SCIENZA E RICERCA

Computer sempre più creativi ed “emotivi”?

Non sono del tutto d’accordo con Luc Julia: per me anche nell’intelligenza artificiale c’è una certa dose di creatività. Che non viene solo dal programmatore: prende ispirazione dall’ambiente un po’ come gli artisti, come Beethoven che sente il canto degli uccelli nel bosco e poi va a scrivere la sua sinfonia”. Parole importanti, soprattutto se consideriamo da dove arrivano. Yann LeCun è vicepresidente e Chief AI Scientist di Meta, la multinazionale che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp, ma soprattutto è uno dei ricercatori più noti a influenti a occuparsi da anni di intelligenza artificiale. Docente di Computer Science alla New York University, i suoi campi di ricerca spaziano dall’apprendimento profondo alla visione artificiale e nel 2019 ha ricevuto il premio Turing, l’equivalente del Nobel per l’informatica. I suoi studi hanno contribuito a ispirare ChatGPT, eppure (o forse proprio per questo), recentemente ha dichiarato di ritenerla ‘non particolarmente innovativa’.

Al festival sull’intelligenza artificiale di Cannes LeCun è letteralmente una star: difficile anche solo avvicinarlo, circondato com’è da una moltitudine di studenti, ricercatori e fondatori di start-up che vogliono parlargli o semplicemente farsi un selfie con lui. E lui, da vero scienziato illuminato stile west coast (anche se in realtà risiede nella east), risponde affabilmente a tutti. E sull’intelligenza artificiale ha meno dubbi rispetto ad altri colleghi: i computer hanno già un certo livello di autonomia rispetto agli umani, che in futuro potrà solo aumentare… e chissà, forse un giorno potranno provare addirittura emozioni. Per lui le funzioni di un'AI “le permettono di imparare ad anticipare passo dopo passo gli esiti di alcune situazioni. Se vedi un bambino sporgersi da un terrazzo corri ad afferrarlo perché hai paura che cada; se un sistema, che io chiamo di ‘intelligenza artificiale autonoma’, impara ad anticipare quello che sta per accadere e a prefigurare che una situazione è pericolosa, significa anche che avrà delle emozioni. Perché questo sono le emozioni: anticipazioni degli esiti delle situazioni”.

Prospettiva affascinante, anche se non necessariamente condivisa da tutta la comunità di coloro che si occupano di computer science ad alti livelli. Mauro Conti ad esempio nel suo keynote speech tenuto qui a Cannes sul tema fondamentale del rapporto tra AI e cybersecurity, sottolinea come ci siano ancora parecchie falle negli algoritmi, che si possono ad esempio intravvedere nei fallimenti dei sistemi automatici contro il diffondersi dei discorsi d’odio sulle piattaforme social – “anche se Yann sosterrà il contrario”, ironizza lo scienziato – oppure nei ritardi nella commercializzazione delle automobili a guida automatica. Tuttavia nonostante questo secondo Conti – che presso l'università di Padova coordina il corso di laurea magistrale in Cybersecurity e SPRITZ, gruppo di ricerca specializzato in privacy e sicurezza – “l’AI è da tempo uno strumento preziosissimo per risolvere molte difficoltà sulla cybersecurity come l’autentication, la detection di anomalie e malware, biometria e così via. Allo stesso tempo alcuni problemi derivano dalla possibilità di sfruttare, da parte di chi vuol attaccare un sistema, le stesse vulnerabilità dell’AI e nello specifico del machine learning come tecnologia”. Si tratta del cosiddetto adversarial machine learning (apprendimento automatico antagonistico), che mira proprio a ‘ingannare’ gli algoritmi di apprendimento automatico.

