MONDO SALUTE

Vaiolo delle scimmie: non è emergenza sanitaria internazionale

Stando all’ultimo aggiornamento fornito dall’Organizzazione mondiale della Sanità, dal primo gennaio al 15 giugno, 42 Stati membri in cinque regioni dell’Oms (Americhe, Africa, Europa, Mediterraneo orientale e Pacifico occidentale) hanno segnalato un numero complessivo di 2.103 casi di vaiolo delle scimmie, un caso probabile e un decesso. Il 98% dei casi è stato notificato a partire da maggio e l’84% proviene dalla Regione europea dell’Oms. Se questi sono i dati ufficiali dell’Oms a metà mese, secondo quanto riportato da Our World in data, al 24 giugno i contagiati a livello globale sono 4.147. In Italia, in particolare, il primo caso risale al 20 maggio. Al 24 giugno i casi confermati sono 127, di cui 48 collegati a viaggi all’estero. I pazienti hanno un’età mediana di 45,5 anni e sono prevalentemente maschi (125 su 127). Le regioni in cui si registra il numero maggiore di persone infette sono la Lombardia e il Lazio, rispettivamente con 64 e 32 casi.

Finora l’Organizzazione mondiale della Sanità ha valutato il rischio per la salute pubblica a livello globale come moderato, considerando che è la prima volta che vengono segnalati casi e cluster di vaiolo delle scimmie in molti Paesi in aree geografiche dell’Oms diverse tra loro, ma la mortalità rimane bassa. Nei giorni scorsi il direttore generale dell’Oms ha convocato il Comitato di emergenza dell’International Health Regulations, il quale ha convenuto che, in questa fase, il vaiolo delle scimmie non è da considerare una emergenza sanitaria pubblica di portata internazionale.

Dell’argomento abbiamo parlato con Vincenzo Baldo, professore di igiene generale ed epidemiologia del dipartimento di Scienze cardio-toraco-vascolari e Sanità pubblica dell’università di Padova e direttore dell’unità operativa complessa di Medicina preventiva e valutazione del rischio dell’Azienda ospedale - università di Padova.

I primi casi, negli animali e nell’uomo

A causare il vaiolo delle scimmie, malattia infettiva zoonotica, è il virus Monkeypox (MPXV) appartenente alla famiglia Poxviridae, genere Orthopoxvirus (lo stesso del virus Variola che causa il vaiolo, e del virus Vaccinia che provoca il vaiolo bovino). È stato identificato per la prima volta nel 1958 in Danimarca, a Copenaghen, in una struttura che veniva rifornita di scimmie asiatiche per la ricerca sul vaccino antipolio. Da quando è stato scoperto, il virus ha rivelato una propensione a infettare e indurre la malattia in un gran numero di animali della classe dei mammiferi, provenienti da località geografiche diverse. Questo ha ostacolato l’identificazione dell’ospite naturale, anche se i candidati più accreditati sono gli scoiattoli africani o altri roditori.

Nell’uomo il virus è stato individuato per la prima volta nel 1970 nella Repubblica Democratica del Congo, in un bambino di nove mesi. Da allora casi umani sono stati segnalati con sempre maggior frequenza nell’Africa centrale e occidentale. Nel 2003 si è verificato il primo focolaio al di fuori del continente africano, negli Stati Uniti, che si ritiene essere stato causato dal contatto con cani da prateria infetti, alloggiati nelle strutture di un rivenditore di animali dell’Illinois, vicino a piccoli mammiferi importati dal Ghana. L’Oms riporta che il vaiolo delle scimmie è stato rilevato anche in viaggiatori provenienti dalla Nigeria e diretti in Israele nel settembre 2018, nel Regno Unito nel settembre 2018, dicembre 2019, maggio 2021 e maggio 2022, a Singapore nel maggio 2019 e negli Stati Uniti d'America nel luglio e novembre 2021.

