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In Salute. Pronto soccorso in affanno e d’estate è peggio

Pronto soccorso in affanno e d’estate è peggio. Complici il turismo e il caldo, il numero di chi cerca assistenza aumenta, come pure i tempi di attesa. Tra le ragioni però non solo contingenze legate al periodo, ma anche la mancanza di risposte sanitarie adeguate sul territorio e carenze di organico. Dell’argomento abbiamo parlato con Alessandro Riccardi, presidente della Società italiana di medicina d’emergenza urgenza (Simeu).

“I nostri dati – spiega il medico che dirige la struttura complessa di pronto soccorso e medicina d’urgenza dell’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure – dimostrano un aumento standard degli accessi in pronto soccorso tra il 10 e il 20% in questa stagione. Alcuni centri hanno confermato una crescita anche del 20%, soprattutto in Toscana e in Sardegna. È indubbio che d'estate, specie nelle località turistiche di mare o comunque nelle grandi città, un aumento di popolazione comporti anche più accessi. In Liguria per esempio alcune cittadine in inverno contano 6.000 abitanti e d'estate arrivano ad avere 60.000 persone sul proprio territorio, che implica un aumento rilevante di soggetti da assistere”. 

Riccardi osserva tuttavia che frequentemente il cittadino si rivolge in pronto soccorso per avere delle risposte sul proprio stato di salute che non riesce a trovare altrove.  In ogni caso, ritiene che questi accessi non possano definirsi impropri: “Sicuramente sono accessi non urgenti su cui si deve ragionare, perché vanno a sovraccaricare le nostre strutture, ma non sono impropri perché si tratta di persone che non trovano assistenza altrove per bisogni di salute che ritengono urgenti, anche se poi in realtà non lo sono”. 

Proprio per rispondere a queste necessità nel 2022 il decreto ministeriale n. 77 ha definito dei modelli organizzativi per lo sviluppo dell’assistenza territoriale, nell’ambito della riforma della sanità prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). È stata prevista per esempio la creazione di case di comunità e ospedali di comunità, ma la riorganizzazione, secondo dati Gimbe, procede con lentezza. Un tema, questo, di cui parleremo più diffusamente in un altro servizio. 

Le ondate di calore peggiorano le condizioni di cronicità

Chiediamo dunque a Riccardi quali siano i problemi di salute che si riscontrano con più frequenza in questo periodo. “Indubbiamente si osservano patologie legate alla stagionalità. Riconosciamo innanzitutto i problemi associati alle temperature, che interessano in particolare chi è costretto a lavorare in ambienti molto caldi. Ciò che stiamo notando, tuttavia, è che le ondate di calore stanno peggiorando le condizioni di cronicità e di fragilità dei pazienti”. Riccardi spiega che, durante il picco di caldo di giugno, l’aumento degli accessi in pronto soccorso era riconducibile prevalentemente alla patologia preesistente del soggetto, più che al caldo in sé. 

Le polmoniti rappresentano una causa di accesso comune durante i periodi estivi con i patogeni che sono più frequentemente osservati in questa stagione, come la legionella o il micoplasma. E questo nei pazienti con patologie croniche costituisce un problema, perché molto spesso l’infezione evolve in sepsi, condizione che richiede un ricovero ospedaliero. 

“Abbiamo rilevato anche un aumento del cosiddetto boarding, cioè quel fenomeno per cui il paziente in attesa di un posto letto in reparto rimane in pronto soccorso, in aree di transito. Ciò significa che tutte quelle condizioni patologiche che normalmente sono mantenute a un livello di stabilità, vengono destabilizzate dalle temperature elevate. Questi sono dati su cui dobbiamo cominciare a ragionare per il futuro, proprio alla luce del cambiamento climatico in atto. Dobbiamo iniziare ad avere dei piani precisi dal punto di vista dell'organizzazione ospedaliera per poter intervenire in modo più adeguato in fase di emergenza”. 

