SCIENZA E RICERCA

Piano quinquennale per la ricerca: l'appello alla politica dall’Accademia dei Lincei

La scorsa settimana l’Accademia Nazionale dei Lincei ha pubblicato un documento rivolto a elettori e politici che pone l’accento sulla necessità di finanziare adeguatamente la ricerca negli anni a venire.

Il Piano quinquennale 2023-2027 per la ricerca pubblica ritiene sia necessario aumentare la spesa in ricerca pubblica per mantenere il trend di finanziamento iniziato gli scorsi anni e che sarà supportato, in parte, anche dai fondi del PNRR fino al 2026. Negli ultimi due anni infatti l’Italia è arrivata a spendere lo 0,6% del proprio Pil in ricerca e sviluppo (11 miliardi di euro nel 2020, 11,5 nel 2021), dopo molti anni in cui tale spesa era sostanzialmente ferma allo 0,5%.

Affinché questo investimento venga mantenuto, tuttavia, secondo Ugo Amaldi, Luigi Ambrosio, Luciano Maiani e Angela Santone che hanno firmato il Piano quinquennale pubblicato dai Lincei, è necessario fare uno sforzo ulteriore e aggiungere a bilancio altri 10,4 miliardi di euro in 5 anni rispetto agli aumenti già stanziati (circa 6,9 miliardi di euro).

“È necessario rendere strutturale l’investimento in tutta la ricerca pubblica - al livello degli altri Paesi a noi omogenei come Francia e Germania – facendo in modo di finanziare soltanto progetti di qualità, aumentare il numero di ricercatori, dando loro sicurezza di futuro e strumentazioni adeguate, e rendere più meritocratici i criteri di assegnazione delle risorse” si legge nel documento dei Lincei.

L’ossatura del piano quinquennale: il Piano Amaldi

Il nuovo programma quinquennale di finanziamento riprende e aggiorna nel dettaglio una proposta già presentata nel 2020 nota come Piano Amaldi. Quest’ultimo prevedeva un aumento dei fondi per il settore della ricerca pubblica di almeno 15 miliardi di euro in 5 anni, per arrivare a spendere lo 0,75% del Pil in ricerca pubblica. In tal modo si sarebbero raggiunte le percentuali di investimento della Francia, restando purtuttavia ancora dietro alla Germania, che spende circa l’1% del proprio Pil in ricerca pubblica (se si considerano anche gli investimenti privati l’Italia spende l’1,4% del proprio Pil in ricerca, la Francia il 2,1%, la Germania il 3%).

Il Piano Amaldi era stato inserito ed espressamente menzionato in una prima bozza del PNRR a gennaio 2021, salvo poi sparire dalla versione definitiva approvata a maggio 2021. L’allora primo ministro Mario Draghi aveva risposto a un intervento parlamentare della senatrice Elena Cattaneo dicendo che i fondi per la ricerca richiesti dal Piano Amaldi sarebbero stati inseriti nella legge di bilancio di fine anno, quindi messi a bilancio in forma di spesa ordinaria, e non “straordinaria” come sarebbe stata quella del PNRR. La legge di bilancio di dicembre 2021 ha effettivamente aumentato i fondi destinati alla ricerca, ma non stanziandone tanti quanti richiesti dal Piano Amaldi.


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Ora il Piano quinquennale pubblicato dai Lincei torna a chiedere che i fondi richiesti vengano messi a bilancio, proponendo un aumento complessivo di 17,22 miliardi di euro in 5 anni, dal 2023 al 2027. Di questi, però, come già detto, quasi 6,9 miliardi di euro sono già stati stanziati dal MUR (Ministero di Università e Ricerca), che quindi è in parte già venuto incontro agli appelli avanzati dagli scienziati. Ecco allora che l’aumento ora richiesto sarebbe di circa 10,4 miliardi di euro, così ripartiti nei 5 anni: circa 200 milioni nel 2023, 800 milioni nel 2024, 2 miliardi nel 2025, 3,1 miliardi nel 2026, 4,3 miliardi nel 2027.

In questo modo, secondo i proponenti, anche senza il contribuito del PNRR l’intensità di finanziamento al settore ricerca e sviluppo si stabilizzerebbe, nel 2027, sullo 0,71% del Pil (linea blu in figura), ovvero circa 16 miliardi di euro annui. Senza quest’aumento, invece, all’esaurirsi dei fondi del PNRR (che tuttavia destina la maggior parte dei propri fondi alle imprese e non al settore pubblico) la spesa in ricerca pubblica tornerebbe a calare a livelli troppo bassi, intorno allo 0,55% del Pil (linea rossa in figura). La somma dei fondi del piano quinquennale e di quelli del PNRR invece potrebbe mantenere fino al 2028 l’investimento in ricerca pubblica al di sopra dello 0,7% del Pil (linea verde in figura).