La malattia

“Il vaiolo delle scimmie è una patologia trasmessa da un virus a DNA – argomenta Vincenzo Baldo –. Diversamente da Sars-CoV-2 quindi (che è un virus a RNA, ndr), non dovremmo avere varianti così facilmente come è avvenuto nel corso della pandemia da Covid-19. Normalmente la trasmissione avviene per via aerea, tramite droplets (goccioline), ma di grandi dimensioni, e ciò implica la necessità di essere molto vicini al soggetto infetto: il contagio può avvenire con un contatto ravvicinato faccia a faccia o skin to skin ovvero attraverso il contatto diretto o indiretto con le lesioni del rush cutaneo che è provocato dalla malattia. Dopo l’infezione c’è un periodo di incubazione molto variabile, che va dai 5 ai 21 giorni, si manifesta poi uno stato febbrile che può durare da uno a quattro giorni, infine c’è lo stadio del rush cutaneo che si manifesta con la comparsa (normalmente simultanea nelle fasi) di macule, papule, vescicole, pustole e croste, caratteristica principale della patologia. Il virus si concentra in modo particolare su tali lesioni e dunque questa è la modalità di maggior contagio: attraverso il contatto diretto, magari con lesioni che non vediamo. Altro aspetto peculiare è l’insorgenza di un gonfiore molto significativo ai linfonodi del collo, sottomascellari, ascellari e inguinali”. A contrarre la malattia è soprattutto la popolazione maschile: per 468 pazienti dei 2.103 confermati dall'Oms sono disponibili informazioni demografiche e caratteristiche personali, che hanno dimostrato come il 99% delle persone infette siano uomini che dichiarano di avere rapporti sessuali con altri uomini. Nonostante ciò, sottolinea il docente, il vaiolo delle scimmie non è identificabile come una malattia sessualmente trasmessa.

Sono noti due clade geneticamente distinti del virus MPXV, uno dell’Africa occidentale, e l’altro dell’Africa centrale (bacino del Congo). I due hanno caratteristiche diverse: quello dell’Africa occidentale – che al momento sta causando i casi di vaiolo delle scimmie a livello globale e che sta circolando in Europa – è associato a malattie meno gravi, a una minore infettività e a una letalità meno elevata rispetto al clade dell’Africa centrale.

Casi atipici

Come si è detto, non ci sono ancora certezze su quali siano i serbatoi naturali del virus MPXV, anche se sono diverse le specie animali identificate. Si tratta soprattutto di mammiferi, come lo scoiattolo, il ratto, il toporagno, oltre a primati non umani. “Sono animali meno diffusi nei nostri Paesi e dunque anche la possibilità di venire infettati è minore per tale via, dato che normalmente nelle zoonosi l’uomo è l’ospite terminale e viene contagiato dall’animale infetto. Attualmente, invece, il quadro epidemiologico evidenzia la presenza del virus in più Paesi contemporaneamente e pertanto la trasmissione interumana è da ritenersi la principale e le informazioni indicano che avviene prevalentemente attraverso i rapporti sessuali”. Ciò suggerisce inoltre che i casi siano autoctoni, privi cioè di collegamenti epidemiologici con le aree endemiche, e che possa esserci stata una trasmissione non rilevata per qualche tempo.  Per questi motivi il focolaio della regione europea, dove è localizzato l’84% dei casi di vaiolo delle scimmie, viene considerato atipico, se raffrontato con quanto avviene nei Paesi africani in cui la patologia è endemica e trasmessa principalmente dal contatto con gli animali.  

I vaccini disponibili

“Il vaiolo è una patologia eradicata grazie alla vaccinazione – sottolinea Vincenzo Baldo –. Oggi, dunque, molte persone dai 45 anni in su hanno ricevuto il vaccino contro il vaiolo umano, che, stando ai dati in letteratura, è efficace all’85% anche contro il vaiolo delle scimmie. Il problema sta nel fatto che questo vaccino è stato realizzato ormai tempo fa e si è visto che molti soggetti hanno contratto il vaiolo delle scimmie, nonostante fossero stati precedentemente vaccinati. Trattandosi di un vaccino di prima generazione non è dunque raccomandato dall’Oms, perché non soddisfa gli attuali standard di sicurezza di produzione. In questo momento, sempre per il vaiolo umano, ci sono vaccini di seconda e terza generazione più sicuri”.

