SOCIETÀ

Equità, dialogo e giustizia centrali nella tutela dei diritti umani. L’intervista a Guillaumé Ngefa

Il rispetto dei diritti umani è una condizione imprescindibile per il mantenimento di una pace duratura e per la gestione di crisi politiche e sociali. Questo il monito di Guillaumé Ngefa, attualmente a capo dell’UPR Branch presso l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) e ospite d’onore al Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca” in occasione della Padova Model UPR, che dal 20 al 24 novembre ha coinvolto studenti provenienti da diverse università italiane e straniere.

Giunta alla sua sesta edizione, la Padova Model UPR rappresenta la più grande simulazione accademica dell’Universal Periodic Review (letteralmente: “revisione periodica universale”) o UPR, la procedura attraverso la quale le Nazioni Unite valutano il rispetto dei diritti umani in ognuno dei paesi membri e forniscono loro una serie di obblighi e raccomandazioni a cui assolvere per scongiurare eventuali violazioni.

Dopo una formazione in giurisprudenza all’Università di Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo) e poi alla Scuola di Legge della Columbia University di New York, Guillaume Ngefa-Atondoko Andali ha lavorato come avvocato tra l’Africa e gli Stati Uniti, dedicandosi in particolare alla difesa dei diritti umani. Dal 1999 lavora per le Nazioni Unite in qualità di funzionario internazionale per i diritti umani in Svizzera, Senegal, Guinea Bissau e Costa d’Avorio.È stato inoltre direttore della Divisione per la protezione dei diritti umani della Missione di pace delle Nazioni Unite in Mali (MINUSMA).

Ngefa ha pronunciato i discorsi di apertura e di chiusura dei lavori della Padova Model UPR di quest’anno e ha partecipato a una sessione di domande e risposte con gli studenti di diritti umani. In un’intervista esclusiva, ha raccontato a Il Bo Live il suo impegno per la difesa dei diritti umani in contesti difficili e i principi su cui si fonda l’UPR.

Ci racconta qualcosa del suo background? Quali esperienze personali e professionali l’hanno ispirata a intraprendere una carriera nell’ambito della protezione dei diritti umani?

Il desiderio di battermi per la giustizia e i diritti umani è nato già durante l’infanzia, quando da piccolo giocavo e condividevo il cibo con i bambini pigmei svantaggiati. I Pigmei sono un gruppo etnico che vive nella Repubblica Democratica del Congo fortemente discriminato da parte della comunità. All’epoca, queste persone non venivano neanche considerate come esseri umani. Ai bambini della mia comunità veniva impedito di giocare o condividere il cibo con loro; perciò, il mio comportamento veniva considerato offensivo. Il mio amore per la giustizia è inoltre frutto dell’educazione cattolica che ho ricevuto. All’età di dieci anni sono entrato in un seminario minore, dove i valori insegnati erano basati proprio sui diritti umani.

Successivamente, quando ero uno studente universitario, ho fondato un’organizzazione clandestina che si occupava di denunciare le violazioni dei diritti umani e gli abusi commessi dal regime dittatoriale di Mobutu. Nel 1991, insieme a un gruppo di giovani avvocati, giornalisti e medici, ho fondato l’Associazione Zairiana per i Diritti Umani. In seguito, quando abbiamo iniziato ad agire pubblicamente, non siamo stati presi molto sul serio dal sistema politico, che ci considerava solo un innocuo gruppo di laureati giovani e idealisti. Oggi, l'organizzazione esiste ancora ed è conosciuta come Association Africaine de Defense des Droits de L’Homme (ASADHO).

Come avvocato membro di ASADHO, ho fornito assistenza legale gratuita alle vittime delle violazioni dei diritti umani. Quest’esperienza mi ha dato l’opportunità di difendere queste persone basandomi non solo sul quadro legislativo nazionale, ma anche – per la prima volta in Congo – facendo riferimento agli strumenti giuridici internazionali a tutela diritti umani. All’inizio non è stato facile, perché molti giudici credevano che questo corpus normativo fornisse solo delle disposizioni di carattere morale inapplicabili nei tribunali nazionali. Io e gli altri membri dell’organizzazione abbiamo perciò organizzando diverse attività di formazione con giudici e avvocati per fornire loro le necessarie conoscenze tecniche per utilizzare gli strumenti giuridici internazionali a tutela dei diritti umani anche a livello nazionale. Il nostro impegno in questo senso ha contribuito notevolmente alla protezione dei diritti umani nel paese.

