SCIENZA E RICERCA
Materiali innovativi: il grafene che parla italiano
Micrografia SEM di un foglio di grafene increspato. Immagine: Mesoscopic Physics Group, University of Manchester
Quando a gennaio di quest'anno la ricerca sul grafene ha ottenuto il miliardo di euro della Fet flagship europea, vantava già quasi una decina d'anni di vita, un paio di Nobel e alcune storie curiose. Nonché il primo prodotto in commercio, competitivo nel prezzo e nelle performance. Il prodotto è una racchetta da tennis che migliora la potenza dei colpi dell'atleta sfruttando la resistenza e l'elasticità del grafene per distribuire diversamente il peso della racchetta. Il Nobel invece è quello attribuito ad Andre Geim e Konstantin Novoselov nel 2010 “per esperimenti fondamentali su un innovativo materiale bidimensionale”. Ricerca pura, insomma.
Ma sono le storie curiose quelle che interessano l'Italia più da vicino: quelle che hanno a che fare con le possibili applicazioni pratiche del grafene. Quelle su cui l'Europa sta scommettendo, per non lasciarsi “sfilare” il primato nella produzione e nell'industrializzazione del nuovo materiale, che è stato isolato per la prima volta in Europa. E all’interno di un progetto che dichiara di voler rivoluzionare molte industrie, creare crescita economica e nuovi posti di lavoro nel vecchio continente, si scopre che i talenti italiani sono più rilevanti di quel che già lascerebbe supporre il numero di partner italiani nel progetto (7 gli enti attualmente coinvolti, e 74 i gruppi di ricerca)
Tra i capofila del grande progetto europeo, che coinvolge oltre un centinaio di gruppi di ricerca, c’è ad esempio l'università di Cambridge, da anni all'avanguardia nello studio di materiali nanostrutturati come il grafene e gli altri materiali bidimensionali. Ed è proprio un italiano, Andrea Ferrari, il direttore del Cambridge graphene centre (Cgc), l'ente responsabile della roadmap scientifica e tecnologica della Flagship. L'ente per cui la storica università d’oltremanica sta costruendo un edificio nuovo di zecca per ospitare le strumentazioni in parte già acquistate e necessarie a portare avanti la parte locale di esperimenti per il progettone europeo. Al centro collaborano a vario titolo anche altri 12 italiani; a scorrere le loro foto sul sito del Cgc, il più vecchio avrà sì e no quarant'anni. E altri nomi italiani – sparsi nei vari centri di ricerca europei – si leggono nell’elenco dei partecipanti alla Graphene week in programma a giugno in Germania.
Milanese di nascita, studi in Italia, dottorato a Cambridge, Ferrari si è occupato a lungo di nanotubi, ed è a capo anche del Nanomaterials and Spectroscopy Group del dipartimento di ingegneria. Se pensate che sia uno dei tanti cervelli in fuga, vi risponderà di no, che semplicemente il suo percorso l'ha portato lì e con l'Italia ha ottimi rapporti.
Per un cervello che va, uno che torna. È italiano infatti anche l'altro nome chiave del grafene, Francesco Bonaccorso, che da sei mesi è rientrato in Italia al Cnr-Ipcf di Messina (una della eccellenze scientifiche italiane) pur continuando la collaborazione con il Cgc di Cambridge, dove ha trascorso gli ultimi anni. Bonaccorso, 37 anni e una insolita storia personale alle spalle, è stato uno degli estensori della roadmap del progetto, che ha convinto l'Europa a scegliere di puntare su un materiale per finanziare una Flagship nata in realtà per sviluppare una tecnologia, ovvero dispositivi per Ict (Information e communications technology).
Nato a Messina, atleta di livello (è stato campione regionale di marcia, con exploit anche a livello nazionale), Bonaccorso aveva iniziato a lavorare da giovane nel forno di famiglia - che serviva le mense di mezza città - finché un'allergia gli ha imposto di cambiare lavoro e riprogettare la sua vita. È così che a 25 anni sente in giro che in Italia ci sono pochi fisici, e decide di iscriversi all'università. Detto, fatto. Laurea e dottorato nella città natale, e poi varie esperienze scientifiche all’estero, in America e a Cambridge, dove si ferma collezionando una fellowship dopo l'altra. E se vi capita di incontrarlo, mentre vi parla di esfoliation vs crescita del materiale con procedimento bottom-up, di come “‘tunare’ le proprietà intrinseche di dispersioni e inks” o “‘sortare’ nanomateriali di diversa dimensionalità”, o del falso grafene in circolazione sul mercato, inevitabilmente ve lo chiederete: la ricerca in Italia, le occasioni per il talento, i finanziamenti e la capacità di rischiare… c’è anche da noi lo spazio per l’entusiasmo?
Cristina Gottardi
Cos’è il grafene: il video prodotto dalla European Graphene-Flagship initiative