CULTURA

Biennale: gli stranieri siamo noi. Racconto per immagini

In un mondo che non è più capace di mettersi in gioco, dove tra le dinamiche di potere di un capitalismo che si nasconde sotto le vesti del buon pastore, le prepotenze nazionaliste e gli orgogli individuali che guardano con arroganza più a ciò che ci divide che a ciò che unisce, è liberatorio ritrovarsi straniero a casa.

Perché se l’incontro con la diversità, invece di essere il motore per qualcosa che sia più della somma delle parti, diventa un pretesto per riproporre l’affermazione (politica) del proprio Io, ognuno di noi diventa estraneo all’altro. Straniero circondato da stranieri.

Se tutti siamo estranei, stranieri per gli altri, l’arte dovrebbe essere allora il linguaggio che ci accomuna. Un linguaggio in grado di porre interrogativi sempre nuovi e non arroccato sulle singole individualità. Solo così sarà possibile aprire all’essere umano prospettive inedite.

Curata da Adriano Pedrosa, Stranieri ovunque, sessantesima Esposizione Internazionale d’Arte, prova a delineare il confine tra l’affermazione di sé e la consapevolezza della propria identità individuale. Sta a noi tentare di superarlo.

La Mostra rimarrà aperta a Venezia fino al 24 novembre 2024.

1-3. The Mapping Journey Project _ Bouchra Khalili. Le rotte migratorie attraverso il Mediterraneo raccontano storie di morte e speranza, dove nonostante la paura è forte la determinazione ad ambire a un futuro migliore.

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4. Foreigners Everywhere _ Claire Fontaine. Una dichiarazione, un fatto, uno stato dell’anima. Ognuno è lo straniero di qualcun altro e ognuno è straniero nella ricerca dell’altrove.

5-6. Come, let me heal your wounds. Let me mend your broken bones _ Dana Awartani. I tagli sul tessuto sono una ferita che può rimarginarsi con la cura. Lasciando però cicatrici, profonde e visibili. Come quelle lasciate in Medioriente dal terrorismo, dai bombardamenti e dalle azioni di guerra.

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7-8. Falling Reversely _ Isaac Chong Wai. La danza come un rituale. Per rivendicare il valore catartico della rappresentazione contro ogni violenza. Perché la diversità, anche se estranea alla cultura egemone, è parte attiva della cultura collettiva.

9-11. A Espiral do Medo e The Geometric Ballad of Fear _ Kiluanji Kia Henda. Le ringhiere metalliche che circondano le case della città di Luanda, in Angola, come metafora della paura dell’altro. Una paura che protegge, una paura che imprigiona.

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12-13. Messengers of the Sun _ Antonio Jose Guzman, Iva Jankovic. Il tessuto indaco è una sequenza del dna del colonialismo, un legame indissolubile che lega la tratta degli schiavi alle rotte migratorie contemporanee.

14-15. VOID _ Joshua Serafin. L’evoluzione è un atto generativo, come una danza primordiale dove all’origine tutto può essere possibile, dove un dio non binario è in grado di riparare il mondo per riportarlo in equilibrio.

16-17. Personal Account _ Gabrielle Goliath. I corpi delle persone parlano. Non le voci, ma i loro sguardi, i loro gesti. Sono il racconto dei traumi e del disagio vissuti in una società che esclude il diverso.

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18-21. Stati Uniti d’America. the space in which to place me. Jeffrey Gibson. I linguaggi visivi occidentali si incontrano con l’estetica tribale Choctaw dando vita a uno spazio inclusivo dove le diverse voci risuonano in accordo.

22-25. Germania. Thresholds. In un mondo vicino alla catastrofe, la migrazione è l’unica azione possibile per cercare di portare in salvo quel poco di umano che rimane in ognuno di noi.

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26-27. Australia. Kith and Kin. Archie Moore. Un immenso albero genealogico delle popolazioni aborigene abbraccia la stanza, colpendo per i vuoti creati dalle politiche coloniali. I referti medici al centro sono un memoriale per i morti delle popolazioni indigene australiane.

28-29. Giappone. Compose. Yuko Mohri. Gli impulsi elettrici della frutta sono convertiti in luci e suoni, che variano al variare dello stato di decomposizione del frutto. In moto continuo, fino alla fine.

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30-32. Polonia. Repeat after me II. Open group. Qual è il suono di un mortaio? E quello di un fucile mitragliatore? Il ricordo è vivo nella mente dei rifugiati in fuga dalla guerra in Ucraina che invitano il pubblico a riprodurli insieme.

Ovunque si vada e ovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. Adriano Pedrosa

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