SCIENZA E RICERCA

Consiglio scientifico per clima e ambiente, per un dialogo tra scienza e politica

Venerdì 23 settembre, il giorno dello sciopero per il clima organizzato dai Fridays For Future, tutte le principali forze politiche che da lì a due giorni si sarebbero presentate al voto (ad eccezione di Azione) hanno firmato un accordo per l’istituzione di un Consiglio Scientifico per il Clima e per l’Ambiente (CSCA) che supporti governo e parlamento nell’elaborazione di misure per il contrasto alla crisi climatica e ambientale.

L’iniziativa è stata avanzata dal comitato “La Scienza al Voto” e si inserisce nel solco di una serie di proposte, provenienti da più parti, volte a rendere più strutturale il dialogo tra mondo della politica e mondo della scienza, anche sui temi climatici e ambientali.

Nel frattempo le elezioni hanno dato vita a una nuova composizione parlamentare e, secondo quanto riporta Nature, i ricercatori italiani temono che il nuovo governo potrebbe essere incline a tagliere fondi alla ricerca, (nonostante i ripetuti appelli ad aumentarli) e a ritardare l’azione climatica.

Nonostante la crisi energetica in corso, le questioni ambientali e climatiche, seppur presenti, non hanno ricoperto una posizione di primo piano durante la campagna elettorale. “Nell’estate del crollo dei ghiacci della Marmolada, della grande siccità, degli incendi e dell’appello della comunità scientifica italiana perché la politica si prenda carico del cambiamento climatico, rimane la sensazione di una sproporzione tra l’enormità della questione e la relativa scarsa reattività del corpo sociale e politico” si legge sul blog Climalteranti, diretto da Stefano Caserini (membro del comitato Scienza al voto).

Antonello Pasini, fisico del clima del CNR e coordinatore del comitato Scienza al voto, è stato tra i principali promotori dell’iniziativa di istituire un Consiglio Scientifico su Clima e Ambiente. “L’idea è di avere un comitato di consulenza super partes che rappresenti la miglior scienza nazionale” spiega Pasini. “Solitamente il rapporto tra scienza e politica è sempre stato così: gli scienziati parlano, i politici ascoltano, ogni tanto recepiscono altre volte no e quando a loro fa comodo scelgono qualcuno che si presti alla loro politica”.

In campagna elettorale “si è parlato anche delle emergenze meteo-climatiche, della siccità e dell’evento della Marmolada. Ma il modo di parlarne è stato un po’ troppo emergenziale" rimarca Pasini. "Siccità, Marmolada e altre emergenze sono diverse facce della stessa medaglia. Non possiamo pensare di tappare le emergenze con delle toppe che lasciano il tempo che trovano o a volte anche fanno peggio. Dobbiamo adottare un approccio sistemico. Bisogna capire che sotto c’è una dinamica naturale spinta da una dinamica umana (le emissioni di gas serra, la deforestazione, un’agricoltura non sostenibile) che va approcciata con una programmazione più seria del futuro”.

Intervista a Antonello Pasini, fisico del clima del CNR e coordinatore del comitato "Scienza al voto". Montaggio di Barbara Paknazar

Quale dovrebbe essere la composizione del Consiglio Scientifico per Clima e Ambiente e quale dovrebbe essere il suo mandato?

Per comprendere meglio l’iniziativa facciamo un passo indietro. Ad agosto, all’inizio della campagna elettorale, io e altri 4 componenti della Società Italiana per le Scienze del Clima abbiamo scritto una lettera aperta per dire che la crisi climatica doveva essere messa al centro del discorso politico. La petizione ha avuto quasi 230.000 firme. A volte la società civile è più avanti della politica. Abbiamo allora preso la palla al balzo e come comitato scientifico "La scienza al voto" ci siamo posti di raggiungere un risultato concreto, ovvero far sì che all’inizio della nuova legislatura si crei un Consiglio Scientifico Clima e Ambiente per far sì che politica e cittadini abbiano un’istituzione che possa fare consulenza su queste tematiche, centrali per lo sviluppo di tutta la società. Il 23 settembre siamo riusciti a ottenere un accordo trasversale di quasi tutti i partiti sull’istituzione di questo comitato scientifico. Hanno firmato praticamente tutti, tranne Azione di Calenda e Noi Moderati, in quest’ultimo caso non siamo proprio riusciti a raggiungerli, ma ritenteremo di farlo.

