SCIENZA E RICERCA

Apollo-Soyuz: la stretta di mano che scongelò la guerra fredda

Apollo-Houston, ho due messaggi per voi: Mosca ha dato il via libera per l’attracco. E anche Houston. Tocca a voi, ragazzi, divertitevi.

Le parole sono quelle pronunciate dal responsabile di missione dal centro di controllo Nasa a Houston. E indirizzate all’equipaggio Apollo che, nel 1975, segnò una pietra miliare della storia di distensione tra gli Stati Uniti e l’allora Unione Sovietica. A pochi metri di distanza, ma a molti di distanza dalla superficie terrestre, la navicella Soyuz 19 era in rotta per agganciarsi con la sua equivalente statunitense. Il resto è, appunto, storia: in mondovisione, davanti a milioni di spettatori, per la prima volta un equipaggio di astronauti americani e uno di cosmonauti (la distinzione, ancora in uso, è d’obbligo) sovietici si strinse la mano in orbita attorno al nostro pianeta.

Era il 17 luglio del 1975. Cinquant’anni fa si rese possibile il primo passo verso quella che, molti anni più avanti, divenne una grandiosa cooperazione tra le due superpotenze mondiali, a cui si aggiunsero, più in là nel tempo ancora, numerosi altri attori. Negli illuminati anni Venti del XXI secolo forse servirebbe ricordare alla politica che la storia è fatta per guardare avanti e migliorarsi e non per tornare a pericolosi punti di non ritorno. Ma serve un deciso passo indietro per ritornare in topic

Le origini della missione Apollo-Soyuz

Il nome in codice della missione era ASTP - Apollo-Soyuz Test Project - e per inquadrare le motivazioni che portarono le due rivali superpotenze a iniziare una collaborazione di questo genere bisogna fare un breve excursus storico. Stati Uniti e URSS, fino ai primi anni Settanta del secolo scorso, si trovavano ancora nel pieno della Guerra Fredda, sotto lo scacco della reciproca distruzione nucleare. I rispettivi programmi spaziali avevano rappresentato una dimostrazione muscolare di potenza, nel 1962 la crisi dei missili di Cuba aveva tenuto, per la prima volta dopo la fine della II guerra mondiale, il mondo con il fiato in sospeso per quella che fu la cosa più vicina allo scoppio di una nuova guerra, molto probabilmente nucleare. In quello scenario, difficilmente si sarebbe potuto pensare di vedere una missione spaziale congiunta. Ma, complici numerosi fattori interni alle due nazioni, tra cui la vittoria americana nella corsa all’allunaggio (1969), l’invasione della Cecoslovacchia, la guerra del Vietnam, la destituzione di Nikita Chruščev e i rispettivi programmi spaziali in stallo le due superpotenze iniziarono a parlarsi. 

Negli Stati Uniti, dopo il successo dell’allunaggio, il programma spaziale aveva perso appeal (nonché perso numerosi finanziamenti governativi) ed era necessaria una sorta di rilancio. In URSS, la cocente sconfitta della corsa alla Luna aveva generato molto malcontento. Da entrambe le parti si cercava, insomma, un rilancio. 

Con Nixon si può lavorare Leonid Breznev

Il programma ASTP viene ufficialmente siglato durante la famosa visita di Stato del 37esimo presidente americano in Unione Sovietica. Richard Nixon, chiamato anche il “presidente della Luna” perché sotto la sua permanenza alla Casa Bianca avvennero tutti gli allunaggi previsti (tranne quello dell’Apollo 13), arrivò a Mosca nel 1972 e firmò l’accordo ufficiale che mise in moto una serie di difficili passi tecnico-scientifici per raggiungere il risultato finale. 

La nascita della diplomazia spaziale

Che fosse un misto di reale distensione e di interessi, la stretta di mano spaziale del 1975 e tutte le operazioni che la precedettero sono considerate importanti alla stregua dei successi del lancio del primo satellite (lo Sputnik), del primo uomo nello spazio (Yuri Gagarin) e dell’allunaggio dell’Apollo 11. Il programma Apollo-Soyuz rappresenta, infatti, la nascita di quella che viene comunemente chiamata space diplomacy: l’uso dello spazio come canale diplomatico e strumento di politica estera e relazioni internazionali. Lo scopo: appianare, attraverso la cooperazione scientifica, divergenze politico-militari tra le nazioni e – in quegli anni – di fatto solo tra i due blocchi sovietici e americani. 

Il concetto di diplomazia spaziale si è poi ampliato e modificato nel corso degli anni ma queste erano le sue caratteristiche fondamentali. Dopo anni di interferenze, minacce, spauracchi nucleari, corsa agli armamenti, USA e URSS si parlavano e cooperavano, almeno al di fuori dell’atmosfera terrestre. 

Un breve miraggio

Certo, fu il primo momento di distensione. Ma per vederne altri si dovranno attendere ancora parecchi anni. Dopo la missione Apollo-Soyuz, nuove ombre resero nuovamente tesi i rapporti tra Washington e Mosca e prima di vedere, per davvero, una cooperazione fattiva si dovrà attendere l’avvio del programma Shuttle-MIR, annunciato ufficialmente nel 1993, un secolo dopo da un punto di vista squisitamente geopolitico. 