Successivamente, sono diventato funzionario per i diritti umani per le Nazioni Unite e ho partecipato alla missione di pace dell’ONU in Guinea Bissau e successivamente a quelle in Costa d'Avorio e Mali. Grazie alla mia esperienza come attivista, avvocato e poi funzionario civile dell’ONU, ho imparato molto sulla protezione dei diritti umani in contesti difficili. Ho appreso, ad esempio, quanto sia importante identificare le radici più profonde di una situazione di crisi per riuscire davvero a costruire una cultura di pace e a impedire che si verifichino violazioni dei diritti umani.

Credo che la mia lunga esperienza sul campo si sia rivelata molto utile anche per il lavoro che svolgo attualmente a capo dell’UPR branch. Infatti, il meccanismo dell’UPR richiede di confrontarsi attivamente con i diversi paesi membri sottoposti alla revisione e con i molti altri attori coinvolti nel processo. L’interazione con tutti questi soggetti è essenziale per garantire la protezione e la promozione dei diritti umani.

Come si svolge l’UPR? In che modo il branch valuta il rispetto dei diritti umani tra gli stati membri e come agisce per correggere la situazione, quando necessario?

L’UPR è un meccanismo intergovernativo del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite creato dall’Assemblea Generale nel 2006 che serve a valutare il rispetto dei diritti umani in ognuno dei 193 paesi membri dell’ONU; ogni 4 anni e mezzo, ciascuno di essi viene sottoposto a questo processo di revisione basato sui principi dell’equità e dell’imparzialità.

Il processo dell’UPR si basa su tre documenti principali: il primo è un resoconto nazionale presentato dallo Stato che viene esaminato; il secondo è un rapporto compilato dalle Nazioni Unite relative allo Stato in questione; il terzo è un riassunto delle informazioni fornite da tutti i vari stakeholder (soggetti terzi i cui interessi sono direttamente o indirettamente coinvolti nel processo in questione, ndr), come le istituzioni nazionali per i diritti umani, le ONG, le organizzazioni regionali e gli istituti accademici, che possono svolgere un ruolo nella difesa dei diritti umani. L’analisi di questi documenti fornisce una panoramica della conformità del paese con i suoi obblighi internazionali in materia di diritti umani, dei progressi compiuti e delle sfide ancora da affrontare.

La revisione di ciascuno Stato è condotta dal Gruppo di lavoro dell’UPR, composto da 47 membri del Consiglio per i diritti umani dell’ONU, con l’assistenza di un gruppo di tre Stati membri, che assume il nome di troika.

Il gruppo di lavoro della UPR si riunisce tre volte l’anno: gennaio, maggio e novembre. Ciascuna di queste sessioni dura due settimane, durante le quali vengono esaminati 14 paesi. Ogni revisione si basa su un dialogo interattivo di 3 ore e 30 minuti tra una delegazione dello Stato sotto esame e gli altri paesi membri dell’ONU. Durante questo confronto, lo stato sottoposto alla revisione presenta il suo rapporto nazionale, e gli stati membri dell’ONU pongono domande e forniscono raccomandazioni che lo stato sotto esame può “accettare” o “notare” (note). Il rapporto finale che descrive l’esito della revisione viene redatto dal Consiglio per i diritti umani durante le sessioni plenarie di febbraio, giugno e settembre.

Il processo dell’UPR è composto da cicli della durata di quattro anni e mezzo ciascuno, durante i quali ogni Stato membro dell’ONU riceve la sua valutazione. Dal 2008 ad oggi, abbiamo concluso tre cicli; il quarto è iniziato nel novembre 2022 e si concluderà nel 2027.

Dal secondo ciclo in poi, le revisioni dell’UPR si focalizzano sull’analisi dell’effettiva attuazione delle direttive ricevute dagli Stati membri durante la procedura. Essi possono implementare tali raccomandazioni attraverso riforme legislative, ratifiche di accordi internazionali o altre misure finalizzate alla protezione e alla promozione dei diritti umani.

Fin dall’istituzione dell’UPR, abbiamo constatato la tendenza dei paesi membri dell’ONU a prendere questa procedura molto seriamente. Gli stati apprezzano il modo in cui viene condotta la revisione periodica, perché possono partecipare al processo e non solo osservarlo passivamente; approvano inoltre il principio di imparzialità su cui si basa tale meccanismo, che prevede una revisione tra pari. I paesi ci tengono solitamente a mostrare davanti alla comunità internazionale il loro impegno per la promozione e la protezione dei diritti umani e a manifestare la volontà di rispettare gli obblighi internazionali.