“La politica deve essere capace di trasformare l’eccezionalità del PNRR in una situazione strutturale, pianificando e programmando la politica della ricerca per inserirla in una logica di pianificazione e programmazione che non si esaurisca con i fondi europei, che termineranno nel 2026. Una sfida che parte dalla prossima legge di bilancio” si legge nel documento dei Lincei. “Senza risorse crescenti nel tempo – per un totale di 10,4 miliardi negli anni 2023-2027 – la spinta propulsiva dei fondi PNRR si esaurirà, cosicché il rapporto tra spese in ricerca pubblica e Pil, dopo aver raggiunto nel 2024 lo 0,71%, scenderà nel 2028 allo 0,55%, com’era prima della pandemia”.

Breve storia del piano quinquennale

Il documento dei Lincei è in realtà il punto di arrivo di una serie di appelli, richieste e incontri che si sono susseguiti negli ultimi due anni almeno.

In due lettere aperte al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte (settembre 2020 e gennaio 2021), una lettera aperta al Presidente del Consiglio Mario Draghi (febbraio 2021) e in un appello a Governo e Parlamento (marzo 2021), un gruppo di 14 scienziati, tra cui figurano il premio Nobel Giorgio Parisi, la fisica Lucia Votano, l’immunologo Alberto Mantovani e il fisico Ugo Amaldi, ha avanzato la richiesta di un ingente investimento in ricerca pubblica che aggiungesse al bilancio del MUR un investimento di 15 miliardi di euro in 5 anni, per portare l’Italia a competere alla pari con altri Paesi europei sul fronte della ricerca pubblica.

A marzo 2022, in seguito a una petizione analoga lanciata dal fisico Federico Ronchetti e dall’oncologa Serena Di Cosmo, il MUR ha istituito un tavolo tecnico composto da 9 esperti e coordinato dal matematico Luigi Ambrosio. A luglio 2022 il ministero ha pubblicato il documento finale prodotto dal tavolo tecnico che delinea una Strategia italiana per la ricerca fondamentale.

Il documento appena pubblicato dall’Accademia dei Lincei e rilanciato anche Giorgio Parisi, è nato proprio per andare a supporto dei lavori del tavolo tecnico istituito presso il ministero, ma viene ora riproposto per tenere alta l’attenzione su un tema ritenuto cruciale per l’Italia.

“La pandemia del Covid-19 e l’emergenza ambientale hanno ridato alla scienza e alla ricerca la centralità che meritano. Alla vigilia delle elezioni politiche è importante che chi si candida alla guida dell’Italia indichi quale politica per la scienza, la ricerca e l’università intenda attuare. Si tratta di un tema cruciale che deve essere discusso e condiviso con tutti i cittadini, perché da esso dipende il futuro dell’Italia”.

Obiettivi e dettagli del Piano quinquennale

Il Piano quinquennale oltre a chiedere più fondi per la ricerca pubblica, indica anche come andrebbero spesi: la proposta è riassunta nella figura del documento qui di seguito riportata. L’ambito su cui il piano quinquennale pone più l’accento è l’aumento del numero di ricercatori, del personale tecnico-amministrativo, dei dottorandi e il reclutamento dei professori.

Il documento sottolinea inoltre che i problemi strutturali della ricerca pubblica italiana non si limitano alla carenza di fondi. Parallelamente al supporto finanziario, vanno “portati a livello europeo i metodi di valutazione delle proposte scientifiche approfonditamente giudicate a seguito di bandi aperti e competitivi”. Va organizzata “la valutazione a posteriori dei risultati delle ricerche finanziate dallo Stato, facendo in modo che tali valutazioni influenzino i futuri finanziamenti”. E ancora vanno rimossi “gli ostacoli burocratici, che sono in contrasto con la snellezza operativa necessaria alla ricerca”.

Fa piacere infine notare che al Piano quinquennale per la ricerca pubblica ha contribuito, nel suo piccolo e indirettamente, anche Il Bo Live, i cui articoli sul finanziamento alla ricerca vengono menzionati nell’appendice A del documento.

Il mondo della ricerca ha fatto sentire forte e chiara la propria voce, ha dettagliato e giustificato le proprie necessità, che in realtà non sono altro che la richiesta di competere quanto meno ad armi pari con altri Paesi d’Europa e del mondo, che in ricerca investono già più di noi.

“La ricerca è fatta da donne e uomini che devono trovare stimoli e sollecitazioni, ma anche sicurezze per il loro futuro. L’Italia non è un Paese che attrae ricercatori, anzi fa fuggire quelli che ha, perché non offre loro sufficienti prospettive.  Eppure, ogni nostro ricercatore ha, in media, una produttività di lavori eccellenti più alta di un ricercatore tedesco, francese o americano” rimarca il documento.

L’Italia, l’Europa e il mondo stanno navigando un secolo, il XXI, che sarà caratterizzato da grandi trasformazioni, o meglio da grandi transizioni. Quella ecologica ad esempio comporta un ripensamento di tecnologie, modalità di consumi e persino stili di vita che solo la bussola della ricerca può essere in grado di analizzare e reindirizzare.

Alla politica spetta il ruolo di cogliere i cambiamenti in arrivo, possibilmente in anticipo, e governarli, anche supportando un settore, la ricerca, senza il quale tali cambiamenti semplicemente non possono essere né compresi né realizzati.

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