SOCIETÀ

Il potere si è liberato dal controllo politico. Intervista con Zygmunt Bauman

Il pensiero di Zygmunt Bauman sta evolvendo? Il grande sociologo inglese di origine polacca è diventato celebre per i suoi libri sul mondo moderno, “un mondo che chiamo liquido perché come tutti i liquidi non può restare immobile a lungo. In questo nostro mondo tutto, o quasi, è in continua trasformazione: le mode che seguiamo, gli oggetti che richiamano la nostra attenzione, ciò che sognamo o temiamo, che suscita in noi speranza o preoccupazione”. A questa fluidità, però, si accompagna un grandissimo aumento della disuguaglianza e una forte resistenza al cambiamento. Oggi negli Stati Uniti un amministratore delegato guadagna in media 531 volte più del lavoratore medio; nel 1960 il rapporto era 1 a 12. Di questo abbiamo parlato con lui durante una lunga conversazione a Mantova, in occasione del Festival Letteratura e dell’uscita del suo nuovo libro, Cose che abbiamo in comune, Laterza, 2012.

 

Professor Bauman, Lei è il teorico della “modernità liquida”, ha scritto mille volte che tutti noi “veniamo trascinati via senza posa”. Non ha l’impressione che il mondo in cui viviamo stia però diventando sempre più solido, immodificabile?

Se Lei intende per “solidità” che è diventato più resistente al cambiamento ha ragione. Negli ultimi anni ci sono stati molti movimenti, gli indignados spagnoli, Occupy Wall Street e altri. Molte spinte, grandi manifestazioni di massa e tuttavia non accade nulla. Prendiamo Occupy Wall Street: è stato trattato bene dai giornali, la televisione ne ha parlato, l’unica forza che non ha prestato alcuna attenzione è stata la Borsa di Wall Street. Non è cambiato assolutamente nulla. C’è solidità nel senso di resistenza al cambiamento, il sistema sembra immune a tutte le pressioni. Tuttavia, se prendiamo una bistecca, vogliamo tagliarla e non ci riusciamo, dobbiamo chiederci se è la carne che è davvero troppo dura o se è il coltello che stiamo usando che non è abbastanza affilato.La mia teoria è che il sistema non è solido di per sé: ha sviluppato efficaci meccanismi di autoriproduzione ma ha delle fragilità incorporate. Ha una tendenza interna ad autodistruggersi, non potrà continuare a lungo. Se la resistenza umana non sarà in grado di mettervi fine ci penserà la natura. Ci sono ovviamente limiti alle risorse del pianeta e una società basata sulla crescita illimitata della produzione e del consumo incontrerà questi limiti molto presto.

 

Lei ci diceva poco fa che la politica è locale, delimitata dai confini degli Stati nazionali, mentre il potere è globale: è questo che rende il sistema così indifferente alle manifestazioni di resistenza alle sue logiche?

Certo, il potere è globale, il suo spazio è il pianeta, mentre le elezioni americane sono una competizione attorno agli interessi degli Stati Uniti: è questo che mette il potere in grado di fluire liberamente ovunque senza prestare troppa attenzione a ciò che succede qua e là. A causa di questa fluidità ci troviamo in ciò che Antonio Gramsci chiamava un interregno, una situazione in cui “il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. Il vecchio ordine fondato sulla stretta associazione di territorio, Stato e nazione sta morendo. La sovranità non è più associata ad alcuno degli elementi della triade territorio/Stato/nazione: tutt’al più è legata in modo blando a alcune loro componenti. Oggi essa è difficile da definire e controversa, porosa e scarsamente difendibile, disancorata e in balia delle correnti. Ciò che dà un’impressione di solidità del sistema è il fatto che il potere si è liberato dal controllo politico mentre la politica ha un deficit di potere.

 

Sempre più lucido, sempre più indignato, Zygmunt Bauman, 87 anni, se ne va portando da solo la sua valigia, con la sua pipa e un fascio di carte che gli servono per il pamphlet sulla disuguaglianza che uscirà tra qualche mese.

 

Fabrizio Tonello

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