UNIVERSITÀ E SCUOLA

Francia: la scuola al primo posto

Un confronto sulla scuola che si nutre di simboli: lo scorso 3 settembre François Hollande, in occasione del primo giorno di scuola, è andato assieme a tre ministri a sedersi sui banchi del scuola superiore Youri-Gagarine di Trappes, nella periferia parigina. Del resto in campagna elettorale il presidente non si era limitato ad assicurare l’assunzione di 10.000 insegnanti all’anno, ma aveva anche promesso una riforma della scuola che partisse dai problemi concreti per un ripensamento globale dell’educazione secondaria. Adesso che Hollande è stato eletto alle parole seguono i fatti, l’opposto di quanto accade nel nostro Paese. Tutto dovrà essere pronto per l’inizio dell’anno scolastico 2013-2014: il ministro Vincent Peillon e la sua vice, George Pau-Langevin, hanno già avviato la concertazione con le parti sociali, in primo luogo sindacati e rappresentanti dei genitori.

Per cominciare quasi sicura appare la rimodulazione dell’orario scolastico, con il passaggio generalizzato alla settimana corta con il tempo pieno. L’obiettivo è quello dell’alleggerimento dei carichi giornalieri, con un massimo di cinque ore di lezione, che saranno però accompagnate da un “tempo educativo complementare” gestito dagli istituti. All’inizio sembrava che la misura sarebbe stata accompagnata da un taglio alle vacanze estive, ma per il momento questo aspetto è stato messo da parte. Il dibattito sui ritmi scolastici sta comunque tenendo banco a tutti i livelli, anche se il governo tiene a sottolineare che esso non rappresenta il punto chiave della riforma e nemmeno il provvedimento più importante.

La Pédagogie nouvelle, promessa in campagna elettorale, dovrà affrontare innanzitutto i problemi connessi al disagio e al fallimento scolastico, in particolare pensando a un aiuto specifico ai i bambini provenienti dai settori più deboli della società: famiglie povere, immigrate o con basso livello di studi. A questo riguardo già nel 1981 Mitterand aveva istituito le ZEP (Zones d'éducation prioritaires), con l’obiettivo di dare risorse aggiuntive agli istituti scolastici presenti nelle zone disagiate: 30 anni dopo, però non si può parlare di un’esperienza riuscita. Oggi le scuole e i collèges ZEP in Francia sono quasi 9.000, concentrati soprattutto nelle banlieues che circondano i grossi centri urbani: le statistiche dicono però che la loro incidenza sul successo scolastico degli studenti sia minima, tanto più che il ceto medio tende ad evitare gli istituti sovvenzionati, percepiti come di “serie B”. Nei progetti di Hollande questa forma di tutela dovrebbe lasciare a “un aiuto personalizzato ai singoli istituti”, senza l’effetto di stigmatizzazione sociale che caratterizza il sistema vigente.

Altri aspetti riguardano la formazione degli insegnanti e la cosiddetta e-education (versione transalpina di e-learning): già quando era un amministratore locale Hollande aveva dotato ciascuno studente del suo dipartimento di un tablet. Il problemi principali restano però quelli della preparazione e dell’uguaglianza delle condizioni: oggi una percentuale tra il 15 e il 20% degli studenti che entrano nei collèges (a 14 anni) presenta gravi lacune nella padronanza della lingua e dei fondamenti della matematica, tanto da non riuscire a seguire le lezioni in maniera efficace. Inoltre l’OCSE classifica la scuola francese come una delle più inegualitarie al mondo. Una situazione particolarmente difficile da accettare per i francesi, fin dalla Rivoluzione orgogliosamente abituati a percepire la scuola pubblica come uno dei pilastri della République, fondamentale per la costruzione del sentimento di appartenenza comune, culturale e politica.

Le proposte di riforma sono a questo riguardo molteplici, a cominciare da “fluidificazione” del passaggio dalla scuola elementare a quella superiore, tramite un insegnamento che abbracci campi disciplinari più ampi rispetto a uno basato sulle singole materie. Pedagogisti e associazioni di insegnanti mettono però in guardia dall’eccessivo entusiasmo verso parole magiche come “pedagogia di progetto” e “multidisciplinarità” che, pur essendo di moda, pongono ancora seri problemi riguardo la loro applicazione pratica e soprattutto la loro efficacia.

Ci sono poi le proposte, provenienti soprattutto da parte delle associazioni dei genitori, di sopprimere i compiti a casa (percepiti tra l’altro come discriminatori nei confronti dei figli degli immigrati), e la proposta di lasciare alla famiglia l’ultima parola riguardo la possibile bocciatura del figlio. Posizioni forse estreme, ma che rendono bene l’idea del livello del dibattito tra i “cugini”. Al contrario in Italia sembra sempre più difficile parlare di scuola in una visuale ampia, che vada al di là dei tagli, degli scioperi e del  problema del precariato. Eppure i problemi da noi sono gli stessi, forse addirittura maggiori.

 

Daniele Mont D’Arpizio

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012