CULTURA

Anche l’Italia deve fare i conti col passato

È necessario dare concretezza alla brutalità della guerra e mettere al riparo la storia dalle strumentalizzazioni della politica. L’intervista allo storico Filippo Focardi nella terza e ultima puntata di un racconto dedicato alla memoria dei crimini della seconda guerra mondiale in Italia e in Germania.

Per i Paesi che escono da una dittatura e da una guerra esiste un'alternativa alla giustificazione di crimini ed errori in nome della convivenza civile?

La tendenza del corpo sociale a guardare avanti è naturale, così come è stata spontanea l’esigenza delle società italiana e tedesca di lasciarsi alle spalle il passato il più velocemente possibile. A maggior ragione nel caso italiano, dove all’esperienza dolorosa della guerra è succeduta una fase traumatica come quella della Resistenza: da un lato una guerra di liberazione nazionale, dall’altro anche una guerra civile tra italiani. Si può leggere come la necessità di superare il trauma, di risanare le ferite anche il fatto che in Italia, nonostante i crimini compiuti contro gli ebrei, sia stata la comunità ebraica per prima a tendere alla riconciliazione con la comunità nazionale. Piuttosto che puntare il dito – e avrebbero avuto tutto il diritto di farlo – contro gli italiani che li avevano denunciati, fatti catturare e consegnati nelle mani dei tedeschi, come nel caso della Repubblica sociale italiana, gli ebrei italiani sottolinearono piuttosto l’aiuto ricevuto dalle persone, dalla Chiesa o da intellettuali come Croce.

Quando arriva il momento di fare i conti con il passato per l’Italia?

Nell’immediatezza dei fatti ci sono i processi e c’è l’epurazione,  che si fa nelle aule giudiziarie e fuori. È il momento del regolamento dei conti, in Italia contro i fascisti e presunti tali, ma si tratta di un fenomeno che accade ovunque. Infatti, al di là delle polemiche sui numeri, questa violenza, che si concentra al 90% nel maggio 1945 e produce circa 10.000 morti, è allo stesso livello di quella della Francia dopo Vichy. Ma è troppo forte il desiderio di voltare pagina ed è anche il motivo per cui i sopravvissuti ai campi di concentramento o di sterminio, come lo stesso Primo Levi, vorrebbero raccontare la loro esperienza ma non trovano nessuno disposto ad ascoltarli.

Del resto dipingere gli italiani solo come “bravi italiani”, caricando i crimini quasi esclusivamente sulle spalle dei tedeschi, è stato il meccanismo con il quale l’Italia ha rinviato il momento della consapevolezza di cos’erano stati la guerra e il fascismo che aveva portato il Paese in guerra. Anche in Germania c’è una fase in cui i tedeschi si dipingono come vittime del regime nazista, ma le pressioni internazionali e, nel caso della Germania Federale, anche i dossier che la Ddr raccoglie sugli ex nazisti entrati a far parte della sua classe dirigente, impongono di misurare le responsabilità nelle aule giudiziarie. In Italia questo non è accaduto.

Quali conseguenze porta con sé la rimozione?

Che si possa arrivare fino a oggi con l’autoraffigurazione del fascismo come una dittatura bonaria, perché costantemente paragonata al nazismo. Con l’idea di un’Italia in guerra che in fondo non ha fatto nulla di male, degli italiani che hanno aiutato gli ebrei o passato la pagnotta di pane al bambino greco. Spezzoni di  verità che sono però serviti – e servono –  a coprire il lato oscuro del nostro passato. E possono spiegare molto anche dell’attualità. Ad esempio perché in Germania certi atteggiamenti di tipo nostalgico e neonazista siano assolutamente intollerabili: nessun politico potrebbe permettersi allusioni del tipo “in fondo Hitler non è stato così male, ha costruito grandi autostrade”, sarebbe costretto a furor di popolo a rassegnare le dimissioni in cinque minuti. Al contrario in Italia si può arrivare ad affermare, anche a livelli istituzionali alti, che il fascismo “non è stato così grave” o “ha avuto solo la colpa di fare le leggi razziali”, magari alludendo in quest’ultimo caso al fatto che ci sia stato imposto dalla Germania, cosa dimostrata come non vera. La rimozione insomma incide anche sul presente, consegnandoci un’Italia immatura.

Da dove può cominciare l’esame di maturità?

Quello che serve è una ricerca della verità. Qualche anno fa nel clima delle polemiche contro la Resistenza c’è stata una spinta molto forte a parlare delle foibe e il Parlamento nel 2004 per commemorarle ha approvato il Giorno del ricordo: si tratta di iniziative che nascono da un’esigenza corretta di approfondire una pagina di storia ma hanno evidenziato tutti i limiti della strumentalizzazione politica. Serve invece partire dall’approfondimento e dal riconoscimento della dimensione criminale e aggressiva della politica del fascismo. Nei libri di testo non si trovano riferimenti  a questo (al di là di qualche accenno ai crimini in Etiopia). Va benissimo insomma parlare nelle scuole di figure di grande valore come Perlasca, ma bisogna spiegare anche cos’ha fatto il generale Graziani in Etiopia. Va raccontata l’invasione italiana di gran parte dell’ex-Jugoslavia e della Grecia, Paesi dove sono stati commessi gravi crimini di guerra.

