SCIENZA E RICERCA

Ebola: vaccini “provvisori” entro fine anno

Finora sono 4.963 i casi, confermati, sospetti e probabili, e 2.453 i decessi. Questi i numeri dell’epidemia di Ebola in Guinea, Liberia e Sierra Leone, i Paesi maggiormente colpiti, stando ai dati diffusi in questi giorni dall’Organizzazione mondiale della sanità. Accanto a questi, uno è stato segnalato in Senegal e 21 in Nigeria, oltre a otto morti. Interessata anche la Repubblica democratica del Congo, dove tuttavia si ritiene che lo scoppio della malattia sia indipendente rispetto all’epidemia in Africa occidentale. “Attualmente – sottolinea Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” – l’unica strategia disponibile e già sperimentata per far fronte all’epidemia è l’utilizzo del siero di persone convalescenti (il sangue privo della parte corpuscolata, cioè globuli rossi, globuli bianchi e piastrine, Ndr). Un trattamento utilizzato già 20 anni fa e che oggi si può preparare con sistemi più avanzati”. Su questo punto convergono i 150 esperti che si sono recentemente riuniti a Ginevra nell’ambito di una consultazione voluta dall’Oms per discutere possibili vaccini e terapie. 

Si parte dal presupposto che non esistono, ad oggi, farmaci o vaccini approvati per l’uomo per il trattamento o la prevenzione dell’Ebola. Nel corso della due giorni sono state dunque indicate cinque-dieci molecole come potenziali farmaci (anche già esistenti e utilizzati per altre patologie) da testare nei Paesi interessati dall’epidemia, e sono stati individuati due vaccini in fase avanzata di sperimentazione. Su questi sono attualmente in corso negli Stati Uniti studi di sicurezza e tollerabilità su volontari sani (chiamati studi di fase 1) e successivamente si prevede prenderanno avvio indagini anche in Africa e in Europa. Dei due vaccini, uno si basa sul virus della stomatite vescicolare (VSV-EBO), l’altro sull’adenovirus dello scimpanzé (ChAd-EBO). Quest’ultimo in particolare, a cui ha contribuito anche un gruppo di ricerca italiano, ha dimostrato sulle scimmie un’efficacia del 100%. Se i risultati dunque saranno positivi, un vaccino potrebbe essere disponibile già a Novembre. “Ciò non significa – tiene tuttavia a precisare Ippolito – che si riuscirà a debellare questa epidemia, che dovrebbe durare da sei a nove mesi, né con i farmaci né con i vaccini. Questo perché si potranno ottenere circa 2.000 dosi nel caso del vaccino che usa il virus della stomatite vescicolare e tra le 10.000 e le 15.000 dosi nell’altro caso”. E verranno utilizzati in via prioritaria negli operatori sanitari. 

La ricerca sui vaccini contro il virus di Ebola è iniziata più di dieci anni fa, utilizzando la glicoproteina, una delle proteine esterne del virus clonata ed espressa in un sistema ricombinante attraverso tecniche di ingegneria genetica, per evitare l’utilizzo di virus vivo e dunque il rischio di replicazione del virus stesso in pazienti o animali da laboratorio. In prima linea nelle indagini gli Stati Uniti e il Canada. “Sebbene il virus sia stato finora confinato in alcuni Paesi dell’Africa, come Uganda e Zaire, gli Stati Uniti – evidenzia Franco Ruggeri, presidente della società italiana di virologia – hanno dedicato molta attenzione al problema anche per il fatto di avere loro militari in quelle zone. Il Centers for Disease Control and Prevention ha sempre inviato un laboratorio mobile nei Paesi in cui si verificavano i focolai”. Un laboratorio ad alta sicurezza che garantisce un’azione immediata e l’identificazione del virus e permette, da molti anni, di avere a disposizione campioni clinici di pazienti infetti su cui lavorare.

Data la situazione di emergenza quelli disponibili a fine anno, sottolinea Ruggeri, non saranno vaccini sottoposti a tutti i protocolli richiesti: dalla fase 1 di valutazione della sicurezza su soggetti sani, alla fase 2 di indagine delle potenzialità del prodotto su decine di pazienti, solitamente della durata di un paio d’anni, fino alla fase 3 di somministrazione a migliaia di malati, il periodo di monitoraggio più lungo che può arrivare anche a 3-5 anni. Procedura, questa, che permette di compiere calcoli effettivi sia di reazioni avverse che di efficacia in termini di risposta immunitaria e di protezione in caso di esposizione al virus. 

Continua Ruggeri: “Penso che in situazioni di emergenza, come per i vaccini contro il virus Ebola, si possa accelerare la sperimentazione, sempre tuttavia senza venir meno ai criteri scientifici ed etici”. Va considerato che si tratta di vaccini sperimentali che potrebbero frenare lo sconfinamento ulteriore del virus e che verranno resi disponibili non a tutti, ma a un numero limitato di soggetti per cui si può accettare il rischio di un prodotto non fedelmente ratificato dal Food and Drug Administration negli Stati Uniti, dall’European Medicines Agency in Europa e dalle normative nazionali in applicazione a quelle internazionali. Ma questo non significa che il vaccino che verrà somministrato non sarà sicuro. Spiega Ippolito: “Non esistono criteri anche in condizioni di emergenza per evitare le procedure che garantiscano la sicurezza di esito e di processo. Tuttavia va considerato che si tratta di una circostanza eccezionale in cui un vaccino verrebbe somministrato in un contesto di alto rischio di esposizione dei soggetti immunizzati”.

Un’accelerazione dovuta alle contingenze? “La produzione di vaccini non fa arricchire le ditte che li producono, non garantisce lo stesso guadagno di un farmaco specie quando il vaccino interessa i Paesi in via di sviluppo in cui c’è la necessità di mantenere i costi al minimo indispensabile”. Al contrario produrre vaccini costa e costa molto in termini di ricerca e sviluppo. Questa la ragione per cui fino ad oggi nessuna ditta privata ha mai avuto interesse a sviluppare un vaccino anti-ebola. “In questo momento particolare – aggiunge Ruggeri – forse qualche motivazione in più esiste, anche perché l’Organizzazione mondiale della sanità e altre istituzioni internazionali stanno premendo in questa direzione. Per produrre grandi quantità di vaccini sarà necessario rivolgersi ad aziende che hanno un potenziale di produzione su vasta scala nel settore dei vaccini maggiore di istituti più orientati alla ricerca e alla sperimentazione”. 

Se fino a questo momento Ebola era considerata una malattia confinata nelle aree rurali di pochissimi Paesi africani, ora ci si trova davanti a un’epidemia che si diffonde nelle capitali e al rischio, remoto, di importazione di pazienti infetti anche nei Paesi occidentali. E la sintomatologia iniziale, che ricorda quella di altre infezioni a carattere respiratorio e sistemico con febbre e sintomi influenzali, può confondere specie nei Paesi industrializzati in cui di norma la patologia non è presente. Questo spinge a investigare tutte le possibili armi in grado di scongiurare la pur minima insorgenza di rischio nel nostro continente e non solo. 

M. Pa.

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