CULTURA

“Non c’è arbitro che possa evitarci la pallottola”

 “Questa è la guerra, addosso ho un’uniforme grigioverde, non c’è arbitro o parata che possa evitarci la pallottola che il destino ha in serbo per noi”. Da giovane atleta a sottotenente di cavalleria nel reggimento Alessandria. Il livornese Nedo Nadi, classe 1893, campione di scherma, sei ori alle Olimpiadi, lascia la pedana per il fronte, dove si distinguerà per meriti e valore. Sul campo, al termine di una battaglia, Nadi fa radunare in colonna, per farli prigionieri, i soldati austriaci costretti alla resa. Si accorge dopo poco, sentendosi chiamare a gran voce “Nedò! Nedò!”, che a guidare quell’avamposto nemico è uno schermidore viennese che lui conosce bene, un leale avversario in pedana. Nadi lo riconosce, lo abbraccia e s’adopera affinché lui e i suoi commilitoni vengano trattati in maniera dignitosa. Di questo gesto il sottotenente dovrà rispondere di fronte a un colonnello e, alla richiesta di spiegazioni, così dirà: “Io sono soldato ma anche cristiano. Quell’ufficiale austriaco era compagno di sport e un amico. L’ho salutato come mi dettava la mia coscienza. Era prigioniero e lo è rimasto. Non ho commesso alcuna infrazione. Mi sono comportato umanamente. Tutto qui. Non ho niente da rimproverarmi”. Un frammento di vita vera lega lo sport alla guerra, mette questi due mondi opposti uno di fronte all’altro, tratteggiando uno scenario inedito in cui le regole e i valori sportivi invadono pacificamente il campo di battaglia e sembrano voler ammorbidire il dolore del conflitto.

"Non solo in punta di spada scaltro, Nedo Nadi, anche a rifilar scappellotti scherzando coi commilitoni nelle retrovie"

È la Prima guerra mondiale vissuta e raccontata da un atleta in trincea: da Nadi, appunto, ma anche da molti altri giovani sportivi, come lui pieni di speranze e obiettivi. Da Giuseppe Sinigaglia, ancora oggi ricordato dai canottieri della Lario con quel “Per Giuseppe Sinigaglia! Hop là, hop!” che accompagna il loro otto in acqua. Diventato sottotenente del II reggimento granatieri di Sardegna, dopo essere stato ferito sulla cresta del Monte San Michele, Sinigaglia moriva il 10 agosto 1916, tra le braccia del tenente Verdelli, chiedendo un po’ d’acqua fresca del suo Lago di Como. Destino comune, in guerra, per Enzo Ferrari, prima dei successi del Cavallino, e il mantovano Tazio Nuvolari, pilota automobilistico, autista d’ambulanze durante il conflitto. E poi, Virgilio Fossati, trascinatore dell’Inter e capitano della Nazionale di calcio, il pugile Erminio Spalla, il marciatore Ferdinando Altimani, il commissario tecnico della Nazionale Vittorio Pozzo, il ginnasta Guido Romano, i calciatori Giuseppe Ticozzelli e Mario Meneghetti, il ciclista Amedeo Polledri ed Enrico Canfari che, appena ventenne, con alcuni compagni di scuola fondò la Juventus e, da tenente di fanteria, morì nel 1915 nella terza battaglia dell’Isonzo.

Erano tutti ragazzi negli anni della Grande Guerra, erano giovani atleti. Lasciarono il campo da calcio, il ring, la pedana, la pista da atletica per andare a combattere. Un libro ora racconta le loro storie, nel centenario del primo conflitto mondiale. A firmare La migliore gioventù. Vita, trincee e morte degli sportivi italiani nella Grande Guerra (Infinito), il giornalista Dario Ricci e l’alpinista Daniele Nardi che, sulle Dolomiti, hanno ritrovato luoghi e memoria di quella guerra, mettendosi in cammino, passo dopo passo, sentiero dopo sentiero. “Marciatori, calciatori, ginnasti, pugili, ciclisti, schermidori, canottieri, piloti automobilistici – scrive lo storico dello sport Sergio Giuntini nell’introduzione al libro - ognuno con una storia di piccoli e grandi eroismi. Molti caduti sul campo”.

Francesca Boccaletto

Il ciclista Amedeo Polledri ritratto a fianco del suo Gabardini

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