SOCIETÀ

1945, Anno Zero

In uno dei pochi edifici di Varsavia sopravvissuti alla quasi completa distruzione della città nel 1945 ci sono gli uffici di Strzelec, una grande organizzazione paramilitare polacca, con migliaia di iscritti. I suoi membri si preparano in vista della guerriglia dopo una eventuale invasione e la sconfitta dell’esercito regolare. “Siamo gli eredi dell’Armia Krajowa” dice il suo leader Marcin Waszczu nel numero in edicola del settimanale inglese The Economist.

Un’organizzazione paramilitare? Guerriglia? Invasione? Siamo nel 2015, la Polonia è parte dell’Unione Europea, la Germania è un paese amico e la Russia è a centinaia di chilometri di distanza, oltre la Bielorussia e l’Ucraina, con l’eccezione della minuscola enclave di Kaliningrad, incastrata fra il mar Baltico, la Lituania e il confine polacco, un posto buono per il contrabbando, certo non per lanciare un Blitzkrieg. Contro chi i polacchi si preparano a combattere?

La risposta immediata è che la guerra civile in Ucraina e l’annessione della Crimea da parte della Russia hanno suscitato un’ondata di panico nelle repubbliche baltiche e in Polonia, che si comportano come se Putin dovesse scatenare la Terza guerra mondiale domattina (in realtà, come ha spiegato John Mearsheimer su Foreign Affairs, Putin ha reagito in chiave difensiva all’espansione verso Est della Nato iniziata dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991). Ma possiamo comprendere meglio l’attualità scegliendo un un’ottica di lungo periodo grazie a un libro pubblicato qualche mese fa in Gran Bretagna e ora annunciato di imminente uscita anche in Italia: Year Zero. A History of 1945 di Ian Buruma (Penguin).

Secondo Buruma, la Seconda guerra mondiale non è stata in realtà un conflitto ben delimitato nel tempo (3 settembre 1939-15 agosto 1945) ma piuttosto un lungo conflitto iniziato prima (con le invasioni tedesche di Austria e Cecoslovacchia) e proseguito dopo, con anni di guerriglia e pulizia etnica in Polonia, in Ucraina, in Lituania, in Estonia, in Lettonia e in Grecia. Anni di feroci massacri dimenticati dai libri di scuola ma ben presenti nella memoria collettiva dei paesi coinvolti. Conflitti che hanno modellato la politica europea per 70 anni e continuano a influenzarla ancora oggi.

Prendiamo la Grecia: la sua storia degli ultimi anni non può essere compresa se si ignora ciò che avvenne il 3 dicembre 1944, quando la polizia del governo provvisorio installato dagli inglesi, sostenuta dalle truppe di Churchill, sparò contro una manifestazione pacifica di fronte all’hotel Grande Bretagne, uccidendo alcune centinaia di sostenitori dell’EAM, il movimento di resistenza che aveva liberato con le sue sole forze vaste aree del paese.

Nella spartizione postbellica delle zone d’influenza in Europa, la Grecia “toccava” all’Inghilterra e i partigiani comunisti dovevano essere eliminati, Stalin consenziente: lo furono, al prezzo di decine di migliaia di morti e di una guerriglia che durò fino al 1948 e oltre. Da allora, la politica greca fu dominata dai militari (che nel 1967 cacciarono il re e gestirono il potere direttamente fino al 1974) e poi da sole tre famiglie: i Karamanlis, i Mitsotakis e i Papandreu. Le elezioni che si terranno fra poche settimane sono le prime in 70 anni in cui un leader di sinistra che non abbia studiato in America ha delle realistiche possibilità di andare al governo.

Guardiamo all’Ucraina, dove continuano gli scontri nella parte orientale del Paese. Buruma ci permette di inquadrare la situazione attuale in una prospettiva storica che parte da Stepan Bandera, il leader dei guerriglieri nazionalisti durante la Seconda guerra mondiale. Quando l’Ucraina divenne indipendente nel 1991 Bandera “fu trasformato nel padre della patria, una sorta di George Washington ucraino. Furono erette statue ovunque, insieme a monumenti, altari e musei dedicati a Bandera. Ma Bandera non può essere un eroe che unifica il paese perché veniva dall’Ucraina occidentale, un tempo parte dell’impero austroungarico. Nell’Ucraina orientale di religione cristiano- ortodossa, Bandera è ancora considerato come un fascista per essersi alleato con i nazisti nel 1941. I nazionalisti di Bandera furono anche responsabili dell’omicidio di circa 40.000 polacchi nel 1944”.

Perché proprio i polacchi? Perché la Volinia, l’area tra i fiumi Pripyat e Bug, contesa fra Ucraina e Polonia, fu il teatro di innumerevoli episodi di pulizia etnica compiuti da entrambe le parti. Il confine orientale della Polonia nel 1939 comprendeva ben 178.000 chilometri quadrati di territori le cui popolazioni erano in parte lituane, bielorusse o ucraine: nel 1945 tutte queste aree furono incorporate nell’Unione Sovietica e gli abitanti polacchi furono espulsi o “convinti” ad andarsene. La stessa sorte toccò a ben dieci milioni di tedeschi che abitavano in Prussia, Slesia e Pomerania, i territori a Est dei fiumi Oder e Neisse. La loro sorte fu terribile.

Il 1945, spiega Buruma in pagine tanto accurate quanto insostenibili, fu un anno di gioia per la fine della guerra ma il giorno dopo il cessate il fuoco in Europa (8 maggio) non ci fu nessuna magia, nessun ritorno istantaneo alla pace e alla prosperità. Decine di milioni di profughi, di sopravvissuti ai campi di concentramento, di prigionieri di guerra rimasero in preda alla fame, alle malattie, alle vendette dei vincitori. Centinaia di migliaia di loro morirono dopo la conclusione della guerra, nella maggioranza dei casi di fame. Milioni non riuscirono a tornare alle loro case per mesi o anni, per molti non ci fu più nulla che si potesse chiamare “casa”. Agli ebrei liberati dai lager gli inglesi volevano impedire di emigrare in Palestina. I soldati tedeschi che si erano arresi agli alleati non ebbero neppure diritto a delle baracche: dormirono nel fango fino al 1946. Le macerie delle città bombardate rimasero dov’erano per anni, la ricostruzione vera e propria non iniziò che lentamente e sporadicamente, soprattutto in Germania.

Year Zero. A History of 1945 è un libro indispensabile per mettere in prospettiva gli avvenimenti: è solo leggendolo, per esempio, che le motivazioni del premio Nobel per la pace attribuito nel 2012 all’Unione Europea appaiono più chiare. Il potenziale distruttivo dei nazionalismi degli anni Trenta è stato dimenticato grazie alla ricostruzione postbellica e ai miraggi della società dei consumi, che si è imposta prima in Occidente e poi, dopo il 1989, anche nei paesi ex satelliti dell’Unione Sovietica e nella Russia degli oligarchi. Buruma ci fa toccare con mano quanto gli odi etnici e l’ignoranza della storia siano profondi. Non esistono “memorie condivise”: gli ungheresi si sono affidati a un governo autoritario e xenofobo come quello di Viktor Orban, gli ucraini si sparano addosso fra loro, il Front National era, l’anno scorso, il primo partito di Francia.

La “vaccinazione” contro i nazionalismi attuata negli anni Cinquanta creando la Nato e l’Unione Europea ha evitato per 60 anni nuovi conflitti ma il virus sembra ora essersi adattato, sembra aver ritrovato una virulenza inaspettata. Ricordare il prezzo in vite umane di questa malattia è quanto mai opportuno.

Fabrizio Tonello

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