SOCIETÀ

Biotech, ricerca e impresa crescono assieme

A sessant’anni dalla definizione della struttura del DNA da parte di Watson e Crick sono ancora attesi enormi sviluppi per la ricerca nelle “scienze della vita”. Oggi la stessa Europa guarda alle biotecnologie come a un patrimonio di conoscenze strategiche per assicurare la crescita economica, un’occupazione qualificata, qualità della vita e benessere.

Alle biotecnologie si associano straordinarie promesse ed è per questo che fanno breccia nella voglia di futuro di tanti giovani.

  che hanno partecipato a Job Opportunities for Biotech per far conoscere gli sbocchi professionali nel settore della biotecnologie. L’appuntamento ha proposto testimonianze di docenti, ricercatori e giovani laureati che hanno intrapreso diversi tipi di carriera, in Italia o all’estero, nell’ambito biotecnologico e bio-farmaceutico, inclusi anche quelli che non sono presi in considerazione durante la formazione accademica.

La “foto” scattata alla fine del 2013 vede l’Italia terza in Europa nel settore con 407 imprese attive nel campo della biotecnologie. Di queste 175 sono impegnate nel settore del farmaco biotecnologico, all’interno di un network di eccellenza internazionale, con 67 progetti in fase di discovery e 359 prodotti in sviluppo. Numeri che affermano che l’Italia gioca un ruolo di primo piano nell’ambito delle biotecnologie per la salute. La ricerca farmaceutica, in particolare, sta fornendo i maggiori contributi per il trattamento delle malattie rare e di quelle di origine genetica.

Cosa può fare un giovane laureato in biotecnologie? I campi di attività sono essenzialmente due: ricerca e impresa. Campi esplorati attraverso sei relazioni-testimonianza. Antonella Solìa ha parlato della situazione delle biotecnologie in Italia, settore in crescita con 6.626 addetti ma i laureati toccano già quota 22.000; Alessandra Gava ha affrontato il tema del riconoscimento del ruolo del biotecnologo, in presenza di una legislazione a volte contraddittoria e ancora inadeguata; Alessandro Costa, ricercatore al London Research Institute ha parlato della sua decennale attività fra griglie di rame, motori e processori; Daniela Begolo, che sta svolgendo il dottorato ad Heidelberg, si è soffermata su “mobilità e iniziative per neolaureati nel contesto dell’Unione europea”; Valeria Lovato ha parlato del lavoro nella sua azienda, l’Italfarmaco, mentre Marco Maggioni della redazione di Planck! Magazine si è soffermato sulla sua attività di divulgatore scientifico.

 Ma quali sono le armi per sfondare nel campo delle biotecnologie? Serve un bagaglio culturale appetibile unito a una serie di attitudini personali, che vanno dalla capacità di comunicare alla creatività, dal sapere lavorare in équipe alle motivazioni. Barbara Gatto, presidente del corso di laurea in biotecnologie farmaceutiche a Padova, ha aggiunto anche la partecipazione attiva degli studenti e la formazione extra-curricolare, corredata da una perfetta conoscenza dell’inglese, da partecipazione a seminari, da contatti con specialisti, da visite in aziende.

Ma per un ricercatore all’interno dell’ateneo che prospettive ci possono essere? Le ha illustrate Andrea Berti, responsabile dell’area Relazioni internazionali, ricerca e trasferimento tecnologico all’università di Padova. Ha parlato del rapporto inscindibile fra ricerca e imprese, con queste ultime che abitualmente attingono dai laboratori universitari. Il ricercatore a Padova ha possibilità di svolgere un’attività ad ottimo livello; può pubblicare i risultati delle sue ricerche; può ottenere un contratto di ricerca con un’azienda; è possibile anche che arrivi a brevettare una propria invenzione  o che possa creare uno spin-off universitario.

La biotecnologia, scienza relativamente giovane, dal 1950 si è proposta come uno dei settori altamente dinamici nello sviluppo economico. L’interesse del mondo produttivo c’è e l’università ha la preparazione per il trasferimento della conoscenza al mondo esterno. Ma per poter attuare questa sua terza missione, dopo formazione e ricerca, ha bisogno di uno Stato che usi meno forbici e più cervello, perché è la ricerca che porta l’innovazione, e questa, a sua volta, è la sola che può generare sviluppo.

Valentino Pesci

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