È sufficiente chiedere scusa come ha fatto recentemente la Germania per Guernica?

Chiedere scusa è necessario, come ha fatto il Presidente della Germania anche in Italia a Sant’Anna di Stazzema e già prima, nel 2002, a Marzabotto. Sarebbe bello che un  presidente italiano in una delle visite a Cefalonia, oltre a ricordare i soldati italiani trucidati dai tedeschi, pronunciasse due parole di scusa per l’aggressione italiana alla Grecia. È significativo che la festa nazionale greca sia tutt’oggi il 28 ottobre, la data dell’aggressione italiana del 1940. Ma un Paese maturo dovrebbe essere capace di fare i conti con il proprio passato anche in chiave europea. Molti dei Paesi teatro della nostra aggressione ne sono entrati a far parte (come la Slovenia e la Grecia) e una condivisione della casa comune europea richiederebbe maggiore sincerità. Su questa strada negli ultimi anni si è mosso il presidente Napolitano, nella sua visita a Trieste del 2010 assieme al presidente sloveno e a quello croato: prima al Narodni Dom, la casa della cultura slovena a Trieste bruciata dai fascisti, poi a inaugurare il monumento che ricorda l’esodo istriano e fiumano; un percorso che nel 2011 lo ha portato a Pola, a ricordare le vittime del fascismo e a incontrare la minoranza italiana. Un riconoscimento dei torti reciproci e delle pagine più sconvenienti che rappresenta una prospettiva di riconciliazione in nome dell’Europa.

Di fronte ai limiti dell’azione giudiziaria nell’accertamento delle responsabilità per i crimini compiuti, è pensabile il ricorso a soluzioni simili a quella della Commissione per la verità e la riconciliazione sudafricana?

In Sudafrica la scelta è risultata efficace perché arrivata nell’immediatezza dei fatti, di fronte a un’alternativa precisa: continuare a combattere e uccidersi o cercare di guardare avanti e costruire. Nel caso italiano e tedesco, invece, è una strada molto difficile da percorrere. Solo una decina d’anni fa tentai di realizzare un documentario sull’occupazione italiana della Slovenia, ma dovetti abbandonare l’idea perché non trovai nessun reduce italiano disposto a metterci la faccia e a raccontare cosa si era combinato da quelle parti. Certo la giustizia tardiva è un tasto delicato ed è significativo che la figlia del capo di stato maggiore della divisione Acqui, tra le vittime di Cefalonia, affermi di non cercare vendetta Vorrebbe invece che il caporale delle SS Alfred Stork, oggi sotto processo a Roma, andasse a parlare nelle scuole di quello che ha fatto condannando la violenza commessa. Resta un fatto: le intercettazioni telefoniche fatte in Germania evidenziano ancora la convinzione degli imputati di aver fatto unicamente quello che andava fatto, avendo obbedito agli ordini di fronte agli italiani traditori.

Eppure perseguire la verità permetterebbe invece di mostrare anche i parallelismi della storia, come il terrore dei soldati italiani per gli attacchi subiti dagli Stukas a Cefalonia che ricorda da vicino il terrore degli abitanti di Barcellona per i bombardamenti fatti dagli stessi italiani …

C’è anche un altro parallelismo: dopo l’avvio delle indagini sui bombardamenti italiani in Spagna i franchisti sono al riparo dall’eventuale punizione della giustizia in virtù dell’amnistia spagnola del 1977; una situazione che ricorda quello che accade qui dove la giustizia, dopo la lenta riapertura delle indagini seguita alla scoperta degli Armadi della vergogna, può mettere sotto processo i tedeschi per i crimini compiuti in Italia, ma non è possibile può fare altrettanto per i 200-300 collaborazionisti della Repubblica sociale italiana che commisero assieme a loro i crimini perché coperti dall’amnistia Togliatti. Insomma si finisce col perseguire i crimini degli altri …

In Italia quanto è legittimo il sospetto di opportunismo per operazioni che dichiarano l’obiettivo di creare una memoria condivisa?

La memoria serve a rafforzare l’identità, la storia a dare un’interpretazione critica dei fatti, anche a smontare i falsi miti. Hanno però in comune il fatto che entrambe allontanano l’oblio. La sfida sta in questo: profittare dell’indagine storica per dare alla memoria una dimensione di giustizia, il significato di un’assunzione di responsabilità. E a rendere possibile il superamento della logica contrappositiva che c’era ancora a metà degli anni 2000 la quale, in nome della condivisione, portava a confondere le ragioni dei vivi con l’eguaglianza dei morti. (3/fine)

Carlo Calore

 

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