MONDO SALUTE

In Salute. Disuguaglianze sanitarie: gli interventi proposti dall’Oms

La salute non è, esclusivamente, una questione di biologia o genetica. La salute è anche una questione sociale, economica e politica. Il luogo in cui si nasce, la comunità cui si appartiene, il livello di istruzione, l’accesso ai servizi, il reddito, il genere – dunque fattori non clinici – determinano un ampio margine di differenza nella durata della vita in buono stato di salute. Ormai da tempo l’Organizzazione mondiale della Sanità ha avviato una riflessione sui determinanti sociali della salute, proponendo linee guida e sistemi di monitoraggio per affrontare la questione e ridurre le disparità. Ultimo in ordine di tempo il rapporto pubblicato a maggio dal titolo World report on social determinants of health equity che esamina i progressi intrapresi fino a questo momento – ancora scarsi – e propone quattro specifici ambiti di intervento. 

La Commissione sui determinanti sociali della salute istituita nel 2005

Soffermiamoci innanzitutto su alcuni momenti (non tutti) del percorso intrapreso fino ad oggi, partendo dal 2005: quell’anno, per aiutare i Paesi a fronteggiare i fattori che causano disuguaglianze sanitarie nella popolazione mondiale, l’Oms istituisce la Commissione sui determinanti sociali della salute che presenta la sua relazione di indirizzo nel luglio 2008 (Closing the Gap in a Generation: Health Equity through Action on the Social Determinants of Health). La commissione in quell’occasione conclude che una “combinazione tossica di politiche inadeguate, meccanismi economici iniqui e cattiva governance” contribuisce a determinare disparità nelle condizioni di vita di bambini e adulti in tutto il mondo. 

Sul tema si continua a ragionare e alcuni anni più tardi, nel 2019, prende avvio il primo programma globale per affrontare operativamente le disuguaglianze di salute agendo sui determinanti sociali, che coinvolge più Paesi e partner scientifici e istituzionali (Special Initiative for Multi-country Action on the Social Determinants of Health Equity)

Arriviamo al 2021, quando la settantaquattresima assemblea mondiale della sanità adotta la risoluzione WHA74.16 che invita gli Stati membri a rafforzare gli sforzi nell’affrontare i determinanti sociali, economici e ambientali della salute per ridurre le disuguaglianze sanitarie; e incoraggia a integrare le considerazioni relative ai determinanti sociali della salute nelle politiche pubbliche (adottando il cosiddetto Health in All Policies approach). L’Assemblea, inoltre, chiede al direttore generale dell’Oms di sostenere i Paesi che lo richiedono nell’istituzione di sistemi di monitoraggio come piattaforme e osservatori; di preparare un quadro operativo per la misurazione e la valutazione dei determinanti sociali, nonché il loro impatto sugli esiti di salute; e di redigere un rapporto aggiornato sull’argomento, comprensivo dei progressi finora compiuti. Frutto di queste richieste due documenti: una guida pubblicata dall’Oms nel 2024 dal titolo Operational framework for monitoring social determinants of health equity e il World report on social determinants of health equity da cui siamo partiti e su cui ora ci soffermeremo.

Qualche risultato raggiunto, ma ancora insufficiente: l'ultimo rapporto Oms

L’ultimo rapporto dell’Organizzazione mondiale della Sanità è denso e articolato. Spiega innanzitutto che i determinanti sociali comprendono sia i determinanti “intermedi” a valle, che rappresentano le condizioni in cui le persone nascono, crescono, vivono, lavorano e invecchiano, sia i determinanti “strutturali” a monte, che riguardano invece la governance, i sistemi politici ed economici, le norme e i valori sociali che definiscono chi ha accesso alle risorse e alle opportunità, e chi no. Attraverso i dati disponibili, l’Oms restituisce un quadro dettagliato della situazione odierna a livello mondiale. Valuta in modo specifico i progressi verso i tre obiettivi guida stabiliti nel 2008 dalla Commissione, sottolineando che l’intento principale di ridurre le disparità in tema di salute, entro il termine di una generazione, al ritmo attuale non sarà raggiunto. Il miglioramento delle condizioni di vita quotidiane in diversi Paesi, dai servizi igienico-sanitari agli alloggi, dall’istruzione alle opportunità professionali, ha inciso positivamente sullo stato di salute della popolazione. Tuttavia una serie di eventi su scala globale, tra cui la crisi climatica, i conflitti  e non ultima la pandemia, ha rallentato i progressi in atto. 

