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Mpox: vaccini in Africa, ma servono più studi su epidemiologia e modalità di trasmissione

Sono arrivate nei giorni scorsi nella Repubblica Democratica del Congo, epicentro della crisi sanitaria, circa 100.000 dosi di vaccino contro Mpox, malattia infettiva causata dal virus Monkeypox nota in passato come vaiolo delle scimmie. Acquistate e inviate dalla Health Emergency Preparedness and Response, l’autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie della Commissione Europea, costituiscono la prima parte di un lotto di vaccini che l’Europa si è impegnata a inviare ai Paesi africani. Altre 10.000 dosi sono state donate lo scorso 27 agosto alla Nigeria dagli Stati Uniti. Tre i vaccini attualmente disponibili: quello inviato nelle scorse settimane (e il più diffuso) è il Modified Vaccinia Ankara prodotto dalla Bavarian Nordic (MVA-BN) che ha ottenuto l'approvazione per Mpox sia dalla Food and Drug Administration (Fda) che dall'European Medicines Agency (Ema). Il secondo, LC16m8, è prodotto invece dalla giapponese KM Biologics ed è stato autorizzato solo in Giappone nell’Agosto del 2022. Il terzo, ACAM2000, è sviluppato da un’azienda statunitense, la Emergent BioSolutions, ed è stato recentemente approvato per l'Mpox dalla Fda.

“L'emergere di un nuovo clade di Mpox – ha sottolineato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità –, la sua rapida diffusione nell'est della Repubblica Democratica del Congo e la segnalazione di casi in diversi Paesi limitrofi sono molto preoccupanti. In aggiunta ai focolai di altri cladi di Mpox in Congo e in altri Paesi africani, è chiaro che è necessaria una risposta internazionale coordinata per fermare questi focolai e salvare vite umane”. Per tali ragioni lo scorso 14 Agosto, dopo la dichiarazione di emergenza sanitaria pubblica per la sicurezza continentale da parte degli Africa Centres for Disease Control and Prevention, l’Organizzazione mondiale della Sanità ha dichiarato la patologia emergenza di salute pubblica internazionale (Pheic - Public Emergency of International Concern). Per la seconda volta in due anni, dopo l’allerta globale del 23 luglio 2022 durata fino all’11 maggio 2023.

La circolazione del virus in Africa

Stando ai dati forniti dall’Oms, dal primo gennaio 2022 al primo settembre 2024  in Africa 20 Stati membri hanno segnalato casi di Mpox per un totale di 6.303 casi confermati in laboratorio, di cui 54 decessi. Solo nel 2024, 15 Paesi hanno registrato 3.900 casi, di cui 32 decessi (al primo settembre). I Paesi con il maggior numero di pazienti affetti dalla patologia sono la Repubblica Democratica del Congo, il Burundi e la Nigeria. A fronte di questi numeri si deve tener conto tuttavia che, accanto a quelli confermati in laboratorio, ci sono molti casi sospetti clinicamente compatibili con Mpox che non vengono analizzati a causa della limitata capacità diagnostica e dunque non vengono confermati. Non tutti i Paesi dispongono di solidi sistemi di sorveglianza e dunque è probabile che il numero di persone che hanno contratto la patologia sia significativamente sottostimato. Si parla infatti di oltre 20.000 casi nel continente africano. 

Solo nella Repubblica Democratica del Congo, l’Oms stima che le persone contagiate siano 19.393 (da inizio anno al primo settembre) e 638 i morti (di cui 25 confermati con analisi di laboratorio), se si considerano nel computo anche i casi sospetti. Qui bambini e bambine hanno una probabilità di morire quasi quattro volte superiore rispetto a quella degli adulti: il tasso di mortalità di chi ha meno di un anno è dell'8,6%, rispetto al 2,4% delle persone con più di 15 anni. Il 70% di tutti i casi nel Paese riguarda ragazzi e ragazze sotto i 15 anni, e il 39% bambini con meno di 5 anni.

La nuova variante: il clade Ib

In Africa sono presenti tutti i ceppi del virus ma a preoccupare in questo momento – come si evince dalle parole del direttore Oms – è in particolare la nuova variante, il clade Ib, identificata per la prima volta  nella Repubblica Democratica del Congo (dove circola anche il clade Ia) e poi in altri Paesi come il Burundi, il Rwanda, l’Uganda e il Kenya. 

Ma fermiamoci un momento per fare chiarezza. I ceppi del virus sono due: il clade I, più virulento, diffuso soprattutto nell’Africa centrale; e il clade II (suddiviso nei due sottotipi IIa e IIb) presente nell’Africa occidentale, in Paesi come la Nigeria e regioni confinanti. Nel 2024 come si è detto è stato identificato un nuovo sottogruppo del clade I, il clade Ib, che è stato dunque differenziato dalla variante precedente  ora denominata clade Ia. È probabile che queste due varianti si siano divise secoli fa, ma che solo ora sia stato individuato il clade Ib.  

“Il ceppo di clade Ib trovato nella Repubblica Democratica del Congo – sostengono su The Lancet Abdu A. Adamu e colleghi del World Health Organization Region Office for Africa –, è più trasmissibile da uomo a uomo e potrebbe rappresentare un serio pericolo per l'elevato numero di individui immunocompromessi in Africa”. Da quanto emerso finora i diversi ceppi del virus e i relativi sottotipi, sembrano avere come vedremo modalità differenti di trasmissione.

