CULTURA

Biennale Arte, anacronismo e riflessioni

A Venezia, All the World’s Future. È il tema della Biennale Arte di quest’anno, che  inaugura il 9 maggio sotto il segno del tempo, della dimensione storica, della durata, in un presente che si rappresenta attraverso l’arte, in bilico fra memoria del passato e proiezioni future. Sono passati 120 anni dalla prima Esposizione, quella del 1895, e ancora la mostra insiste nei giardini di Castello, ancora divide le produzioni artistiche fra  suoi padiglioni, ripetendo se stessa in un anacronismo ostinato e di difficile comprensione. In un momento in cui tutto si fa globale, ancora la mostra internazionale dialoga con le esposizioni nazionali, che anno dopo anno aumentano, raggiungendo le 89 partecipazioni straniere, di cui 29 occupano i padiglioni storici, 29 sono collocate negli spazi dell’Arsenale mentre le restanti sono distribuite nei palazzi veneziani. Come sempre.

Insomma, un palcoscenico, quello della Biennale, che nei suoi 120 anni di storia continua a rappresentare contingenze che si sedimentano, scrivendo una lunga storia che intreccia la cultura, l’arte e la società. “Sono lieto di non aver ascoltato le tristi considerazioni di chi nel 1998 mi diceva che la mostra con padiglioni stranieri era outmoded e che andava eliminata, magari mettendo al suo posto un cubo bianco, uno spazio asettico nel quale cancellare la storia, esercitare la nostra astratta presunzione, o dare ospitalità alla dittatura del mercato”, sottolineava Paolo Baratta in occasione della presentazione della mostra veneziana. E così rimarcava la consapevolezza della scelta della Biennale, alla quale si aggiunge un tema affatto nuovo, quello della riflessione dell’artista sul proprio tempo, scomodando l’Angelus Novus di Walter Benjamin, cliché piuttosto frequente nella critica artistica, icona di un’arte che ha in se una capacità rappresentativa che va oltre l’apparenza. L’angelo della storia, il viso rivolto al passato, gli occhi spalancati testimoni della grande catastrofe generata dal susseguirsi di eventi disastrosi, macerie che gli si rovesciano ai piedi, mentre la tempesta del progresso lo spinge verso il futuro, cui volge le spalle. Questa l’immagine che Benjamin legge nel quadro di Klee e che il curatore della prossima Biennale, Okwui Enwezor, critico d’arte, giornalista e scrittore di origini nigeriane, ripropone per spiegare la sua operazione: “Le fratture che oggi ci circondano e che abbondano in ogni angolo del panorama mondiale rievocano le macerie evanescenti di precedenti catastrofi accumulatesi ai piedi dell’angelo della storia. Come fare per afferrare appieno l’inquietudine del nostro tempo, renderla comprensibile, esaminarla e articolarla?” Disastri ambientali, migrazioni di massa, rivoluzioni industriali e digitali, guerre e genocidi hanno ampiamente ispirato – e continuano a farlo - arte, cinema, teatro, musica. Non c’è una novità, quindi, ma una “nuova valutazione della relazione tra arte e gli artisti nel nuovo stato delle cose”. L’Esposizione, Enwezor in prima persona, pone quindi una domanda: “In che modo artisti, filosofi, scrittori, compositori, coreografi, cantanti e musicisti, attraverso immagini, oggetti, parole, movimenti, testi, azioni e suoni, possono raccogliere dei pubblici nell’atto di ascoltare, reagire, farsi coinvolgere e parlare, allo scopo di dare un senso agli sconvolgimenti di questa epoca?”.

Per dare una risposta, la Biennale ha coinvolto 136 artisti in un “Parlamento di idee”, e organizzato 44 eventi collaterali. Spicca, fra le iniziative, la lettura dal vivo del testo integrale di Das Kapital di Karl Marx: ogni giorno per sette mesi, senza soluzione di continuità, tutti e quattro i libri, riga dopo riga. Anche questo un anacronismo? Perché proprio quel testo, perché adesso? “Il capitale è il grande dramma della nostra epoca - spiega il curatore della Mostra - Oggi incombe di più di qualsiasi altro elemento su ogni sfera dell’esistenza, dalle predazioni dell’economia politica alla rapacità dell’industria finanziaria. Lo sfruttamento della natura attraverso la sua mercificazione sotto forma di risorse naturali, il crescente sistema di disparità e l’indebolimento del contratto sociale hanno di recente imposto il bisogno di un cambiamento”.

Allora probabilmente la prossima non sarà una Biennale nuova, tanto meno rivoluzionaria. Magari invece sarà solo un momento di riflessione. Del resto, forse è proprio ciò di cui oggi si ha davvero bisogno.

Chiara Mezzalira

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