Tra il 2000 e il 2040 è stato programmato per esempio di dimezzare la differenza nell’aspettativa di vita tra gruppi sociali all’interno dei Paesi, ma dove i dati forniscono qualche evidenza si realizza invece che tale divario spesso si è ampliato. L’Oms riferisce inoltre che gli abitanti del Paese con l’aspettativa di vita più alta vivono in media 33 anni in più rispetto ai nati nel Paese con l'aspettativa di vita più bassa.

La mortalità di bambini e bambine al di sotto dei cinque anni tra il 2000 e il 2023 è dimezzata, ma non è stato raggiunto il miglioramento necessario a garantire una riduzione del 90% entro il 2040. Il calo più rapido è stato registrato nei Paesi a basso reddito, ma nel 2023 in questi ultimi il tasso di mortalità di chi aveva meno di cinque anni era ancora 13 volte superiore a quello dei Paesi ad alto reddito. 

Sempre nello stesso arco di tempo, cioè tra il 2000 e il 2023, a livello mondiale la mortalità materna è diminuita del 40%, passando da 328 a 197 decessi ogni 100.000 nati vivi, ma l’obiettivo è di scendere a meno di 16 decessi ogni 100.000 nati vivi entro il 2040. Tra il 2016 e il 2023 i progressi in questo campo hanno ristagnato e dal 2021, in concomitanza della pandemia da Covid-19, la mortalità è aumentata. 

Per contribuire ad affrontare le disuguaglianze in ambito sanitario l’Organizzazione mondiale della Sanità individua quattro aree strategiche di intervento, articolate in 14 raccomandazioni. Gli attori principali delle azioni proposte sono di volta in volta i governi nazionali e locali, la società civile, il settore privato, gli istituti di ricerca, le Nazioni Unite e le istituzioni finanziarie globali, e l’Oms stessa. 

Ridurre le disuguaglianze economiche

La prima area di azione individuata dall’Organizzazione mondiale della Sanità mira a contrastare le disuguaglianze economiche e le conseguenze che da queste derivano sulle condizioni di vita e di salute. Stando ai dati riferiti dall’Oms, nel 2000 in 201 Stati nel mondo il 10% più ricco della popolazione guadagnava 12 volte di più rispetto al 50% più povero; nel 2020 la differenza è aumentata a 15 volte. Nel 2024, si stima che 3,3 miliardi vivano in Paesi che spendono più per il pagamento degli interessi sul debito che per l'istruzione o la sanità. La debolezza dei sistemi fiscali limita le risorse per i servizi pubblici universali, lasciando 3,8 miliardi di persone prive di qualsiasi forma di tutela sociale come i sussidi per l’infanzia o il congedo di malattia retribuito, fondamentali per la salute. Eppure, sempre secondo stime dell’Oms, sarebbe sufficiente investire lo 0,1% del Pil in salute, protezione sociale, infrastrutture comunitarie e politiche attive del mercato del lavoro per migliorare la salute di 250.000 persone in un Paese con una popolazione di 60 milioni entro quattro anni.