Nel resto del mondo 

Ma vediamo cosa accade fuori dal continente africano. A livello globale dal 1° gennaio 2022 fino al 31 luglio 2024, sono stati segnalati all’Oms da 121 Paesi nel mondo un totale di 103.048 casi confermati in laboratorio e 186 casi probabili, compresi 229 decessi. Tutti i casi di clade I sono stati segnalati in Africa, a parte uno registrato dalla Svezia il 15 agosto 2024 e uno dalla Thailandia. Al 31 luglio 2024, la maggioranza dei casi per i quali sono disponibili dati dettagliati a livello mondiale non è dunque associata all'epidemia del clade Ib o alla regione africana. 

Fino al 2022 i casi segnalati al di fuori delle zone endemiche erano solitamente di importazione. Due anni fa invece in Paesi in cui la malattia non era endemica sono stati registrati casi di infezione da virus Mpox di clade II (nello specifico IIb) in persone che non avevano avuto contatti diretti con aree dell’Africa occidentale o centrale. Con l’improvvisa diffusione in Europa (dove ha avuto luogo più dell’80% dei casi), nelle Americhe e poi in tutte e sei le regioni dell'Oms, nel luglio del 2022 la patologia è stata dichiarata emergenza di salute pubblica internazionale: in quella circostanza la maggior parte dei casi era rappresentata da uomini che avevano avuto rapporti sessuali con altri uomini. Al di fuori dell'Africa questa risulta essere ancora la principale modalità di trasmissione della patologia.

Più epidemie contemporaneamente

Il confronto tra l’epidemia del 2022-2023 e quella attualmente in corso, suggerisce l’esistenza di diverse modalità di contagio, che richiedono ulteriori ricerche per capire il modo in cui il virus si diffonde in diversi contesti e condizioni. L’elevato numero di bambini e ragazzi al di sotto dei 15 anni colpiti dalla malattia lascia desumere una trasmissione intrafamiliare per contatto diretto (faccia a faccia, pelle a pelle, bocca a bocca o bocca a pelle) o l’esposizione ad animali infetti, frequente nel caso di Mpox da clade Ia. La patologia, lo ricordiamo, si manifesta principalmente con la comparsa di febbre e macule, vescicole, pustole e croste sulla pelle. 

“Gli epidemiologi  – spiega Stefania Salmaso in un articolo su Scienza in rete – hanno anche registrato focolai di contagio con rapporti eterosessuali, che non erano stati identificati frequentemente nell’epidemia del 2022, dovuta al clade II”. Le infezioni trasmesse dal virus di clade Ib sembrano infatti essere veicolate prevalentemente tramite rapporti sessuali, in larga proporzione per l’appunto eterosessuali. Un articolo che descrive il primo focolaio conosciuto, nella provincia del Sud Kivu della Repubblica Democratica del Congo, riporta che su 108 casi di Mpox esaminati quasi il 52% erano donne e il 29% sex workers, con un’età mediana di 22 anni. 

Se oltre ai casi di Mpox da clade Ia e Ib, si contano anche quelli da clade II, spiega Kai Kupferschmidt su Science, che interessano soprattutto uomini che dichiarano di avere rapporti sessuali con altri uomini, possiamo affermare di essere in presenza di ben tre epidemie ognuna sostenuta da un clade diverso.

“Tutte le parti interessate – osservano ancora su The Lancet Abdu A. Adamu e colleghi – devono essere consapevoli che gli sforzi per contenere Mpox sono particolarmente scoraggianti perché le strategie di risposta ai focolai verrebbero implementate per controllare un virus che non è ancora ben compreso in termini di epidemiologia, dinamiche di trasmissione e storia naturale. Inoltre, i vaccini in esame non dispongono di dati sulla sicurezza e sull'efficacia per popolazioni target chiave, come i bambini”.

Le ragioni dell’aumento dei casi

Negli ultimi decenni i casi di Mpox nell’uomo sono andati via via aumentando, in modo particolare nella Repubblica Democratica del Congo a partire dal 2000 e in diversi Paesi africani. Le ragioni potrebbero essere imputabili a più fattori, tra cui una maggiore capacità di sorveglianza e tracciamento nel continente africano, l’evoluzione del virus Monkeypox, cambiamenti degli ecosistemi locali e della densità di animali selvatici, serbatoi naturali del virus, con conseguente maggiore frequenza di esposizione delle persone che vivono in zone rurali. A ciò si aggiunga che l’aumento della popolazione, l'urbanizzazione e la maggiore mobilità possono aumentare le opportunità di trasmissione del virus tra le persone. Senza contare il peso che può aver avuto anche la sospensione della vaccinazione antivaiolosa, efficace all’85% pure contro Mpox. 

Dopo l’eradicazione del vaiolo, ormai una quarantina di anni fa, la vaccinazione di routine è stata interrotta nella maggior parte dei Paesi (in Italia nel 1977): oggi si stima che più del 70% della popolazione mondiale non sia più protetta contro il vaiolo e dunque, per effetto dell’immunità crociata, nemmeno contro gli orthopoxvirus strettamente correlati, come Mpox. Karl Simpson e colleghi nel 2020 definivano quest’ultima una malattia emergente, sostenendo che la patologia potrebbe arrivare a riempire la “nicchia epidemiologica” lasciata libera dal vaiolo.


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