Il buon formaggio è meglio odorarlo, assaporarlo, degustarlo, mangiarlo, almeno fra coloro che non sono intolleranti a latte e latticini: su questo siamo forse tutti d’accordo! Prima o dopo, per scoprirne altri valori o per digerirne il piacere, leggere informazioni e narrazioni sul formaggio può non guastare. In vista delle letture delle settimane festive si potrebbe allora cercare un testo che parli in vario modo di formaggi, pure come una buona originale idea regalo, per se stessi o per altri amici e conoscenti. Entrare in una libreria fa sempre bene, si respirano comunque inebrianti odori e sapori. Inoltre, titolare e commessi potrebbero consigliare qualcosa di pertinente o, magari, la proposta serve a mettere loro una pulce nell’orecchio o nel naso (comunque nel gusto). Ecco qualche spunto goloso per l’alfabetizzazione caciara, senza pretese di completezza e organicità, ben consapevoli che molti lettori potrebbero conoscere altri testi e aggiungere titoli importanti.
A casa qualcuno desidera avere, fra i libri di cucina, da sfogliare e consultare, guide o repertori sui formaggi nel mondo. Quarant’anni fa acquistai un libro di ricette a Parigi nello straordinario famosissimo negozio specializzato Androuet (quasi infinita scelta di formaggi, dai più conosciuti ai più artigianali e particolari, sia francesi che internazionali) scritto dal proprietario Pierre (1915-2005), principale erede dell’antica famiglia di maître fromager dal 1909 (rue de Verneuil 37-39 nel settimo Arroindessement, ristorante e stabilimenti anche altrove): La cuisine au fromage. 800 recettes du monde entier (Editions Stock, 1° ed. 1978, 1.038 pagine), con prefazioni, appendice terminologica, regole per utensili e temperatura, indici. Qualche anno prima, nel gennaio 1971 lo stesso autore aveva pubblicato la Guide du fromage, sono poi uscite ristampe e riedizioni di entrambi, tutto acquistabile soprattutto nei loro negozi. Prima e soprattutto dopo, sono ovviamente usciti innumerevoli libri “scientifici”, esiste una bulimia di guide, dizionari, enciclopedie, elenchi, atlanti, viaggi alla ricerca del formaggio e dei formaggi a livello dei principali paesi produttori e internazionale globale. Di tutto ciò qualcosa forse si trova in librerie antiquarie e dell’usato.
Di recente sempre in Francia è stato pubblicato un bel tomo di Tristan Sicard, ottimamente illustrato da Yannis Varoutsikos, L’atlas pratique des Fromages (2018), da poco disponibile anche nella versione italiana, Guido Tommasi editore, 2020, pag. 272, euro 30 (traduzione di Silvana Mancuso): origini, territori (senza confini nazionali e nazionalistici), marchi e selezione di oltre 400; segreti della degustazione e dell’alimentazione, compresi gli abbinamenti. Credo che in qualsiasi libreria si trovi e ce ne sono tanti di simili usciti o aggiornati negli ultimi anni, è arduo orizzontarsi o consigliarne proprio soltanto uno. La comparazione e la scelta rischiano di essere noiose e burocratiche, anoressiche. Ormai, comunque, tutte le ricette e le indicazioni sono in rete, sul web, valutate e commentate. Per praticità effettiva tanto vale partire dal singolo formaggio che si ha o si cerca, dalle possibili combinazioni culinarie e dai possibili abbinamenti già sperimentati, leggere qualcosa (poco) solo quando serve.
Proviamo ad annusare l’aria per trovare altri libri, volumi che odorino di formaggio, che ci trasmettano per iscritto qualcosa diretto anche ai nostri olfatto e gusto e tatto, oltre che al nostro cervello e alle nostre sinapsi. Non notizie, non concetti, non giudizi, piuttosto umori amori sapori letterari, connessi a un cibo cruciale della produzione alimentare italiana. Devo un primo spunto al maître fromager Eros Scarafoni di Fontegranne (Belmonte Piceno): Italo Calvino, Palomar, Einaudi 1983 (ristampa Mondadori 2020, pag. 122, euro 12). L’autore lo pubblicò a 60 anni, due prima di morire, la gestazione era stata però lunghissima e la stesura matematicamente meticolosa. Il titolo in spagnolo significa "colombaia", anche se ciò non ha nulla a che vedere col libro. Riassunse la storia in due frasi: “Un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo a passo, la saggezza. Non è ancora arrivato”.
