SCIENZA E RICERCA

Per battere la leucemia c’è una nuova strada

Nei bambini la forma di tumore più frequente è la leucemia linfoblastica acuta: un cancro su quattro è una leucemia e, tra queste, quattro su cinque sono rappresentate da questa variante. Si tratta di un tumore maligno del sangue che oggi tuttavia è possibile guarire nell’80% dei casi. Negli adulti la malattia è più rara, ma più basse sono anche le probabilità di guarigione: del 30-40% nei pazienti tra i 18 e i 60 anni, meno del 10% in quelli con più di 60 anni.

Perché dunque la terapia fallisce? Perché i pazienti in alta percentuale risultano resistenti a farmaci come i glucocorticoidi e ciò è dovuto, oltre ai meccanismi già noti, anche all’azione della proteina chinasi Akt1. A dimostrarlo per la prima volta, e a fornire quindi nuovi bersagli terapeutici, è uno studio pubblicato su Cancer Cell e coordinato da Erich Piovan, del dipartimento di scienze chirurgiche, oncologiche e gastroenterologiche dell’università di Padova, in collaborazione con la Columbia University.

“I glucocortocoidi – spiega Piovan – vengono utilizzati fin dalla prima settimana nel trattamento della leucemia linfoblastica acuta e se il malato non risponde il rischio è che la situazione si complichi. Sono stati molti finora gli studi che hanno cercato di capire la ragione della resistenza a questo trattamento, senza tuttavia arrivare a conclusioni certe. Usando un approccio innovativo, il nostro gruppo di ricerca ha studiato i meccanismi genetici che stanno alla base della resistenza al farmaco, confrontando cellule di pazienti che rispondono alla terapia con quelle di malati che non rispondono”.

Ma vediamo nello specifico cosa accade. I glucocorticoidi sono ormoni in grado di indurre la morte delle cellule staminali che danno origine ai linfociti (un tipo di globuli bianchi) nel midollo osseo. Se si considera che la leucemia linfoblastica acuta è la proliferazione tumorale nel midollo di queste cellule, si intuisce perché tali farmaci giochino un ruolo così importante. E altrettanto di rilievo era capire cosa frenasse la loro azione.  

Gli occhi vennero puntati fin dall’inizio sulla proteina chinasi Akt1. Molti tumori infatti, tra cui la leucemia, sono legati alla mutazione del gene Pten che inibisce la proliferazione delle cellule tumorali: partendo dal presupposto che la proteina Pten espressa dal gene blocca l’azione di Akt1, si è ipotizzato che questa potesse essere in qualche modo coinvolta.

E così è stato: i ricercatori hanno infatti dimostrato che Akt1 inibisce il recettore dei glucocorticoidi, impedendo in questo modo ai farmaci di fare effetto. “Normalmente – continua Piovan – i glucocorticoidi si uniscono a un recettore che si trova all’interno della cellula, ne determinano l’attivazione e lo spostamento nel nucleo; qui poi attivano i singoli geni che avviano il programma di morte cellulare. Al contrario la proteina Akt1 impedisce il trasferimento del recettore nel nucleo, aggiungendo gruppi di fosfato al recettore stesso, e ostacola in questo modo l’azione dei glucocorticoidi”.

Lo studio dimostra inoltre che la perdita di Pten e la successiva attivazione di Akt1 impediscono l’attivazione del processo di morte cellulare dovuto ai glucocorticoidi, contribuendo in questo modo alla resistenza alla terapia.

Se invece si blocca l’azione di Akt1 con un farmaco inibitore (MK2206) si ripristina la migrazione del recettore al nucleo e dunque l’azione dei glucocorticoidi. “Lo studio – sottolinea Piovan – ha tuttavia dimostrato che questo farmaco da solo non è del tutto efficace nella terapia antitumorale, ma si ottengono risultati migliori se viene associato a desametasone (un tipo di glucocorticoide). Sebbene la ricerca sia stata condotta per ora sui topi, la scoperta apre la via alla sperimentazione sull’uomo oltre ad aggiungere nuove possibilità di trattamento che vedono proprio nella proteina chinasi Akt1 un possibile bersaglio terapeutico”.    

Monica Panetto

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