L’Organizzazione mondiale della Sanità, dunque, suggerisce innanzitutto di rafforzare i sistemi fiscali attraverso una tassazione progressiva, che preveda aliquote più elevate per i redditi più alti. Questo aumenterebbe le risorse pubbliche disponibili per eventuali trasferimenti di reddito, cioè sovvenzioni dello Stato in favore di persone o famiglie (sussidi e assegni familiari per esempio) e per servizi pubblici accessibili a tutti, equi e di qualità, dall’istruzione alla sanità fino alle infrastrutture.

In secondo luogo l’Oms considera importante garantire risorse economiche sufficienti a ridurre le disuguaglianze nella salute: per farlo, serve tenere conto di questo obiettivo quando si decide come usare i fondi per lo sviluppo, quando si rinegozia o si riduce il debito dei Paesi, e quando si progettano le politiche fiscali, come le tasse. Nel 2017, per esempio, la Spagna ha cancellato un totale di circa 24 milioni di euro di debiti al Camerun a condizione che lo Stato versasse il 40% dell’importo al Global Fund to Fight Aids, Tuberculosis and Malaria (il Fondo globale per la lotta contro l'Aids, la tubercolosi e la malaria). La somma è stata poi investita per programmi nazionali in questi settori, nell’ambito del progetto Debt2Health: 30.000 persone hanno così potuto ricevere una terapia antiretrovirale e, insieme a ulteriori risorse del Fondo globale, il tasso di copertura terapeutica per le persone che vivono con l’HIV è aumentato dal 50% al 70%.

Altro aspetto su cui pone l’attenzione l’Oms sono i determinanti commerciali della salute: si raccomanda di analizzare e regolamentare le attività commerciali che hanno effetti negativi sulla salute e sull’equità sanitaria, promuovendo invece il potenziale del settore privato nel favorire la salute. Si può pensare per esempio di limitare la vendita di prodotti dannosi come il tabacco, l’alcol, il cibo ultra-processato, attraverso misure fiscali, divieti di promozione sui prezzi, restrizione della pubblicità. 

Nel contempo si suggerisce di sfruttare la forza del settore pubblico per promuovere attività commerciali che abbiano effetti positivi sulla salute e che riducano i margini di disuguaglianza. Lo Stato per esempio potrebbe scegliere di acquistare solo prodotti che siano sostenibili, sicuri e salutari, e che rispettino condizioni di lavoro giuste e sicure in tutte le fasi della produzione. 

L’Oms, infine, sottolinea l’importanza di rafforzare i sistemi di protezione sociale — cioè tutti quei sostegni che aiutano le persone nei momenti di difficoltà come malattia, disoccupazione, vecchiaia, maternità, ecc. — e di estenderli a tutte le fasi della vita, dall'infanzia alla vecchiaia.

Contrastare le discriminazioni strutturali 

Esistono forme di disuguaglianza che colpiscono determinati gruppi di persone sulla base del genere, dell’etnia, di eventuali disabilità. L’Oms parla di discriminazioni strutturali intendendo con ciò “le regole, le norme, le consuetudini, i modelli di comportamento presenti nelle istituzioni e in altre strutture sociali che ostacolano gruppi o individui nel raggiungimento degli stessi diritti e opportunità di cui gode la maggior parte della popolazione”. L’aumento del volume delle migrazioni, per esempio, insieme a livelli senza precedenti di conflitti – nel 2024 più che in qualsiasi altro anno dal 1946 – costituiscono una forma di violenza strutturale che inficia l’equità nella salute. 

Contrastare queste forme di discriminazione e gli impatti di guerre, emergenze e migrazioni rappresenta la seconda area di intervento indicata dall’Organizzazione mondiale della Sanità, che raccomanda innanzitutto di riconoscere e correggere forme di ingiustizia insite nelle leggi e nelle istituzioni. Per rendere più esplicito il concetto si pensi che negli Stati Uniti il fenomeno del redlining fino ai primi anni '70 impediva alle persone di colore di ottenere mutui in determinate aree o, ancora,  che in 18 Paesi i mariti hanno tuttora il diritto legale di impedire alle proprie mogli di lavorare. 