I 27 brevi testi di Palomar sono distinti secondo una disposizione matematica di 3 parti, ciascuna con 3 sezioni, ciascuna delle 9 sezioni con 3 capitoli. Il cuore del libro (secondo lo stesso Calvino) è la sezione “Palomar fa la spesa”, dedicata ai negozi alimentari di Parigi (corrispondente all’amato persistente tema da lui definito “le basi materiali dell’esistenza”). Il secondo cruciale capitolo è intitolato Il museo dei formaggi. Ah, meraviglia! Il signor Palomar fa la coda in un magnifico negozio. Sembra un museo, un luogo sacro (Calvino visse nella capitale francese; potrebbe aver preso spunto proprio da Androuet)! Un’insegna recita “Spécialités froumagères”, si capisce subito che vengono lì custodite eredità, storia e geografia di un sapere accumulato. Lui vorrebbe comprare formaggini di capra sott’olio. Gli “basterebbe stabilire la semplicità d’un rapporto fisico diretto tra uomo e formaggio. Ma se lui al posto dei formaggi vede nomi di formaggi, concetti di formaggi, significati di formaggi, storie di formaggi, contesti di formaggi, psicologie di formaggi… ecco che il suo rapporto diventa molto complicato. La formaggeria si presenta a Palomar come un’enciclopedia a un’autodidatta”.
C’è chi si lascia tentare e chiede di assaporare prelibatezze mai provate, c’è chi prende ciò che deve ma alla lista aggiunge sempre formaggi nuovi che a casa sperimenterà, c’è chi è rigido e cerca di non guardare e non farsi catturare dagli odori, testardamente porterà a casa ciò che deve. Il signor Palomar è combattuto. Avrebbe crescente desiderio di provare e di trovare quello perfetto per lui, in sostanza voglia di non scegliere il proprio cibo, ma di farsi scegliere. Oppure vorrebbe classificare tutte le forme, le consistenze, i tipi di croste, gli ingredienti coinvolti, come pepe, noci, uva passa, erbe, sesamo e muffe, ma ciò non basterebbe a raggiungere la vera conoscenza, lo sa, “che sta nell’esperienza dei sapori, fatta di memoria e d’immaginazione insieme”. Tira fuori un taccuino e, al nome di formaggio, aggiunge una nota, una forma, un colore. Ma ecco! Tocca a lui ora! Avrebbe pronta un’ordinazione elaboratissima da vero gourmand, è assorto quando la giovane commessa lo richiama, è arrivato il suo turno e gli altri in coda lo guardano scuotendo il capo. Lui balbetta, suda, non è più concentrato, si scorda tutto e avviene l’abominio! Il signor Palomar chiede il formaggio più ovvio, banale e pubblicizzato, “come se gli automatismi della civiltà di massa non aspettassero che quel suo momento d’incertezza per riafferrarlo in loro balìa”. Il racconto finisce così.
Il buon formaggio è così buono, certi formaggi sono così appetibili che se ne occupano anche le canzoni dello Zecchino D’oro e gli scrittori di genere, quelli di gialli e noir parlando di crimini che possono ruotare o attorno a formaggi fatti male e venduti a caro prezzo o a formaggi il cui valore merita di essere rubato. Si potrebbero fare molti esempi, mi limito a due, inevitabilmente ispirati a casi in qualche modo veri, alle rapine nei caseifici o alle contraffazioni alimentari, tutti ambientati nel Nordest e, in particolare, in Veneto. Senza tornare indietro al grande Massimo Carlotto (vi è appena stata la serie televisiva dell’Alligatore su RaiDue), più recenti sono i divertenti La banda del formaggio di Paolo Nori (Marcos y Marcos, Milano 2013) e Zodiaco Street Food di Heman Zed (Neo, Castel di Sangro 2020). Riferimenti caciari non mancano in narrazioni e storie di ogni altro genere letterario, comprese le poesie. Qualcuno ha scovato anche una lirica intitolata “Ode al formaggio”. Si può parlare di formaggi nei libri per ragazzi, se non altro perché hanno spesso protagonisti i topi, che ne sarebbero pare ghiotti. Bisognerà fare una raccolta prima o poi delle relazioni tra formaggi e fiction. D’altra parte, nella no fiction non bisogna cercare solo manuali esaustivi, ma anche riflessioni accurate sul formaggio in tanti saggi di varie discipline scientifiche. Segnalo, per fare un esempio, il bellissimo titolo del godibile libro del grande storico italiano Carlo Ginzburg (Torino, 15 aprile 1939), Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ‘500, Adelphi 2019 (1° edizione Einaudi 1976), pag. 231, euro 24, di grande successo di pubblico oltre che fra gli specialisti, tradotto già in 23 lingue.