Chi al momento respinge decisamente l’accostamento tra computer e umanità è Federico Faggin, considerato il padre dell’Intel 4004, il primo microprocessore entrato in commercio nel lontano 1971, nonché fondatore nel 1986 di Synaptics, prima società privata a portare nei negozi touchpad e touchscreen. “La mia carriera mi ha portato ad avere un rapporto molto speciale con l’AI, ma il vero problema oggi è la coscienza”, ha detto il fisico e inventore durante l’evento organizzato a Cannes dall’Associazione Alumni dell’università di Padova, al quale è intervenuto in collegamento dagli Stati Uniti. Al contrario di quanto sostenuto da Yann LeCun, secondo Faggin “i computer non possono avere sensazioni ed emozioni, quindi non sono e non potranno essere autocoscienti. Noi non siamo fatti come i computer: siamo diversi e migliori! Se dimentichiamo l’umanità facciamo un terribile errore; per questo dobbiamo stare attenti: l’AI è una tecnologia potentissima, che può essere usata sia per il bene che per il male. Se la usiamo solo per monetizzare costruiamo un futuro orribile”.

Il contributo di Padova

Faggin ha raccontato il suo percorso umano e professionale assieme a Giovanni Baldassarri, presidente dell'Istituto EuropIA.it, Roberto Magnani, consulente e manager, e Zimi Sawacha, docente di bioingegneria elettronica e informatica e Chief Technology Officer di BBSoF: altri tre alumni dell’università che, come migliaia di altri, hanno scelto di lavorare nel settore high-tech, e che magari negli anni hanno anche fondato anche delle imprese. Come hit09, altro spinoff dell’università di Padova presente a Cannes che, partita dall’aerospazio, in oltre 10 anni di vita ha esteso i suoi servizi fino ad altri settori come quelli dei sistemi robotici subacquei e delle attrezzature per la diagnostica medica, e che oggi sta mettendo a punto un sistema rivoluzionario basato sull’intelligenza artificiale per il riconoscimento di immagini fortemente corrotte per applicazioni legate alla navigazione elicotteristica.

O come Spinlife, che a sua volta ha accompagnato l’ateneo nella città provenzale, che si occupa gestione ambientale strategica e di tecniche di management della sostenibilità. “Io ad esempio come ingegnere ambientale mi occupo di valutazioni di Life cycle assessment – spiega Stefania Presta –, in modo tale da aiutare le imprese a capire l’impatto ambientale dei loro prodotti e dei loro servizi, ma anche di report di sostenibilità e altri strumenti che possono aiutare aziende e pubbliche amministrazioni a gestire tutte e tre le aree della sostenibilità: environment, social e governance (esg)”.

Le applicazioni delle nuove tecnologie escono dai settori che le sono tradizionalmente legati per contaminarne altri un tempo considerati attinenti all’area umanistica, come l’insegnamento. Così tra gli spinoff padovani che hanno scelto di essere al festival c’è anche Mind4Children, start-up fondata nel 2019 e presieduta da Daniela Lucangeli, docente di psicologia dello sviluppo presso l’università di Padova ed esperta di psicologia dell’apprendimento, che sviluppa progetti per promuovere il benessere di bambini e famiglie. “Siamo qui perché ci interessa esplorare le potenzialità dell’AI proprio per migliorare l’apprendimento di bambini e ragazzi, in contesto scolastico e non solo”, chiarisce Chiara Curiale di Mind4Children, mentre il suo collega Alberto Frizzerin aggiunge che “tra i nostri progetti recenti c’è quello di approfondire il ruolo delle intelligenze multiple (secondo la teoria sviluppata dallo psicologo americano Howard Gardner, ndr) e di come poterle avvicinare al mondo digitale”.

Occasioni come quella rappresentata dal World Artificial Intelligence Cannes Festival si rivelano insomma importanti, sia per conoscere e aggiornarsi che per intrattenere relazioni e creare collaborazioni. Al tempo stesso la presenza ufficiale di un ateneo con una lunga storia e una grande tradizione nell’elaborazione e nella diffusione del sapere scientifico non è passato inosservato dalle parti della Croisette. L’università di Padova ha infatti ricevuto un premio speciale per l’apporto e per la qualità della sua partecipazione da parte dell’Istituto EuropIA, associazione senza scopo di lucro nata per promuovere la cultura dell'intelligenza artificiale e un approccio umano e umanistico ai grandi temi del dibattito scientifico. Come a dire: continuiamo a collaborare, imprese e università, per sviluppare insieme una visione della scienza e della tecnologia sempre più giusta, sostenibile e umana.

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