Un altro punto su cui insiste il rapporto è l’impatto che il colonialismo ha avuto su intere comunità indigene (e di conseguenza sulla loro salute) e sottolinea, dunque, la necessità di adottare misure di giustizia riparativa che riconoscano i diritti di chi ha subito soprusi. Un tema, questo, ben presente nel dibattito contemporaneo. Il documento cita i Paesi Bassi, che hanno previsto un fondo di 200 milioni di euro per il ruolo avuto nella tratta transatlantica degli schiavi e le conseguenze che ne sono derivate. 

“La pace – si legge in un passaggio particolarmente significativo – deve essere riconosciuta come un determinante fondamentale dell’equità sanitaria e la salute come un ponte verso la pace”. Tutelare i fattori che garantiscono pari diritto alla salute, anche durante situazioni di crisi, diventa essenziale. 

Tra il 2008 e il 2024, i conflitti e gli effetti del cambiamento climatico hanno triplicato il numero di sfollati forzati, che hanno raggiunto i 122 milioni. Nei Paesi ospitanti, i migranti devono spesso affrontare disuguaglianze nei servizi, discriminazioni e perdita dei sistemi di supporto familiare che hanno un impatto negativo sulla salute fisica e mentale. Per questo l’Oms raccomanda agli Stati membri di garantire un accesso equo ai servizi sanitari e sociali senza discriminazioni. 

Anche le attività di preparazione e risposta alle emergenze sanitarie devono sempre considerare i determinanti sociali della salute. Ne sono esempio i provvedimenti adottati dall’India nel 2020 per affrontare le ripercussioni economiche della pandemia da Covid-19: il governo ha previsto un pacchetto di aiuti (Pradhan Mantri Garib Kalyan) del valore di 20 miliardi di dollari statunitensi per sostenere individui e famiglie a basso reddito attraverso sussidi in denaro. 

Cambiamento climatico, terza area di azione con il digitale

Cambiamento climatico e digitalizzazione costituiscono la terza area di azione individuata dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Le economie verde e digitale sono due pilastri fondamentali dei piani economici di molti Paesi, e possono avere impatti significativi sull’equità sanitaria.  
Gli eventi meteorologici estremi come tempeste, inondazioni e ondate di calore sono sempre più frequenti e possono causare interruzioni dei sistemi alimentari e idrici. Sono in aumento anche le zoonosi, malattie trasmesse dagli animali agli esseri umani, e quelle veicolate da acqua e vettori come le zanzare. A essere maggiormente colpite sono le persone economicamente più svantaggiate, le donne, le popolazioni indigene, le persone con disabilità, che hanno meno risorse per affrontare le conseguenze di tali eventi. Il cambiamento climatico alimenta anche la migrazione forzata e gli spostamenti di popolazione. Stando al rapporto 2023 dell’Ipcc, sono circa 3,3-3,6 miliardi le persone che vivono in contesti altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici. 

Intraprendere azioni contro il cambiamento climatico, dunque, potrebbe salvare 7,5 milioni di vite. Per esempio, secondo quanto riferisce l’Oms, i guadagni in termini di salute derivanti dal miglioramento della qualità dell'aria attraverso una transizione globale verso l'energia pulita ripagherebbero due volte i costi di tale transizione. Ma i vantaggi sono anche altri: promuovere l’attività fisica attraverso il trasporto attivo (a piedi o in bicicletta) avrebbe conseguenze positive sia sul corpo che sull’ambiente; allo stesso modo sostenere scelte alimentari sane e sostenibili con un basso impatto ambientale. 

