CULTURA

Il nuovo ruolo degli intellettuali: scrivere su Wikipedia

Alzi la mano chi può ammettere in tutta sincerità di non usare Wikipedia. O chi, usandola, non abbia mai dubitato della bontà dei suoi contenuti, o chi, ancora, non fosse mai stato tentato di “metter mano” ad una voce ma poi non abbia lasciato perdere per una ragione nemmeno ben definita.

Si interroga sulle ragioni della cattiva fama dell’enciclopedia più consultata del mondo il filosofo Roberto Casati, del Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) di Parigi, che al festival della letteratura di Mantova di quest’anno ha tenuto tre seminari sull’uso di Wikipedia, mostrando ai partecipanti come utilizzare al meglio uno strumento potente come “l’enciclopedia partecipata”. Casati afferma di essere uno dei pochi universitari che non disprezza Wikipedia e fa notare che si tratta di uno strumento ormai “istituzionalizzato” nella vita quotidiana di chi usa la Rete.

Ma come funziona Wikipedia? Quando si cerca una voce in un motore di ricerca, il più delle volte, tra i primi risultati, compare proprio la definizione di Wikipedia, così ciascuno è orientato a usare lo strumento senza però necessariamente chiedersi come funzioni. Questo di per sé non è molto dissimile dall’utilizzo delle canoniche enciclopedie cartacee, Treccani & Co., che venivano consultate senza certo chiedersi chi fosse l’autore delle singole voci o quale grado di autorevolezza avesse l’enciclopedia in questione rispetto alle altre. C’era però una differenza sostanziale, di tipo psicologico, legata probabilmente al processo di produzione dello strumento cartaceo, lungo e revisionato, testimoniato proprio dalla materialità dei volumi e dal fatto che non fosse possibile modificare alcunché se non da chi fosse autorizzato. In Wikipedia tutti sono titolati a mettere mano alle voci, perché si tratta, per l’appunto, di un’enciclopedia partecipata, e il suo stesso nome testimonia la velocità di accesso e di aggiornamento del mezzo: significa infatti “cultura veloce” dal termine hawaiano wiki (veloce) con l'aggiunta del suffisso greco –pedia (formazione).

E qui entra in gioco Casati con le sue lezioni che rivelano al neofita i meccanismi interni dello strumento: la “vandalizzazione” di una voce dell’enciclopedia non resiste in linea più di qualche minuto, perché la struttura della creazione e modifica delle voci fa sì che certamente qualcuno dei volontari di Wikimedia (la onlus che supporta Wikipedia), una sorta di “angeli custodi” del sistema cresciuti di grado per meriti sul campo, reagisca alla vandalizzazione. La revisione, dunque, c’è, eccome, e se è vero che chiunque può scrivere su Wikipedia, è vero anche che chiunque può correggere, modificare, criticare fino ad arrivare alla situazione estrema del “voto” quando una voce è estremamente controversa. Il buon wikipediano conosce e applica i “cinque pilastri” che regolano Wikipedia e questa è una delle ragioni della buona riuscita del prodotto, che funziona sulla base dell’ottenimento del consenso, anche attraverso una discussione di cui resta traccia. Questi due aspetti, la discussione e la tracciabilità delle modifiche, costituiscono un elemento di novità e di pregio rispetto alle enciclopedie cartacee.

Uno studio di Dario Taraborelli, allievo di Casati, individua le cento voci più discusse e poi cancellate da Wikipedia, analizzando il processo decisionale attraverso la forma grafica che la voce assume: un’espressione di consenso corrisponde ad un segmento verso destra, un’espressione di dissenso ad un segmento verso sinistra. Così emerge che le voci unanimi danno luogo a spirali logaritmiche verso destra o verso sinistra, a seconda se la voce sia da mantenere o da cancellare; le voci estremamente controverse danno luogo ad una linea pressoché retta (consensi e dissensi si controbilanciano) mentre le voci che nel tempo sono state prima avversate costantemente e poi appoggiate, o viceversa, assumono la forma di una “s” (www.notabilia.net).

È molto affascinante la convinzione che sottende il meccanismo di formazione di un’enciclopedia collettiva come Wikipedia, ossia che la partecipazione democratica di chiunque porti ad un risultato buono, se non ottimo, in termini di qualità. È una sorta di “saggezza delle folle” (The wisdom of crowds, James Surowiecki, 2004) reinterpretata.

Casati sottolinea come Wikipedia costituisca uno spazio di democrazia, dove ciascuno può contribuire alla creazione di una definizione in modo semplice ed immediato, eppure sono ancora in pochi quelli che partecipano attivamente. Lo strumento tecnologico, infatti, spiega Casati, ha normatività automatica e spesso il singolo si sente schiacciato dalla sua invadenza. La risposta a questa sensazione, continua il filosofo, sta nella partecipazione al fenomeno, della serie: “non ti piace? Allora cambialo”. Perciò il suo auspicio è quello di estendere la filosofia wikipediana ben oltre i campi del sapere enciclopedico, per esempio nelle redazione, in uno spazio pubblico virtuale e accessibile da tutti, di proposte normative concrete, anche su aspetti quotidiani della vita sociale. Per Casati è giunto il momento di andare oltre la presenza nello spazio pubblico (la Rete) solo per informarsi: è tempo di avere uno spirito di collaborazione produttiva e di partecipare.

Wikipedia, oltre che essere democratica e trasparente, porta con sé il “disincanto epistemologico”: ci insegna cioè cosa sia effettivamente un’enciclopedia, perché Wikipedia si autodefinisce godendo di una sorta di vita propria, senza che siano dei comitati redazionali a delinearne i confini. Molti, quindi, gli aspetti positivi dell’esistenza di Wikipedia, che a gennaio 2013 compie 12 anni. Ma ai detrattori, che la considerano un “fast food” della conoscenza, Casati come risponde? Come evitare che gli utenti viziati da Wikipedia, espressione del “tutto e subito” non si impigriscano avendo sempre l’informazione a portata di click? La sua risposta è semplice: dobbiamo sempre tenere a mente la distinzione tra “informazione” e “conoscenza”: quest’ultima è raggiungibile, anche oggi, solo attraverso lo sforzo e l’applicazione.

Così, sentendo parlare Roberto Casati, viene alla mente una considerazione: se anche questa nostra può essere considerata l’epoca della tecnologia, per fortuna ci sono ancora i filosofi come lui, che riflettono sul fine delle cose, che gli strumenti li esaminano per quello che sono, e che a noi, sempre con le mani sulla tastiera di un pc, mostrano la strada.

 

Valentina Berengo

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