Una delle opere in mostra. Foto: Roberto Serra
All’entrata il visitatore rimane affascinato da una delle monumentali sculture-aquiloni realizzate con bambù, carta di riso e seta - leggere nei materiali ma dal forte peso simbolico, installate in tutti i piani del palazzo -, raffiguranti gli animali fantastici tratti dal bestiario del Classic of Mountains and seas, il più antico testo mitologico e geografico cinese risalente al III secolo a.C. Queste creature mitologiche invitano a una riflessione sulla storia e sull’antichissima identità culturale cinese e portano a un confronto con la Cina attuale e la sua complessa realtà socio politica. È l'arte di Ai Weiwei, protagonista della mostra allestita nelle sale di Palazzo Fava, a Bologna, fino al 4 maggio prossimo.
Curata da Arturo Galansino, critico d’arte e direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi, prodotta da Fondazione Carisbo, nell’ambito del progetto culturale Genus Bononiae e realizzata da Opera Laboratori con il supporto di Galleria Continua, è la prima personale dell’artista cinese in città. Il titolo Ai Weiwei. Who Am I? è ispirato da una conversazione con l’intelligenza artificiale, concetto di sperimentazione in constante dialogo con la tradizione, sia nella poetica di Ai Weiwei, sia attraverso il confronto delle sue opere con i miti greci e romani affrescati alle pareti della sale di Palazzo Fava, dipinti sul finire del Cinquecento dai Carracci e dalla loro scuola. L'universo creativo dell'artista cinese viene raccontato attraverso grandi installazioni, sculture, video e fotografie. Le opere esposte trovano il loro contesto di riferimento tra Cina e Occidente, tra passato e presente e toccano le tematiche da tempo espresse dall'artista stesso: la libertà di espressione e di informazione, i diritti umani e civili, le migrazioni, le crisi geopolitiche, i cambiamenti climatici, invitando il visitatore a riflettere sui temi della libertà, della giustizia, della memoria e della resilienza.
Proprio alla cancellazione della memoria storica in Cina, nella seconda metà del Novecento è dedicato l’iconico trittico fotografico Dropping a Han Dynasty Urn, al quale si accompagnano i resti del vaso risalente a circa duemila anni fa e il ready made Han Dynasty Urn with Coca Cola, riferendosi a Andy Warhol e a Marcel Duchamp. Ai WeiWei racconta che la maggior parte delle sue attività “riguarda l’aggiornamento o la ridefinizione degli oggetti. Avevo questo vaso da un po' e ne ammiravo la forma, ma non sapevo cosa farne. Sembrava così spoglio, così vuoto, e volevo renderlo più attuale: per me il logo della Coca Cola è un chiaro annuncio di proprietà di identità culturale o politica, ma è anche un simbolo evidente del non - pensiero. È perciò ignoranza, ma è anche ridefinizione”.
Il percorso della mostra continua con Left Right Material, un tappeto blu composto da frammenti di opere in porcellana, provenienti dalla distruzione dello studio di Ai WeiWei a Pechino, ad opera del regime. Realizzazione che denuncia la persecuzione subita dall’artista in Cina. Scenograficamente impattanti sono le opere realizzate con mattoncini LEGO che riprendono in chiave ironica alcune pitture della tradizione occidentale. L'artista utilizza questo mezzo espressivo dal 2014 e in mostra porta la trasformazione della Venere dormiente di Giorgione a cui aggiunge una gruccia per ricordare gli aborti autoindotti prima della legalizzazione dell’interruzione di gravidanza. Nell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci, invece, il personaggio di Giuda ha le fattezze dello stesso Ai Weiwei.
L’artista cinese ha altresì realizzato alcune opere site specific, ispirate alla tradizione pittorica bolognese: i rifacimenti dell’Atalanta e Ippomene di Guido Reni, l’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello e una Natura Morta di Giorgio Morandi. Al secondo piano si trova un’opera dedicata al tema delle migrazioni nel Mediterraneo. La carta da parati Odissy è composta in fregi e rappresenta le difficili esperienze dei migranti e dialoga con i cicli di affreschi di Palazzo Fava.
Conosciuto per le sue installazioni, video, performance, film, architetture e sculture, Ai Weiwei è da sempre critico nei confronti del regime cinese. Artista e attivista, nel 2010 ha indagato le pressioni politiche sul sistema giudiziario cinese nel documentario One Recluse. Questo e altri lavori gli hanno creato diversi problemi con il governo: nel 2011 il suo studio di Shanghai è stato demolito dalle autorità locali e nello stesso anno è stato arrestato ufficialmente per evasione fiscale. Viene rilasciato dopo tre mesi di carcere, grazie alla mobilitazione mondiale ma è obbligato a non lasciare la Cina, fino al 2015. Interessato al potenziale di internet come “strumento per la democrazia”, come lo ha spesso definito, dal 2005 al 2009, ha tenuto un blog nel quale esprimeva le sue denunce sociali e le sue riflessioni artistiche, che sono poi passate sui social network, da Twitter a Instagram: “Nei social media non ci sono confini. Con i social media possiamo per la prima volta ridefinire l’essere umano come tale, nella sua identità; un modo per rendere il nostro tempo molto differente dal passato”.
Grazie alla sua costante necessità di comunicazione e denuncia, l’artista e attivista ha sempre cercato di parlare ad una vasta platea di persone e non solo ad un ristretto circuito artistico. “Attraverso la sua arte ci incoraggia a guardare il mondo tenendo gli occhi aperti e a non accettare passivamente la realtà che viviamo, trasformando l’esperienza artistica in un potente strumento di cambiamento e consapevolezza”, conclude il curatore Arturo Galansino.