Allineare gli obiettivi di mitigazione climatica con quelli di salute pubblica può dare origine evidentemente a numerosi co-benefici. Per questo, l’Organizzazione mondiale della Sanità raccomanda innanzitutto di mettere rapidamente in atto politiche ambientali che massimizzino i benefici in termini di equità sanitaria. E’ necessario garantire una transizione energetica inclusiva ed equa, come richiesto del resto dall’Accordo di Parigi del 2015, che ponga attenzione non solo alla riduzione delle emissioni di gas serra ma anche agli aspetti sociali ed economici collegati al processo, e che dia priorità di accesso all'energia pulita a coloro che soffrono di insicurezza energetica. La sicurezza alimentare è un altro elemento cruciale, dato che il cambiamento climatico minaccia direttamente la disponibilità e l'accessibilità del cibo, peggiorando le disuguaglianze sanitarie esistenti. 

Il rapporto sottolinea inoltre che l’azione climatica deve essere un obiettivo centrale anche dei sistemi sanitari. Nello Zimbabwe per esempio, nell’ambito del progetto Solar for Health, sono stati installati sistemi fotovoltaici a energia solare in oltre 400 strutture sanitarie. Dal 2018 questo ha consentito orari di apertura più lunghi, una maggiore fidelizzazione del personale e cure materne più sicure, oltre a interventi salvavita, servizi di cui hanno potuto beneficiare più di 6,5 milioni di persone in tutto il Paese. Nell’Africa subsahariana, dove una struttura sanitaria su quattro è priva di energia elettrica, 11 Stati hanno complessivamente potuto beneficiare di questi interventi. 

Secondo l’Oms, è fondamentale  coinvolgere anche le comunità per garantire che l’azione climatica sia pertinente e adeguata. I popoli indigeni in particolare svolgono “un ruolo cruciale come agenti di cambiamento attraverso pratiche… che combinano adattamento, mitigazione e sviluppo sostenibile”. Una questione chiave in questo caso è il diritto fondiario: secondo alcune evidenze, ripristinare la proprietà della terra, che è fondamentale per l’identità culturale di questi popoli, o risarcire per le terre espropriate migliora la salute delle comunità indigene. In Nuova Zelanda, per esempio, questo processo ha permesso ai Māori di creare le proprie infrastrutture e di sviluppare proprie iniziative sanitarie. 

L’accesso digitale come diritto umano

Le tecnologie digitali, incluse dall’Oms nella terza area di azione, rappresentano un’opportunità nel campo della sanità, dell’istruzione e del lavoro, a condizione che non escludano fasce di popolazione da prestazioni essenziali. “Con la crescente disponibilità di informazioni e servizi online – si legge nel rapporto –, l’accesso digitale è oggi considerato un diritto umano ed è fondamentale per fruire di assistenza sanitaria e altri servizi che influenzano i determinanti sociali della salute”. Le piattaforme digitali, per esempio, migliorano le prospettive economiche e di salute delle comunità rurali, permettendo la comunicazione con mercati più ampi, e riducono l’isolamente sociale e la solitudine. Nel 2022, però, ancora un terzo della popolazione mondiale non ha accesso al digitale, e in gran parte si tratta delle persone con i redditi più bassi. 

L’Oms raccomanda dunque di orientare l’innovazione digitale nel settore sanitario verso un accesso equo, in favore del bene collettivo e senza discriminazione alcuna. Serve innanzitutto affrontare il divario digitale: la digitalizzazione può contribuire a migliorare l’accesso ai servizi sanitari e sociali, superando le barriere fisiche e le carenze di personale, ma la disponibilità delle nuove tecnologie può variare molto da Paese a Paese e all’interno dei singoli Stati con conseguenze sulla salute per chi ne rimane escluso. 

La governance della salute, quarta area di azione

La quarta area di azione, infine, propone modelli di governance che possono contribuire a promuovere una maggiore equità sanitaria. L’Oms sottolinea innanzitutto la necessità di rafforzare il ruolo dei governi locali, ma anche delle comunità e della società civile (con le sue associazioni) nei loro sforzi per affrontare i determinanti sociali che influenzano l’equità nella salute. Ciò perché chi vive sul territorio conosce meglio le sfide, le opportunità e il contesto locale, ed è quindi maggiormente in grado di identificare e realizzare interventi efficaci, dalla pianificazione territoriale ai trasporti, dall’edilizia al contrasto all’isolamento sociale. Prendiamo lo Zambia: l’installazione di zanzariere a porte e finestre, combinata con la gestione delle risorse idriche e ambientali, ha ridotto l’incidenza della malaria nei bambini sotto i cinque anni del 50–75% nel periodo precedente l’uso del DDT.

