SOCIETÀ

Il MES della discordia

Alla fine l’approvazione della riforma del Mes, il Meccanismo Europeo di Stabilità, è stata rimandata all’inizio dell’anno prossimo. Intanto però tutti  problemi rimangono sul campo, a cominciare dalla possibilità che la nuova normativa attiri l’attenzione degli speculatori sul debito italiano.

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) è uno strumento pensato per fornire liquidità ai Paesi dell’area Euro in caso di crisi, come nel caso che ad esempio trovassero difficoltà sul mercato per rinnovare i titoli del proprio debito pubblico. La linea di azione è per molti versi affine a quella del Fondo Monetario Internazionale: i prestiti agli Stati, anche se elargiti a condizioni di favore, devono prima o poi essere restituiti, dato che vengono dai contribuenti. Attualmente può contare su un fondo di circa 80 miliardi di euro sottoscritto dai vari aderenti (14 dall’Italia) e può a sua volta indebitarsi sul mercato, arrivando in prospettiva a mobilitare circa 500 miliardi. Una cifra apparentemente enorme, ma bisogna anche tenere presente che solo l’Italia ha un debito pubblico di quasi 2.500 miliardi di euro, che rinnova ogni anno emettendo titoli per 400 miliardi.

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Ora il testo del nuovo accordo sembra aprire la porta alla possibilità che, per ottenere l’aiuto del cosiddetto “fondo salvastati”, possa essere chiesto ai governi di ristrutturare il loro debito. Una possibilità che, per il semplice fatto di essere ammessa per la prima volta in maniera esplicita, rischia di creare tensioni proprio sui Paesi – Italia in testa – con i conti meno in ordine, provocando già nell’immediato una rialzo delle spread.

Il problema però, secondo l’economista Lorenzo Forni, non è tanto il Mes in sé, quanto il fatto che soprattutto i Paesi del Nord Europa sembrano aver preso atto che i vincoli di bilancio finora non sono serviti per tenere a freno i debiti pubblici, che anzi sono molto aumentati negli ultimi anni. Si fa quindi strada l’ipotesi di lasciare in balìa del mercato gli Stati che non siano più in grado di finanziarsi autonomamente. Uno scenario certamente ben diverso rispetto al recente passato, quando Mario Draghi era alla guida della Banca Centrale Europea.

“Se la BCE intervenisse in aiuto di un Paese che ha un debito insostenibile e ha perso l'accesso al mercato, questo si tradurrebbe in un trasferimento fiscale estremamente rilevante da parte degli altri Paesi – spiega Forni a Il Bo Live –. L’alternativa è che in alcuni casi si ammetta la ristrutturazione di determinati debiti sovrani, come è già avvenuto per la Grecia. Certo se il debito fosse federale o dell'Unione in un certo senso il problema non si porrebbe, ma è chiaro che al momento viviamo in un’unione monetaria ancora incompleta”. “Personalmente ritengo un errore introdurre elementi che rendano le ristrutturazioni più probabili – continua Forni –. In un certo senso la credibilità del debito sovrano è uno dei pilastri del sistema finanziario e del valore della moneta, quindi bisognerebbe evitare di metterla in discussione. Le ristrutturazioni sono sempre eventi traumatici”.

Ritengo un errore introdurre elementi che rendano le ristrutturazioni più probabili Lorenzo Forni

Un altro aspetto importante delle modifiche in discussione è che al Mes verrebbe data la possibilità di finanziare il cosiddetto Single Resolution Fund, che interviene nelle crisi bancarie. “Il SRF non ha al momento finanziamenti molto elevati, quindi è stato previsto che il Mes possa intervenire in suo aiuto”. Forse perché in questo momento le banche tedesche e francesi sono in crisi? “Non sono esperto dei sistemi bancari tedesco e francese, ma può darsi che al momento i leader tedeschi pensino che questo strumento possa puntellare in qualche maniera anche il loro sistema. Si tratta comunque di una tutela in più anche per il sistema bancario italiano, che va nella direzione di quel maggiore risk sharing che l'Italia ha sempre chiesto”.

Date le condizioni all’Italia conviene aderire al nuovo trattato? “Chiariamo prima di tutto che l'Italia è già parte del Meccanismo Europeo di Stabilità, al momento stiamo parlando della revisione di un trattato già esistente dal 2011. Al limite quindi si tratterebbe di uscirne, cosa al momento complessa per ovvie ragioni: è comunque conveniente per l'Italia far parte di un meccanismo che serve a gestire le crisi. Fuori dal Mes l'Italia sarebbe ancora più esposta”.

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