Ginzburg, sulla base di una ricerca sulle classi subalterne del passato (che mostra l’ambiguità del concetto di “cultura popolare”) e di un'analisi approfondita di alcune specifiche carte processuali, prende in esame le vicende di un oscuro (ma capace di leggere e scrivere) mugnaio friulano del XVI° secolo, Domenico Scandella detto Menocchio (1532-1599), per due volte sottoposto a processo per eresia da parte del Sant’Uffizio, una prima volta condannato al carcere a vita (poi liberato con atto di clemenza per le cattive condizioni di salute e per la precaria situazione economica della famiglia) e successivamente, a quindici anni di distanza, arso al rogo come relapso e pertinace. Ginzburg mostra come dietro alle confessioni dell’imputato interrogato (accusato di sostenere che il mondo nasce dalla putrefazione) e dietro alla sua descrizione della Cosmogonia si celassero influssi della Bibbia e di altri libri in qualche modo letti, ma anche elementi della cultura popolare, alcuni dei quali presumibilmente di origine orale antichissima. L'idea della nascita del vivente dal non vivente (i vermi dal formaggio), peraltro, era in quel periodo appannaggio della cultura ufficiale e non solo delle credenze popolari, paradossalmente considerata un'idea di tipo scientista in quanto contrapposta all'idea di creazione da parte di un essere superiore.
Il fatto è che il formaggio fa parte del vivente, è un prodotto naturale secondario, nasce dalla fermentazione, dipende sia dai viventi batteri unicellulari e funghi uni e pluricellulari, ordini biologici né animali né vegetali, con completa autonomia vitale e replicativa, sia da umane viventi pratiche sul latte animale, possibili e sperimentate dopo la fine dell’ultima glaciazione e della vita errante, con l’avvio stanziale e diffuso dell’agricoltura e dell’allevamento. La fermentazione del latte è il risultato dell’azione di microorganismi apportati con il caglio o naturalmente presenti nel latte, e della relativa attività metabolica, microorganismi che possono essere contaminanti naturali ovvero aggiunti deliberatamente sotto forma di colture, e che poi influiscono anche sul sapore, una popolazione “infinita” che si sta riducendo per via di un’agricoltura sempre più standardizzata e artificialmente chimica. Come noto, tutti i formaggi derivano da tale “fermentazione” e dalla successiva eventuale maturazione; quelli definiti freschi si ottengono quasi solo a partire dalla coagulazione del latte; i più, quelli definiti formalmente fermentati (o anche erborinati), hanno sviluppato ed evidenziano sulla superficie della pasta delle muffe (fungine), sotto forma di venature dal caratteristico colore verde tendente al blu. Tali muffe sono il risultato di trasformazioni di carattere fisico e biochimico.
Sulla fermentazione suggerisco due libri utili pure per i formaggi. Il primo è di Sandor Ellix Katz, Il mondo della fermentazione. Il sapore, le qualità nutrizionali e la produzione di cibi vivi fermentati, Slow Food Editore, 2018 (orig. 2016, 2° ed., trad. Carlo Nesler), pag. 350 euro 18, che spiega anche come garantirsi eventualmente caseificazione in casa. Tutte le forme di vita sulla terra hanno origini batteriche e alcuni batteri, fra l’altro, mettono in atto straordinarie trasformazioni culinarie. La fermentazione è alla base di molti dei nostri alimenti principali e di alcune squisitezze come cioccolato, caffè, vino, birra e formaggio. Il termine fermentation si usa allo stesso modo in tante lingue e, per tutte, deriva dal latino fervere, ribollire, lo spunto storico e fisico è quanto accade all’interno del mosto nel processo di vinificazione. Esseri umani sapienti (e forse prima anche altre specie umane) lo hanno veduto di persona in diretta, facendone ben presto un progetto e un processo, derivandone prodotti agricoli secondari, dal miele all’idromele, dal succo d’uva al vino, dal latte al formaggio, dalla farina di cereali al pane, quest’ultimo tramite il fuoco (scoprendo che la cottura induce ulteriori modificazioni). Per molti dei prodotti agricoli secondari, il terroir è decisivo: microorganismi, climi, latti, sapiens, pascoli, animali lattiferi hanno geografie e storie particolari. Il secondo libro consigliato sulla fermentazione èaltrettanto odoroso e divertente. Lo ha recentemente pubblicato il giovanissimo micologo Merlin Sheldrake, L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi, Marsilio 2020 (trad. Anita Taroni e Stefano Travagli), pag. 377 euro 20 (ne abbiamo qui già parlato). La fermentazione è forse l’argomento più lirico di quelli connessi alle scritture sul formaggio, il processo crea qualcosa di biologicamente diverso, coniuga vivente umano e vivente non umano, trasforma liquido latte in solido cibo, richiama culture e discipline differenti, mescola insieme inevitabilmente finzione e realtà, suggerisce altri pensieri e altre letture. A vostro gusto, per un augurio di buone feste, a distanza!