Un altro pilastro fondamentale è la costruzione di un settore sanitario e assistenziale orientato all'equità, che preveda una copertura sanitaria universale, a fronte del fatto che nel 2021 metà della popolazione mondiale (circa 4,5 miliardi di persone) non è ancora pienamente coperta dai servizi sanitari essenziali. Per raggiungere questo obiettivo si propone di adottare un finanziamento progressivo della sanità, in cui chi ha redditi più elevati contribuisce con una quota maggiore, per permettere una distribuzione equa delle risorse e ridurre la spesa diretta a carico dei cittadini (out‑of‑pocket). “La Commissione di The Lancet Global Health sul finanziamento delle cure primarie (Primary Health Care) – si legge nel rapporto – ha affermato che, nella maggior parte dei Paesi a basso e medio reddito, i pagamenti diretti a carico dei pazienti devono essere ridotti a un livello che può essere raggiunto solo aumentando le risorse destinate all’assistenza sanitaria primaria provenienti dalla fiscalità generale”. L’Oms sottolinea che i Paesi che hanno implementato l’assistenza sanitaria primaria, che fornisce servizi essenziali, preventivi e di cura sul territorio, hanno popolazioni più sane, minori disuguaglianze legate alla salute e costi sanitari più bassi.

Fondamentale è poi garantire pari accesso a tecnologie sanitarie come vaccini, farmaci, test diagnostici e dispositivi medici. Non è sufficiente però che tali prodotti siano disponibili, ma devono rispondere anche ai bisogni dei Paesi a basso e medio reddito: il processo di produzione dunque, dalla ricerca alla fabbricazione fino alla consegna, deve essere gestito a livello locale come parte di una politica nazionale. 

L’Organizzazione mondiale della Sanità raccomanda altresì di formare i professionisti della salute sui determinanti sociali, e su modalità di assistenza appropriate e inclusive, poiché questi interventi possono migliorare la capacità di offrire cure eque, lavorare tra settori diversi, coinvolgere le comunità e rispondere meglio ai loro bisogni quotidiani.  

Sottolinea poi la necessità di integrare i determinanti sociali della salute nel sistema politico e nell’organizzazione dei sistemi sanitarinei piani di preparazione e risposta alle emergenze e nelle leggi di sanità pubblica, perché la salute nel suo complesso sia affrontata in modo più completo ed equo. Per raggiungere questo obiettivo è necessario istituire meccanismi di coordinamento per la collaborazioni tra settori diversi a tutti i livelli di governo. Nonostante la strada da percorrere sia ancora molta, le buone pratiche non mancano. Nel 2023 il Brasile ha istituito un comitato interministeriale per l’eliminazione della tubercolosi e di altre malattie socialmente determinate. In Colombia, invece, i determinanti sociali della salute sono stati integrati nei piani decennali di salute pubblica (Plan Decenal de Salud Publica) ed è stato creato anche un osservatorio per il monitoraggio delle disuguaglianze sanitarie (Observatorio para la Medición de Desigualdades en Salud y Análisis de Equidad en Colombia). 

L’Organizzazione mondiale della Sanità pone l’accento, infine, sulla necessità di monitorare  attraverso sistemi informativi completi – ogni fase del processo volto a garantire un accesso equo alle cure, dalla definizione degli obiettivi politici all’individuazione dei bisogni, dalla costruzione di alleanze al mantenimento di un impegno duraturo per il cambiamento strutturale. 

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