SCIENZA E RICERCA

Le attività umane stanno seccando l’Amazzonia

Ancora brutte notizie per la foresta pluviale amazzonica, come se non ne mancassero. Già colpita dai recenti incendi, già presa di mira dalle politiche negazioniste del cambiamento climatico del presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, ora è uno studio della Nasa, l’agenzia spaziale americana, a lanciare l’ennesimo grido d’allarme.

La Nasa, in uno studio pubblicato di recente, dimostra come – negli ultimi 20 anni – l’atmosfera sopra la foresta amazzonica si è seccata, aumentando, di conseguenza, la domanda di acqua da parte delle piante e lasciando l’ecosistema vulnerabile agli incendi e alla siccità. Colpa di un fenomeno naturale? Purtroppo no, le conclusioni sono chiare: le modifiche sono primariamente causate dall’essere umano. 

Gli scienziati del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena hanno analizzato una grande mole di dati di terra e satellitari per tracciare la quantità di umidità presente nell’atmosfera e quanta ne fosse necessaria per alimentare l’ecosistema pluviale. “Abbiamo osservato negli ultimi due decenni – spiega Armineh Barkhordarian, prima firma della ricerca – un significativo aumento della siccità in atmosfera e, allo stesso tempo, un considerevole aumento della richiesta di acqua da parte della foresta stessa”. Le analisi hanno determinato che le modifiche occorse sono ben al di là di quanto i ricercatori si sarebbero aspettati dalla naturale variabilità climatica

L’impronta climatica dell’uomo

Se non si tratta di un processo naturale (abbiamo già visto come il clima del pianeta Terra si modifichi nel tempo), allora la colpa non può che ricadere sugli interventi generati dall’uomo: “Gli elevati livelli di gas climalteranti – prosegue Barkhordarian – sono responsabili per il 50% dell’aumento dei livelli di aridità. L’altra metà è il risultato di altre attività umane in progressione”. Nello specifico l’appiccamento di incendi per liberare la terra e renderla coltivabile. La combinazione di queste attività sta causando questa significativa alterazione climatica, portando il clima amazzonico a surriscaldarsi. 

Ma c’è dell’altro: quando una foresta brucia vengono rilasciate particelle in aerosol nell’atmosfera. Tra queste la comunemente chiamata fuliggine. Mentre le particelle traslucide riflettono la radiazione solare, quelle più scure la assorbono. Il risultato porta l’atmosfera a riscaldarsi. Il fenomeno può interferire sulla formazione delle nuvole e, di conseguenza, sulle precipitazioni piovose.

 

Perché bisogna preoccuparsi

L’Amazzonia è la più grande foresta pluviale della Terra. Quando è in salute assorbe miliardi di tonnellate di CO2 all’anno attraverso la fotosintesi. Riducendo la CO2, l’Amazzonia compete nell’aiutare a tenere basse le temperature e nel regolare il clima.

Si tratta però di un processo estremamente delicato e molto sensibile ai fenomeni di siccità e ai trend di riscaldamento.

Gli alberi infatti richiedono acqua per la fotosintesi e per raffreddarsi. Recuperano acqua dalle radici e rilasciano in atmosfera vapore acqueo che, risalendo, può contribuire alla formazione di nuvole. Queste ultime causano la pioggia che, cadendo al suolo, permette a questo ciclo di autoalimentarsi: le foreste pluviali, soprattutto durante i periodi di siccità, “producono” da sole quasi l’80% del loro fabbisogno di pioggia, spiega la Nasa. 

Ecco allora sorgere il problema: se il ciclo appena descritto è interrotto o influenzato da un aumento della siccità nell’aria è l’intero ecosistema ad andare in crisi. “Si tratta di un problema di domanda e di rifornimento – spiega Sassan Saatchi, co-autore dello studio Nasa – Con il crescere della temperatura e della siccità nell’aria al di sopra della foresta, gli alberi sono costretti a traspirare di più per raffreddarsi, immettendo maggiore vapore acqueo in atmosfera. Ma, allo stesso tempo, il terreno non è più in grado di fornire il quantitativo necessario di acqua. Lo studio dimostra come questa domanda è in aumento mentre le riserve diminuiscono”. Se questo trend non si modificasse la foresta non potrebbe più essere in grado di sostentarsi. 

Il problema non è di poco conto: se non si riuscirà a invertire il processo in corso e – sul lungo periodo – la foresta non fosse più in grado di “funzionare” correttamente, molti degli alberi e delle specie che vivono al suo interno potrebbero non sopravvivere. E, man mano che gli alberi muoiono, soprattutto i più grandi e i più vecchi, questi rilascerebbero CO2 in atmosfera. D’altra parte con meno alberi a disposizione diminuirebbe pure l’assorbimento dell’anidride carbonica. Significherebbe perdere uno dei più importanti elementi di termoregolazione del clima terrestre.

 

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