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Nuovo strike per le cellule Car-T. Cellule del sistema immunitario geneticamente modificate e rese in questo modo più “potenti”. Questa volta siamo a Milano, dove un gruppo di ricercatori ha sviluppato e testato – al momento solo in esperimenti di laboratorio – una nuova terapia per trattare le metastasi al fegato nei pazienti affetti da cancro del colon-retto. Bersaglio del trattamento una particolare proteina, la caderina-17, presente sulla cellula tumorale. Lo studio, coordinato dall’Irccs ospedale San Raffaele, è stato pubblicato poche settimane fa su Science Translational Medicine con risultati che appaiono promettenti. Oggi le cellule Car-T, frontiera dell’immunoterapia, vengono impiegate per la cura di alcuni tumori del sangue, ma la sfida, come in questo caso, è rendere disponibile il trattamento anche per altre patologie.
Sperimentazioni su tumori solidi e malattie autoimmuni
Oltre ai ricercatori del San Raffaele di Milano, molti altri a livello internazionale stanno studiando l’utilizzo di Car-T nella cura dei tumori solidi. “Una sperimentazione clinica di successo – spiega Emanuele Angelucci, direttore dell'unità di Ematologia e terapie cellulari all'Irccs ospedale policlinico San Martino di Genova – è stata eseguita dal gruppo del professor Franco Locatelli all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, che ha testato l’impiego di cellule Car-T nel trattamento del neuroblastoma. Ricerche interessanti sono state condotte anche per la cura del cancro alla prostata, all’intestino, ai polmoni, sebbene le terapie siano ancora lontane dalla pratica clinica”. Alcuni scienziati si stanno concentrando sull’utilizzo di Car-T nella terapia di tumori cerebrali come il glioblastoma, tra cui il gruppo di Massimo Dominici, professore di oncologia medica all’università di Modena e Reggio Emilia e direttore della struttura complessa di Oncologia medica dell'azienda ospedaliero-universitaria di Modena. Altri ricercatori, anche nel nostro Paese, stanno indagando questa possibilità per il cancro al seno e il cancro ovarico.
“Ci sono poi studi in fase avanzata nel campo delle malattie autoimmuni, un settore in cui ci attendiamo un numero di complicanze limitato e dunque facilità di gestione. In molti casi si tratta di patologie che richiedono farmaci costosi e che impattano in modo significativo sulla qualità di vita dei pazienti”. Pubblicazioni importanti riguardano il lupus eritematoso sistemico, la sclerosi multipla, la nefrite lupica, la sclerodermia. Pochi mesi fa in Italia è stata trattata per la prima volta con una terapia basata su Car-T una paziente adulta affetta da sclerodermia refrattaria ai trattamenti nell’ambito del trial Catarsis, studio promosso da Fondazione Policlinico Gemelli Irccs in collaborazione con l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.
“Con questo tipo di patologie il trattamento con Car-T sicuramente sarà costoso, ma potrebbe mantenere il paziente in remissione (cioè prevenire o ritardare la recidiva della malattia, ndr) anche per dieci anni con una singola dose”.
Gli ostacoli da superare nei tumori solidi
La terapia con cellule Car-T prevede alcune fasi ben distinte: i linfociti T (cellule del sistema immunitario) vengono prelevati da un campione di sangue del paziente e modificati geneticamente per fare in modo che esprimano sulla loro superficie una nuova proteina, detta recettore dell’antigene chimerico (Chimeric Antigen Receptor, Car appunto). Grazie a questo recettore i linfociti modificati, che vengono poi reinfusi nel paziente, sono in grado di riconoscere uno specifico bersaglio sulla cellula tumorale, un antigene a cui legarsi.
Angelucci spiega che i tumori solidi, in particolare, sono caratterizzati da un’elevata eterogeneità cellulare e molecolare all’interno dello stesso tumore e questo costituisce il primo ostacolo per lo sviluppo di nuove terapie, per la difficoltà di identificare un bersaglio antigenico unico. In secondo luogo la massa tumorale è compatta e densa: le cellule Car-T devono penetrare fisicamente all’interno di questa massa per raggiungere le cellule tumorali, e questo processo (trafficking) è molto complesso. Al contrario nei tumori ematologici (tumori “liquidi” come le leucemie), le cellule tumorali si trovano nel sangue o nel midollo osseo, quindi le Car-T possono circolare liberamente e raggiungere facilmente le cellule malate. Altro aspetto da considerare è il microambiente tumorale, in genere immunosoppressivo, che può influenzare la crescita e la diffusione del cancro e costituire una vera e propria barriera fisica per i linfociti T ingegnerizzati.