Carenza di personale medico in pronto soccorso

Riccardi sottolinea che il sovraccarico in entrata, dovuto al numero enorme di pazienti che non trovano le risposte sul territorio soprattutto nei periodi estivi, e la necessità doverosa di assistere anche i pazienti che rimangono in barella in attesa del posto letto, rende estremamente difficile la gestione di tutte le attività di pronto soccorso. “L'aumento di accessi nelle nostre strutture durante l’estate, che coincide anche con il periodo di ferie dei professionisti, comporta una criticità che in qualche modo viene gestita. È indubbio però che le carenze di organico e l'assenza di soluzioni alternative diventeranno problematiche in futuro perché, come abbiamo evidenziato nella nostra recente survey, in Italia mancano circa 3.500 medici di emergenza urgenza, che è un numero veramente significativo”. In sostanza il 38% del fabbisogno complessivo: sul totale nazionale, a fronte di circa 9.000 medici necessari solo 5.500 sono presenti. 

L’indagine, condotta su 153 strutture di Medicina d’emergenza urgenza (corrispondenti a più del 37% dei 19 milioni di accessi a livello nazionale nel 2024), ha messo in evidenza anche altri dati significativi: ha rilevato per esempio che il 17% del fabbisogno di organico totale non viene coperto in alcun modo, che nel 21% dei casi si ricorre a varie forme contrattuali e che il 62% è coperto da dipendenti del sistema sanitario nazionale. Sul totale del 38% di medici mancanti, il 16% è coperto da liberi professionisti; il 15% con prestazioni aggiuntive fornite da strutturati, l’8% da specializzandi in libera professione, e il 18% viene rimpiazzato da professionisti forniti da cooperative. A cui però le strutture sanitarie, per decisione ministeriale, non potranno più ricorrere dal 31 luglio.

“Tenuto conto che, secondo le recenti disposizioni ministeriali, i contratti con le cooperative non sono più derogabili, ci troveremo ad avere un problema di turnover del personale. In realtà la decisione del ministero riconosce il ruolo e le competenze del professionista dell'emergenza urgenza nelle nostre strutture. Tuttavia, senza un piano che possa facilitare il rientro di queste figure all'interno del servizio pubblico, avremo difficoltà a garantire la copertura degli organici, perché sarà oggettivamente problematico reperire risorse umane per i servizi necessari”.  

Quali soluzioni?

“Una vera soluzione – osserva il presidente Simeu – sarà possibile solo quando il lavoro nel servizio pubblico tornerà a essere attrattivo. E ciò avverrà quando chi lavora nel settore della medicina d'emergenza urgenza potrà dedicarsi esclusivamente alle mansioni che gli competono, senza doversi occupare anche di casi non urgenti che dovrebbero essere intercettati sul territorio, e senza dover assistere malati in barella per diverse ore e giorni”. 

Secondo Riccardi, il boarding costituisce un problema rilevante, da un lato perché  sta allontanando molti professionisti, dall’altro perché pone il paziente in condizioni inaccettabili sia dal punto di vista clinico che etico. L’assistenza in luoghi di transito come il pronto soccorso non è equiparabile a quella in un reparto ospedaliero, dove esiste un rapporto equilibrato tra paziente, medico, infermieri, oss. Doversi occupare anche di questi malati toglie energie e risorse per dedicarsi a chi si rivolge in pronto soccorso per essere valutato. “È stato dimostrato che ogni malato in attesa di un posto letto che rimane in pronto soccorso ritarda di 18 minuti circa l'assistenza dei pazienti in attesa. Diventa semplice quantificare il ritardo di accesso alle cure, quando i malati arrivano a essere 20 o 30”.   

Per cercare di risolvere il problema della carenza di personale medico nel settore dell’emergenza urgenza, secondo Riccardi dovrebbero essere considerate anche altre questioni. Occorre affrontare il tema del trattamento economico e delle tutele, alla luce dei rischi infettivi e di aggressione, così come dell’impatto familiare che la professione comporta. Il lavoro dovrebbe essere riconosciuto come usurante e andrebbero previsti periodi di riposo obbligatorio. Secondo il presidente Simeu, in conclusione, serve una svolta su più fronti, che preveda dunque non solo una valorizzazione economica, ma anche un miglioramento della qualità di vita professionale e personale. 

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