicinissimo ai principi del Pci ma con un pensiero critico autonomo. Sono gli anni Cinquanta, nel reportage Viaggio sulla terra dei sepolti vivi, Rodari racconta una drammatica e coraggiosa vicenda di lotta sindacale ai lettori del numero 27 della rivista Vie nuove. "Siamo nella più profonda ed estesa miniera di zolfo di Europa. Qui si viene a cercare la materia prima dell’acido solforico, prodotto base dell’industria chimica. Qui la Montecatini viene a cercare l’oro che lo zolfo ricorda anche nel colore, sebbene con un tono più livido".

Nel 1952 per oltre un mese, più di trecento operai rimasero chiusi nella miniera di zolfo di Cabernardi e Percozzone, in provincia di Ancona. Lo fecero per scelta, per protestare contro le lettere di licenziamento inviate a 860 di loro. "Le lettere di licenziamento portano la data del 27 e del 28 maggio. L’occupazione è cominciata il 28. Il turno che era sceso alle quattordici, alle ventidue non risalì". 

Una vera e propria battaglia combattuta al buio, nelle viscere della terra, per difendere la dignità e il diritto al lavoro. Di più, scrive Rodari nel suo articolo: "Una lotta per la difesa dell’industria italiana dalle conseguenze paurose della corsa al riarmo. Politica giusta e lotta sacrosanta. E oggi da tutta Italia si guarda ai sepolti vivi con meraviglia, con stupore, con ammirazione". Il reportage completo si trova in coda al libro Einaudi: il volume si apre, invece, con la storia illustrata che ne seleziona un frammento, tra oscurità della miniera e vita sospesa di chi, fuori, restava in attesa. Tra buio e luce.

Con i loro corpi piegati e anneriti, settant’anni dopo, grazie a Gianni Rodari, continuano a testimoniarci la dignità del lavoro manuale. Ancora oggi troppo spesso calpestata Gad Lerner

I minatori nell'oscurità, le mogli fuori dal recinto della miniera, a vegliare su di loro. "Di giorno stanno alla sferza del sole, dividendosi a turno la poca ombra della valle: di notte dormono per terra".

Così, per raccontare la protesta di molti, Rodari sceglie di entrare nelle storie di alcuni di loro, in quelle di Ernesto e Maria, sposati da due anni, che "si vogliono bene alla maniera semplice ed appassionata dei giovani" e ai quali "soltanto la coscienza di un dovere operaio, accettato con altrettanta semplice passione, dà la forza di sopportare il distacco". Ernesto ci mette cinque ore a risalire in superficie, Maria percorre dodici chilometri a piedi fino alla miniera per portargli conforto. E ancora, racconta le storie di Assunta Urbani, che ha il marito al tredicesimo livello, a cinquecento metri di profondità, di Delfino Romei, neanche trent’anni, che doveva sposarsi ma è sceso sottoterra e, per questo, ha dovuto rimandare il matrimonio, e di Attilio Mancini, 53 anni di cui 33 in miniera, preoccupato per la mietitura, ma aiutato dai compagni rimasti in superficie, "che andranno a mietere il suo grano". 


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