SOCIETÀ

I danni di una sfiducia nella scienza che diventa identità politica

Quando la sfiducia nella scienza diventa parte dell’identità politica di appartenenza gli esiti possono essere drammatici. Secondo i dati raccolti dallo US general social survey, nel 1982 circa la metà dei Repubblicani statunitensi assegnava un alto grado di fiducia alla comunità scientifica. A inizio anni 2000 quella percentuale era scesa al 40% e oggi solo un repubblicano su tre ha mantenuto quella convinzione.

Gli elettori del partito Democratico statunitense hanno fatto invece un percorso inverso: all’inizio degli anni ‘90 il 40% dichiarava un alto grado di fiducia nella comunità scientifica, mentre oggi quella percentuale è salita al 60%.

Nel 2020, per le elezioni del nuovo presidente degli Stati Uniti, diverse tra le più autorevoli riviste scientifiche al mondo, come le americane Science e New England Journal of Medicine, ma anche le britanniche Nature e The Lancet, avevano rotto gli indugi, oltre che una certa consuetudine di terzietà rispetto alla politica, e avevano apertamente attaccato Donald Trump, denunciandone le posizioni anti-scientifiche in tema di gestione della pandemia, della crisi ambientale e più in generale avevano duramente criticato le sue decisioni sulla gestione della ricerca scientifica statunitense che, secondo quanto scriveva Nature, correva il rischio di venire danneggiata in modo permanente.

Diversi articoli usciti sulla stampa internazionale, tra cui uno del Financial Times, oggi si chiedono, forse semplificando e polarizzando ulteriormente la questione, quando quello Repubblicano sia diventato il partito dell’anti-scienza e lo fanno citando un lavoro di tre studiosi di Yale secondo cui, guardando ai dati dei decessi dal 2021 in poi, essere Repubblicano può essere considerato un ulteriore fattore di rischio per morire di Covid-19.

Da quando sono stati resi disponibili i vaccini infatti si è riscontrato un eccesso di mortalità significativamente maggiore tra gli elettori Repubblicani rispetto a quanto accaduto tra elettori Democratici. Una visione politicizzata delle vaccinazioni e della scienza che ci sta dietro potrebbe essere, secondo gli autori, causa di tale differenza.

Lo studio, pubblicato in pre-print sul National Bureau of Economici Research, ha analizzato l’eccesso di tasso di mortalità in due Stati a guida repubblicana, Florida e Ohio, da gennaio 2018 a dicembre 2021.

Quasi 600.000 individui deceduti in questo intervallo temporale sono stati associati ai rispettivi registri elettorali del 2017. Con gli opportuni aggiustamenti statistici del caso, è stato mostrato che dal 2018 a inizio 2020 l’eccesso di mortalità è stato simile tra Repubblicani e Democratici e sostanzialmente attorno allo zero: in una condizione di “normalità” sanitaria il numero di decessi è stato in linea con quanto accaduto negli anni precedenti. Non si registra quindi un eccesso di mortalità.

Dall’inverno 2020 all’estate del 2021 invece il Covid fa capolino tra questi numeri, ma lo fa in modo uniforme: l’aumento del tasso di mortalità si riscontra in entrambi i gruppi di elettori.

Tuttavia, dall’estate 2021 quando i primi vaccini sono stati resi disponibili alla popolazione, l’eccesso di mortalità tra i Repubblicani diventa quasi il doppio rispetto a quello dei Democratici, aumentando ancora di più nell’inverno 2021.

“Questo netto contrasto nell’eccesso di tasso di mortalità prima e dopo la disponibilità di vaccini suggerisce che la scelta di assumere o meno il vaccino abbia giocato un ruolo importante” scrivono gli autori. “I dati sull’assunzione del vaccino divisi per partito sono limitati e non disponibili nel nostro dataset, ma esistono evidenze sulle differenze di propensione alla vaccinazione e inoculazioni riportate in base all’affiliazione politica”. Gli autori riportano infatti di aver trovato evidenze “sul fatto che la vaccinazione contribuisce a spiegare le differenze di eccesso di mortalità in base all’affiliazione politica”.

Secondo KFF, una fondazione noprofit che raccoglie e analizza dati in ambito sanitario, nonostante le critiche giunte alla FDA (Food & Drug Administration) e al CDC (Center for Disease Control and Prevention) statunitensi, da dicembre 2020 ad aprile 2022 la fiducia dei Democratici in queste istituzioni è rimasta alta, mentre quella dei Repubblicani è scesa dal 60% al 40%, anche per quanto è riguardato la figura di Antohony Fauci.