Si può dire già qualcosa su come verrebbero scelti i componenti del CSCA?

L’idea è di avere un comitato di consulenza super partes che rappresenti la miglior scienza nazionale. Vogliamo evitare che capiti come con Trump che ha preso un negazionista climatico e lo ha messo a capo dell’agenzia ambientale statunitense, l’Epa. Solitamente il rapporto tra scienza e politica è sempre stato così: gli scienziati parlano, i politici ascoltano, ogni tanto recepiscono altre volte no e quando a loro fa comodo scelgono qualcuno che si presti alla loro politica. Ci vuole invece un organo indipendente che mostri che ci siano soluzioni scientificamente fondate che siano sistemiche.

L’iniziativa si chiama “Scegliamo il futuro”, dobbiamo avere la possibilità di sceglierlo democraticamente, altrimenti rischiamo di subirlo andando dietro alle emergenze, che siano meteo-climatiche o di risorse. Non possiamo pensare di tappare le emergenze con delle toppe che lasciano il tempo che trovano o a volte fanno peggio, occorre un approccio sistemico. Sono molto contento di dire che anche il presidente della Repubblica ha parlato in questi termini quando lo abbiamo incontrato.

Io auspico il Consiglio possa essere un organismo indipendente, di cui potrebbero far parte stabilmente il presidente della società italiana scienze del clima, un rappresentante della consulta degli enti di ricerca e un rappresentante del comitato universitario nazionale. Poi ci potrebbe essere una base scientifica scelta dalla comunità scientifica stessa sulla base di curriculum, indipendenza e profilo professionale.

Durante la pandemia abbiamo avuto il Comitato Tecnico Scientifico. È un esempio a cui guardare per voi, o magari un esempio a cui non guardare?

Ci sono stati dei pro e dei contro riguardo al CTS, era un modello molto operativo sull’emergenza, cosa che il Covid è stata. Qui non siamo di fronte a un’emergenza, ma a una crisi molto più duratura. Vedo meglio un comitato di consulenza che sia formato da scienziati delle varie discipline che creano la scienza del clima, che è interdisciplinare, che possano dare questo aiuto sistemico.

Ci sono Paesi al di fuori dell’Italia in cui esiste un Comitato scientifico di consulenza su clima e ambiente che potrebbe essere preso a modello per l’Italia?

Sì, c’è qualcosa in Germania, qualcosa in Inghilterra. A volte si tratta di consulenti del governo, altre volte del parlamento, dipende se si è in una repubblica parlamentare, presidenziale o altri assetti istituzionali. Queste cose è difficile stabilirle a priori per l’Italia, ci vuole un confronto con qualche esperto di istituzioni, di costituzione. Ogni Paese ha le sue caratteristiche. Quello che mi sembra interessante è che ci sia una sostanziale convergenza al voler utilizzare la migliore scienza nazionale, questo è confortante.

Alcuni componenti del comitato “la scienza al voto”, come Stefano Caserini, sono stati anche tra gli autori di alcune “pagelle” che sono state date ai partiti per quanto riguarda i loro programmi in tema di clima e ambiente. Come sono stati affrontati clima e ambiente in campagna elettorale?

Io credo se ne sia parlato principalmente riferendosi alle emergenze che stiamo vivendo, del gas e della guerra. Si è parlato anche delle emergenze meteo-climatiche, della siccità e dell’evento della Marmolada. Se n’è parlato abbastanza in relazione a queste contingenze ma il modo di parlarne è stato un po’ troppo emergenziale. Bisogna capire che sotto c’è una dinamica naturale spinta da una dinamica umana (le emissioni di gas serra, la deforestazione, un’agricoltura non sostenibile) che va approcciata con una programmazione più seria del futuro. Siccità, Marmolada e altre emergenze sono diverse facce della stessa medaglia. La stessa crisi del gas, bisogna vedere come viene affrontata: una cosa è andare a cercare come alternativa il gas naturale liquefatto in Paesi che magari non sono pronti a esportarne tanto subito; altra cosa sarebbe sbloccare le diverse decine di GW di rinnovabili che sono pronte a essere messe in rete nel giro di pochissimo tempo. Anche qui, bisogna discutere delle varie soluzioni.

