CULTURA

“Mente e cervello – Una storia filosofica e scientifica”/ 1

Sono trecentocinquant’anni che paragoniamo il cervello a una macchina, da quando cioè propose di farlo l’anatomista danese Niccolò Stenone, nel 1665, in una lezione che viene considerata l’atto fondante dell’Académie des Sciences. Trecentocinquant’anni che ci diciamo che il cervello è come un acquedotto, no come un ingranaggio, no come un sistema di posta, no come una rete di telegrafi, e così via.

In questi trecentocinquant’anni però la nostra idea di che cosa sia una “macchina” è cambiata, e altrettanto, forse di più, sono cambiate le nostre idee sul cervello, tanto che oggi che abbiamo i social network e il cloud computing tendiamo piuttosto a fare il contrario: a chiamare “cervelloni” i computer. Ma il risultato è comunque una metafora grossolana e la ragione è sempre la stessa: il cervello non lo abbiamo ancora capito, le macchine invece le conosciamo da cima a fondo, semplicemente perché le costruiamo noi.

L’espediente narrativo inventato da Matthew Cobb, autore di “Mente e cervello - una storia filosofica e scientifica” (Einaudi, 2021, 480 pagine), è efficace e riesce a rendere trascinante la lettura di una poderosa storia filosofica e scientifica del cervello perché ci ricorda di continuo quanto l’impresa scientifica nasca e si compia all’interno della storia: non solo scienziati chini sul tavolo anatomico o chiusi in un laboratorio coi loro strumenti sofisticati, ma persone che vivono in un mondo che produce anche letteratura, arte, filosofia e tecnologia. Cioè la scienza è cultura e la sua storia si può anche seguire lungo l’osmosi di concetti e immagini che troviamo nella letteratura d’evasione così come nei testi più tecnici di fisiologia, e nelle tecnologie che animano le nostre vite. Non dimentichiamoci, per esempio, che la parola “robot” è nata a teatro.

Cuore o cervello: qual'è la sede dei nostri sentimenti e pensieri? 

Ma la storia della ricerca su mente e cervello è anche la storia di un grande mistero irrisolto. Protagonisti sono quasi sempre scuole di pensiero contrapposte e scienziati che bisticciano sui grandi temi, che spesso sono ricorrenti. Uno è la domanda: le funzioni del cervello sono localizzate, cioè si svolgono in parti anatomiche precise, o diffuse in tutta la sua struttura? Nel tempo, questo quesito ha avuto risposte alterne, talvolta sfumate, ma tutte discendenti dalla constatazione che il cervello ha delle “funzioni” e anche questa non è stata una scoperta ovvia.

Per secoli infatti abbiamo creduto che la sede dei pensieri e dei sentimenti fosse il cuore, non il cervello: del resto, l’attività del cuore si sente anche da fuori e si capisce bene essere legata a quel che facciamo, pensiamo, sentiamo. Lo abbiamo creduto noi europei, ma lo credevano anche i maya: forse non lo credevano i cinesi, che hanno sempre dato più importanza alle interazioni che ai singoli organi. Ma era di certo un’idea fondata su un’osservazione empirica più che sensata. 

Ci fu chi avanzò l’idea che il cervello potesse essere importante, come il filosofo Alcmeone, e poi i medici alessandrini Erofilo da Calcedone ed Erasistrato di Ceo, ma a vincere tutto fu Aristotele, che cristallizzò nella propria autorità la centralità del cuore.

Quattrocento anni più tardi nacque una corrente di pensiero alternativa: Galeno, grande medico e filosofo, con i suoi esperimenti pubblici di dissezione animale, riuscì a dimostrare l’importanza del cervello e dei nervi che da lui nascono. Secoli dopo il medico persiano Haly Abbas conciliò l’idea di Galeno con l’esistenza di “spiriti animali” che dal cuore si sarebbero mossi verso i ventricoli. Ma di nuovo: l’autorità di Aristotele era troppo forte, e poi si conciliava bene con il Corano (come notò il medico islamico Avicenna, nell’undicesimo secolo) e con la dottrina cristiana (quando poi, due secoli dopo, si affermò in Europa il pensiero di Tommaso d’Aquino). Quindi tra le due scuole di pensiero a lungo ebbe la meglio quella più tradizionale, più vicina ai sacri testi, sebbene a quella galenica (in salsa Abbas) avesse aderito la scuola medica salernitana. 

Questa situazione si protrasse fino alla fine del Medioevo, quando le dispute scientifiche si affrontavano leggendo i testi degli antichi maestri, e non verificando di persona. Poi arrivò la Rivoluzione scientifica, arrivò Vesalio e la dissezione del corpo.

Vesalio riuscì a pensare, e a proporre di pensare, al cervello come sede dell’anima. Ma non poté andare oltre: “vedere” il corpo, infatti, non permetteva ancora di capire la funzione dei suoi diversi organi e comunque non trovò la “rete mirabile” che avrebbe dovuto permettere agli spiriti animali di entrare nel cervello. Il cervello era un mistero, ma da adesso in poi era anche l’organo più importante del corpo.

Resterà entrambe le cose, nonostante gli avanzamenti tumultuosi della tecnologia: strumento di comprensione ma anche emula della nostra complessità biologica e delle sue favolose potenzialità.

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