I preparativi alla missione

C’era comunque da lavorare: i tre anni che separano la firma dell’accordo (1972) e la missione vera e propria (1975) sono estremamente complicati. L’obiettivo della missione è chiaro: agganciare le due navicelle Apollo e Soyuz in orbita, far aprire i rispettivi portelloni ai due comandanti e concludere con la famosa stretta di mano. Tutto facile? No, assolutamente. 

Fino a quel momento, Stati Uniti e URSS non avevano mai pensato di dover far attraccare le loro rispettive navicelle nello spazio. La reticenza a condividere alcune specifiche era molto alta, ma c’erano anche problemi di natura prettamente pratica: Apollo e Soyuz erano diverse e non avevano dei sistemi di aggancio compatibili. In più, le atmosfere dei due velivoli erano differenti. Quella americana era formata da ossigeno puro al 100% con una pressione relativamente bassa; quella sovietica da una miscela di ossigeno e azoto con la pressione equivalente a quella terrestre. Va da sé che, a queste condizioni, sarebbe stato impossibile far comunicare tra loro Soyuz e Apollo. Si dovette, perciò, progettare un modulo apposito di decompressione. 

I preparativi per la missione sono raccontati anche da film e serie TV con la descrizione di momenti a tratti grotteschi per le differenti abitudini sociali tra gli astronauti americani, i cosmonauti russi e i tecnici che fecero la spola tra gli Stati Uniti e l’URSS. Tra questi, uno mai ufficializzato, racconta di come ci fu una feroce “battaglia” sul sistema di aggancio tra le due navicelle per la parte in cui si sarebbe dovuto decidere chi sarebbe stato dotato della chiave “maschio” e di quella “femmina”. Si narra che la situazione fu così critica da rischiare di far saltare la missione, finché non si raggiunse un compromesso: la realizzazione di un sistema di aggancio “asessuato” e a forma di petalo. 

Gli equipaggi

Per gli Stati Uniti, l’equipaggio scelto era formato dal comandante Thomas Stafford, Vance Brand e Deke Slayton. Quest’ultimo era uno dei famosi Mercury 7, i primi sette astronauti selezionati per le missioni spaziali (Mercury deriva dal nome del programma Mercury, il precursore dell Gemini, poi dell’Apollo e il primo a prevedere missioni con equipaggio). A Slayton venne diagnosticato un problema cardiaco e questa fu la prima e unica missione nello spazio per lui. 

La controparte sovietica era formata da Valeri Kubasov e dal comandante Alexei Leonov, il primo cosmonauta a effettuare una passeggiata spaziale. 

La missione

Ore 00:20 UTC, il razzo vettore Soyuz-U catapulta nello spazio i due cosmonauti sovietici a bordo di Soyuz-19 (si potrebbe aprire una bellissima parentesi ricordando come la navicella Soyuz sia ancora in uso ai giorni nostri). Un po’ di ore più tardi è la volta degli americani: da Cape Canaveral il vettore Saturn IB (un modello migliorato del Saturn I, uno degli stadi di sviluppo verso il Saturn V usato per le missioni lunari Apollo), spinse nello spazio l’Apollo. 

Due giorni dopo e molte manovre dopo, anche difficili per il fatto che le due navi erano partite da posizioni diverse, Apollo e Soyuz iniziarono le operazioni finali di avvicinamento. 

Alle 16:19 UTC l’aggancio con la frase, durante i momenti salienti, rimasta agli annali, da parte di uno degli astronauti: “Sembra che si stiano dando la mano”. Il preludio a quello che accadde dopo il tempo necessario per stabilizzare le atmosfere delle due navicelle tra i due comandanti. Soyuz e Apollo rimasero ancorate per circa 47 ore e poi si procedette al distacco programmato. I sovietici rientrarono alla base il 21 luglio successivo; gli americani rimasero in orbita per più tempo per svolgere alcuni esperimenti scientifici e ammararono, non senza qualche rischioso problema, tre giorni più tardi, il 24 luglio.

Eredità dell’Apollo-Soyuz

Come già detto, questa missione viene considerata come la nascita della diplomazia spaziale. In diretta mondiale, si vide la possibilità di realizzare programmi congiunti nello spazio. A cascata, la distensione nello spazio, avrebbe portato anche sulla Terra dei notevoli miglioramenti nei rapporti tra le due superpotenze. 

Ma l’eredità non sta solo nella space diplomacy. La missione ASTP ha segnato anche l’avvio dello sviluppo di sistemi di interoperabilità nello spazio. Da quel momento, si iniziarono a considerare gli agganci standard anche per gli aerei e per le navi (solamente per quelle civili). E, se pensiamo alle ricadute scientifiche che arrivano poi nella società, possiamo dire che Apollo-Soyuz abbia dettato l’avvio dei programmi “standard” che vediamo, a cascata, ai giorni nostri e non solo per le missioni spaziali: batterie che utilizzano tutte lo stesso attacco, cavi USB-C e via dicendo. Senza quella stretta di mano del 1975 probabilmente si sarebbe arrivati lo stesso a questi aspetti, ma con un po’ di anni di ritardo. 

Rimane un grande rammarico. Nel 1975 si diede il primo impulso a quella che poi è diventata una cooperazione internazionale per l’esplorazione spaziale. Ai giorni nostri, il prepotente ritorno delle guerre, delle tensioni tra Stati Uniti e Russia sta ponendo dei seri problemi a programmi scientifici terrestri e spaziali. Sicuramente, ci sarebbe bisogno di più diplomazia, spaziale e non.

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