A suo giudizio come si è comportata finora la classe politica riguardo a questi temi e cosa si aspetta dalla nuova legislatura?

La politica ha questo difetto sostanziale, che è più o meno di tutti chi più chi meno, di guardare all’orizzonte della legislatura perché il consenso si fa ahimè anche parlando alla pancia, con i twit in 140 caratteri, ma è chiaro che certi problemi non possono essere affrontati così, in maniera demagogica con degli slogan. Bisogna pensare seriamente all’evoluzione futura. Se il tassello del Consiglio scientifico venisse messo in piedi sarebbe già un’ottima cosa, darebbe una sponda a chi si occupa della cosa pubblica con un aiuto molto forte da chi si occupa di scienza. Poi bisognerà capire come questo specifico governo agirà su queste questioni. I colleghi di Scienza al voto che hanno fatto queste pagelle assieme a tanti altri colleghi esterni hanno visto obiettivamente che questa parte politica che adesso va al governo è quella che ha preso i voti più bassi, però staremo a vedere. Noi come “Scienza al voto” abbiamo voluto fare un’azione più inclusiva, guardare al bicchiere mezzo pieno e non a quello mezzo vuoto, puntare su quello che ci può accomunare, che è basarsi sulla scienza.

Un primo provvedimento che il CSCA consiglierebbe al nuovo governo quale potrebbe essere?

Lo abbiamo detto molte volte, bisogna agire in due direzioni: l’adattamento e la mitigazione. L’adattamento è importantissimo perché siccità, crolli di ghiacciai ed eventi meteorologici estremi ce li abbiamo e ce li teniamo per i prossimi decenni, sono inevitabili. Non abbasseremo la temperatura globale, l’energia presente in atmosfera rimarrà, se non addirittura aumenterà. Bisogna adattarsi non tappando i buchi ma pensando seriamente a cosa fare per la siccità, per il turismo invernale, per le nostre città per renderle più resilienti.

Dall’altro lato però noi diciamo sempre attenzione perché potremmo arrivare a degli scenari in cui sarà impossibile adattarsi. I ghiacciai italiani perderanno comunque il 30% del loro volume a fine secolo anche se la temperatura rimanesse quella di oggi, c’è un’inerzia inevitabile. Tuttavia nello scenario peggiore in cui non faremmo nulla per ridurre le emissioni (cosiddetto business as usual) arriveremmo a fine secolo con uno scenario in cui i ghiacciai perderebbero il 90-95% del loro volume e della loro superficie. Se con il 30% possiamo ancora adattarci con le risorse idriche in pianura padana ad esempio, al 90-95% c’è da mettersi le mani nei capelli.

Per questo c’è da attuare una mitigazione accelerata, quindi sbloccare i cavilli burocratici che bloccano le installazioni delle rinnovabili, e sul fronte dell’adattamento fare qualcosa di serio e strutturale ad esempio sui nostri acquedotti, non utilizzare l’acqua potabile in agricoltura, che è uno spreco.

Mi faccia dire un ultima cosa sulla sensibilità della politica. Io ho trovato una sensibilità enorme nel presidente della Repubblica. Recentemente siamo andati a portargli le firme della petizione e sono riuscito a spiegargli cosa abbiamo fatto come Scienza al voto. Quando ha visto le firme di quasi tutti i partiti è stato davvero molto sorpreso e ci ha detto chiaramente grazie, perché scienziati insieme ai giovani sono le due avanguardie del Paese. Ha poi detto che presenterà al futuro governo questa problematica e la soluzione sistemica che deve avere. Ci ha dato una grandissima soddisfazione e per questo lo ringrazio.

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