È importante inoltre considerare quanto l’UPR possa promuovere la costruzione di un rapporto di fiducia tra i diversi paesi, spingendoli a collaborare al di là dei loro interessi politici o economici. Molto di recente, è stata eseguita la revisione periodica della Federazione Russa, durante la quale la troika era composta da Cina, Gabon e Stati Uniti. Il processo è andato molto bene, poiché la competizione ideologica e politica tra i paesi partecipanti non ha influenzato il processo dell’UPR.

Quali sono le principali sfide da affrontare nella protezione dei diritti umani in paesi che si trovano in condizioni di instabilità politica o addirittura in guerra? E quali attività e interventi proposti dal branch UPR ritiene possano essere efficaci per garantire la protezione dei diritti umani in questi contesti problematici?

Sono numerosi gli ostacoli che possono incontrare i paesi quando cercano di assolvere ai propri obblighi internazionali. Il principale tra questi – che ho individuato finora in tutti i meccanismi internazionali, compreso l’UPR – riguarda il fatto che l’attuazione delle raccomandazioni richiede la partecipazione di diversi soggetti, tra cui gli organi dell’ONU presenti nei singoli paesi, le istituzioni nazionali e la società civile. Anche i parlamenti ricoprono un ruolo molto importante in questo processo, perché si occupano di adottare le riforme legislative. In alcuni paesi, possono mancare le risorse necessarie a garantire l’attuazione delle raccomandazioni dell’UPR a causa di istituzioni o apparati giuridici inadeguati.

In casi come questi, gli stati possono richiedere l’assistenza tecnica dell’OHCHR per riuscire ad implementare le raccomandazioni dell’UPR. Alcuni paesi che hanno attraversato situazioni di guerra o di instabilità sociale hanno richiesto un’assistenza tecnica prima, durante e dopo la loro revisione periodica.

Talvolta, l’escalation di conflitti e l’instabilità civile, politica e sociale possono impedire a un paese di adempiere ai propri obblighi internazionali. È capitato che alcuni stati si riferissero alla loro difficile situazione interna per giustificare la mancata attuazione delle misure raccomandate dall’UPR.

Nonostante ciò, fino ad ora tutti i 193 stati membri dell’ONU hanno sempre partecipato alla procedura dell’UPR. Ciò significa che anche i paesi in guerra hanno inviato una delegazione a Ginevra per sottoporsi al processo di persona, cercando di dimostrare la loro determinazione a contrastare le violazioni dei diritti umani anche durante le crisi, sebbene il loro impegno in questo senso non abbia mai completamente soddisfatto le nostre aspettative.

L’attuazione delle raccomandazioni dell’UPR è particolarmente importante nelle situazioni di crisi, perché permette di eradicare le cause più profonde dell’instabilità politica e dei conflitti. La promozione e la protezione dei diritti umani sono infatti fondamentali per prevenire l’escalation di una crisi politica. Ecco perché è importante che i paesi rispettino l’obbligo di conformarsi al diritto internazionale dei diritti umani e al diritto internazionale umanitario. Dalla mia esperienza personale ho imparato che il rispetto della legge e la tutela dei diritti umani sono essenziali per una pace duratura e per evitare che i paesi entrino in guerra.

Le raccomandazioni offerte dall’UPR branch sono le stesse per gli stessi paesi? Come fate ad assicurarvi che le linee guida che promulgate rispettino la diversità culturale tra i vari paesi, ognuno dei quali può interpretare l'applicazione dei diritti umani in modo differente, a seconda dello specifico sistema di valori in cui si riconosce?

L’UPR si basa sul trattamento paritario di tutti i paesi, dai più grandi ai più piccoli. Non importa se contino un milione o 10.000 cittadini; riceveranno tutti un trattamento equo, senza eccezioni. Sebbene i 193 stati membri dell’ONU vengano esaminati attraverso le medesime procedure, i punti su cui vertono le raccomandazioni che essi ricevono non sono mai gli stessi. Le indicazioni fornite durante la revisione periodica dipendono dagli specifici contesti nazionali. In altre parole, il processo dell’UPR non è uniforme, ma universale: le stesse basi giuridiche vengono applicate a contesti diversi e vengono fornite raccomandazioni specifiche che tengano conto della situazione unica dei diritti umani di ogni paese.


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