I due vaccini di seconda generazione cui il docente fa riferimento sono ACAM2000 (costituito da vaccinia virus vivo, attenuato, competente per la replicazione), sviluppato in Francia e negli Stati Uniti d’America e prodotto da Emergent BioSolutions, e LC16 di KM Biologics sviluppato in Giappone e autorizzato nel 1975. Entrambi si sono dimostrati protettivi contro il vaiolo delle scimmie nei modelli animali e immunogeni negli studi sull’uomo. Ad oggi, tuttavia, per questi due vaccini non è stata richiesta la licenza per la prevenzione del vaiolo delle scimmie.

Esiste poi un vaccino di terza generazione, un vaccino vivo attenuato non replicante, denominato MVA – BN (Modified Vaccina Ankara-Bavarian Nordic), che può essere utilizzato sia prima dell’eventuale esposizione al virus, dunque come profilassi, sia dopo l’esposizione. Nel 2013, il vaccino MVA-BN è stato approvato per la prevenzione del vaiolo in Canada e nell’Unione Europea. Nel 2019 negli Stati Uniti per la prevenzione sia del vaiolo che del vaiolo delle scimmie; e nello stesso anno anche in Canada l’indicazione è stata estesa al vaiolo delle scimmie.

Prevenzione e misure di sanità pubblica

“Va detto – sottolinea Baldo – che in questo momento non c’è una raccomandazione dell’Oms alla vaccinazione di massa, anche se a livello europeo si sta valutando quali siano le decisioni da prendere se i casi dovessero aumentare. Si dovranno attendere le decisioni degli enti regolatori. Bisognerà inoltre valutare se sarà necessario ricorrere alla vaccinazione come profilassi post-esposizione in determinati gruppi di soggetti, dato che si può usare il vaccino fino a 14 giorni dopo l’eventuale esposizione. Possiamo pensare per esempio ad alcune categorie specifiche, come chi lavora con il virus, chi fa diagnostica, chi ha avuto un elevato rischio di contatto, ma anche gli operatori sanitari stessi”.

Sono proprio queste del resto le indicazioni dell’Oms che raccomanda, per i contatti dei casi di vaiolo delle scimmie, la profilassi post-esposizione con un vaccino appropriato di seconda o terza generazione. La profilassi pre-esposizione, invece, viene raccomandata per gli operatori sanitari a rischio, per il personale di laboratorio che lavora con gli orthopoxvirus, per chi lavora nei laboratori clinici che eseguono test diagnostici per il vaiolo delle scimmie e per altre persone che possono essere a rischio. Alcuni Stati stanno già impiegando i vaccini ACAM-2000 e MVA-BN per gestire i contatti stretti. E il 14 giugno la Health Preparedness and Response Authority (l’autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitaria) della Commissione europea, ha stipulato un contratto con l’azienda Bavarian Nordic per l’acquisto di 109.090 dosi dei suoi vaccini di terza generazione (MVA – BN) per far fronte agli attuali focolai di vaiolo delle scimmie: qualora il numero dei casi continuasse ad aumentare, l’accordo consentirà di avere rapidamente a disposizione i vaccini per tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, per la Norvegia e l’Islanda.

L’Oms sottolinea, tuttavia, che la diffusione da uomo a uomo del vaiolo delle scimmie in questo momento può essere controllata con misure di sanità pubblica, quali l’individuazione precoce dei casi, la diagnosi e l’assistenza, l’isolamento e la ricerca dei contatti. “Attualmente le misure preventive sono quelle tradizionali – sottolinea Baldo –. Innanzitutto, bisogna ridurre la trasmissione da uomo a uomo e ciò implica, prima di tutto, il riconoscimento dei soggetti infetti. La patologia del resto ha tutte le caratteristiche per poterlo fare, rispetto a una malattia asintomatica, dato che si manifesta con la comparsa di febbre e di rush cutaneo e questo consente di riconoscere precocemente il soggetto. Ne conseguono l’isolamento e adeguate misure di prevenzione, quindi l’impiego di guanti, camice, occhiali e mascherina, da parte degli operatori sanitari, e il lavaggio delle mani più in generale. Infine, è molto importante il contact tracing, l’individuazione precoce dei contatti. Queste misure preventive sono migliori del vaccino nella situazione epidemiologica attuale”.

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