Guardando i dati relativi alle vaccinazioni, KFF riporta che ad aprile 2022 il 91% dei Democratici aveva ricevuto almeno una dose di vaccino, mentre la percentuale dei Repubblicani era il 66% (quella di coloro che non avevano un’affiliazione politica il 75%). Non solo, i Repubblicani che hanno dichiarato che non si sarebbero mai vaccinati erano il 33% (i Democratici il 6%, gli indipendenti il 22%). A maggio 2021 solo metà dei Repubblicani aveva accolto l’invito a vaccinarsi, contro l’82% dei Democratici.

Se ci si inoltra tra le frange più estreme del partito della destra statunitense, come riporta il Financial Times, la resistenza alle vaccinazioni sale fino al 55%, percentuale che stacca di molto quanto accade in contesti simili nel resto del mondo.

In Gran Bretagna ad esempio si sono vaccinati più del 70% di coloro che hanno sostenuto la Brexit nel 2016. Valori simili si hanno in Francia, dove circa il 30% di coloro che supportano partiti populisti non si è vaccinato. In Germania invece sono circa il 40% i sostenitori del partito di ultra-destra Alternative für Deutschland a non aver ricevuto alcuna inoculazione contro Covid-19.

Se le resistenze dei Repubblicani nei confronti delle vaccinazioni sono un fenomeno emerso in modo lampante negli ultimi anni di pandemia, lo scetticismo di una buona parte della destra statunitense nei confronti della realtà del cambiamento climatico e delle sue origini antropiche è un fenomeno, noto da tempo, che in verità non riguarda solo la destra statunitense.

In Brasile ad esempio la campagna elettorale tra il candidato di sinistra Lula e il presidente conservatore uscente Jair Bolsonaro si sta giocando molto sulla gestione del patrimonio ambientale dell’Amazzonia e sulle politiche di contrasto al cambiamento climatico. Bolsonaro nel corso del suo mandato ha assunto più volte posizioni negazioniste, sia nei confronti del Covid-19 sia della crisi climatica e ambientale.

L’Italia è stata uno dei Paesi che è riuscito a ottenere uno dei più alti tassi di vaccinazione della popolazione. Il 25 settembre però è andata al voto e ha eletto un Parlamento che ha espresso uno dei governi più a destra dal dopoguerra in avanti. Come ha titolato un editoriale di Nature Italy rivolto al nuovo esecutivo, questo “non è il momento di trascurare la scienza”.

Su tutte, la sfida climatica e ambientale ha bisogno di coraggiose e urgenti misure che siano informate dalla conoscenza scientifica. L’associazione “La scienza al voto” coordinata dal fisico del clima Antonello Pasini prima delle elezioni aveva ottenuto la firma di quasi tutte le forze politiche che si impegnavano a costituire un Consiglio Scientifico di supporto a governo e parlamento sulle decisioni ambientali. Se il buongiorno si vede dal mattino, i segnali che arrivano dal nuovo governo non sono incoraggianti, dato che dal nuovo ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica è stato tolto ogni riferimento alla transizione ecologica.

Alla salute dell’ambiente del resto è sempre più legata la salute dei cittadini. Città più inquinate si traducono immediatamente in un bilancio sanitario più gravoso e in tempi di crisi economica ed energetica si fa sempre più corta la coperta del bilancio pubblico, già condizionato da un debito salito oltre il 150% del Pil durante gli anni della pandemia.

Oltre a mantenere gli impegni presi con il PNRR in chiave di innovazione tecnologica e sociale del tessuto produttivo, è fondamentale mantenere il trend di supporto alla ricerca pubblica inaugurato negli ultimi due anni. L’Accademia Nazionale dei Lincei ha pubblicato un Piano Quinquennale di finanziamento alla ricerca: “il futuro dell’Italia si gioca su scienza e ricerca”, è l’appello rivolto ai nuovi governanti. Se non si aumenteranno di circa 10 miliardi di euro i fondi alla ricerca pubblica nei prossimi 5 anni, la percentuale di Pil dedicata al settore scenderà e tornerà ai livelli di 12 anni fa, di poco sopra allo 0,5%.

Infine, come ricorda un editoriale su Science, ma come anche ci dicono anni di analisi sociologiche, la migliore arma contro la misinformazione (ovvero l'incapacità di orientarsi tra notizie poco affidabili) è il livello di istruzione, settore su cui troppo poco hanno investito tutti i governi, di ogni colore politico, degli ultimi trent'anni almeno.

Istruzione, ricerca e sviluppo che godono di buona salute sono garanzia di un Paese al passo con le sfide che deve affrontare. Detta in altri termini, più congeniali al destinatario, dare ascolto alla scienza e supporto all'istruzione e alla ricerca può essere considerata a pieno titolo una questione di sicurezza nazionale.

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