Anche quando si parla di tumori ematologici serve qualche precisazione. “Oggi le terapie Car-T sono efficaci contro i tumori del sangue dello stipite linfoide, perché in questo caso il bersaglio antigenico è molto più definito rispetto a quelli dello stipite mieloide. Le neoplasie mieloidi originano dalla cellula staminale, la quale però deve essere preservata. Per questa ragione questi tipi di cancro sono più difficili da trattare”.
Lo storico della medicina Andrea Grignolio spiega come sono state scoperte le Car-t
Tumori del sangue e terapie Car-T
Sei più una: questo è il numero delle terapie Car-T autorizzate dall’European Medicines Agency per la cura di alcuni tumori del sangue. L’ultima è dello scorso maggio: l’ente regolatorio ha raccomandato il rilascio di un'autorizzazione all'immissione in commercio condizionata per obecabtagene autoleucel (nome commerciale Aucatzyl), per il trattamento della leucemia linfoblastica acuta da precursori delle cellule B recidivante o refrattaria.
Il campo delle terapie Car-T è evidentemente in continua e rapida evoluzione. “Ciò che oggi sappiamo potrebbe risultare superato già tra pochi anni. Attualmente, le Car-T disponibili sul mercato sono di seconda generazione – spiega Angelucci –, ma in fase di sperimentazione si è già arrivati alla quinta generazione. Esistono diverse varianti in fase di studio, come le Car inserite in cellule T, in cellule natural killer (Car-NK) e altre ancora. Si tratta di un settore in forte espansione: in futuro per esempio si potrebbe arrivare alla combinazione di terapie farmacologiche con Car-T per ottenere una maggiore efficacia terapeutica. Uno dei limiti importanti in questo momento è rappresentato dai costi elevati, ma le prospettive sono molto promettenti”.
Nel nostro Paese l’accesso alle Car-T è regolato dall’Agenzia Italiana del Farmaco. Esistono protocolli definiti che stabiliscono, in base alla patologia, le modalità di utilizzo di queste terapie. Ogni prodotto ha una sua specifica autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) e una scheda tecnica che ne regola l’impiego. Vengono dunque definite in modo preciso, prodotto per prodotto, le indicazioni terapeutiche, includendo il tipo di malattia da trattare, la fase della patologia e l’età del paziente (non oltre i 75 anni).
Somministrazione in centri altamente specializzati
Le terapie con cellule Car-T possono essere somministrate solo in strutture altamente specializzate, provviste di accreditamento Jacie 7.0 per il trapianto allogenico (che comprenda la certificazione del Centro nazionale trapianti), di un centro aferesi (cioè strutture in cui vengono separati i vari componenti del sangue) e di un laboratorio per la criopreservazione e di un’unità di terapia intensiva per la gestione clinica del paziente e di possibili complicanze, con personale qualificato. Se queste sono le regole stabilite a livello nazionale da Aifa, spetta poi alle Regioni il compito di selezionare e autorizzare le sedi che rispondono ai criteri stabiliti, mentre le aziende produttrici di Car-T effettuano un controllo di qualità per verificare che tutti i requisiti richiesti siano effettivamente rispettati.
“Inizialmente si riteneva che in Italia 25 centri potessero essere sufficienti – osserva Emanuele Angelucci –, oggi invece ce ne sono più di 40, ma la distribuzione sul territorio varia da Regione a Regione”. La Lombardia, per esempio, ne ha attivati 11 per una popolazione di circa 10 milioni di abitanti, mentre l’Emilia-Romagna, con circa metà della popolazione, ha un solo centro e ora sta individuando il secondo. La Liguria con 1,5 milioni di abitanti ne ha selezionato uno, come la Sardegna; la Puglia, nonostante le dimensioni, è rimasta a lungo senza, mentre la Campania ne ha due. In Veneto, per citare un ultimo esempio, ne esistono quattro per una popolazione di quasi 5 milioni di abitanti: a Padova, a Vicenza e due a Verona.
Si tratta di disuguaglianze sul territorio nazionale presenti anche in altri ambiti sanitari, sottolinea l’ematologo. “Oggi siamo in una situazione in cui sarebbe necessario un riassestamento, e le decisioni dovrebbero essere prese a livello nazionale non regionale. La terapia con Car-T è complessa e serve un certo livello di expertise. Si deve considerare inoltre tutto l’aspetto legato alla tracciabilità del prodotto”. Poiché si tratta di cellule vive e di terapia personalizzata, è fondamentale garantire la corretta identificazione, conservazione e somministrazione del trattamento, nonché il monitoraggio dei pazienti anche a lungo termine. “Per queste ragioni sono del parere che dovrebbero essere attivi solo i centri che seguono almeno dieci pazienti all’anno”.