SOCIETÀ

Tagli alla ricerca: una preoccupante tendenza paneuropea

I tagli alla ricerca e alla didattica si stanno abbattendo sulle università pubbliche, mettendone a dura prova il funzionamento. In Italia, la legge di bilancio 2024 prevede un taglio di circa 173 milioni di euro sul Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) delle università, cioè i finanziamenti pubblici con cui gli atenei pagano gli stipendi di docenti e personale tecnico-amministrativo, tengono aperte e funzionanti le infrastrutture e finanziano la ricerca e i ricercatori.

Ma l’Italia non è l’unico Paese europeo il cui governo, a fronte della necessità di ridurre la spesa pubblica, ha deciso di tagliare i fondi a università e ricerca. Come scrive il giornalista David Matthews in un editoriale su Nature, sembra esistere una correlazione tra la scelta di definanziare il settore di ricerca e sviluppo (R&S) e l’ascesa dei governi di estrema destra, nei cui manifesti politici la ricerca e, più in generale, l’educazione non sembra godere di alta considerazione. Secondo alcune delle persone intervistate dal giornalista per Nature, il nocciolo della questione è che i governi di estrema destra si concentrano su poche questioni fondamentali – la lotta all’immigrazione, ad esempio – e non hanno alcun interesse in altri settori essenziali della vita collettiva, come la ricerca o l’istruzione. Il presidente del consiglio direttivo dell’università della Tecnologia di Eindhoven (Paesi Bassi) ha affermato, a tal proposito, che “questi sono partiti monotematici; quanto alla scienza, sembra che non gliene importi nulla e non hanno una linea politica”.

Ricerca e innovazione in Europa

È un fatto che il 2024 – anno elettorale per eccellenza, con 76 Paesi chiamati al voto – ha consegnato ai partiti (più o meno) conservatori grandi soddisfazioni in ogni angolo del mondo. L’Europa non ha fatto eccezione: oggi, nei governi di ben 7 dei 27 Stati membri (Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Italia, Paesi Bassi, Slovacchia) siedono partiti di destra estrema. Anche alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, tenutesi a giugno 2024, i partiti conservatori hanno registrato ottime performance, con un generale aumento dei propri seggi elettorali e, di conseguenza, un maggior peso specifico nel secondo governo a guida Von der Leyen, questa volta più spostato verso il centro-destra rispetto alla compagine del 2019.

L’equazione proposta da Matthews su Nature – partiti di destra uguale più tagli alla ricerca – viene confermata dai fatti europei. Infatti, sono diversi i Paesi in cui, già quest’anno, sono stati annunciate o messe in atto riduzioni piuttosto consistenti dei finanziamenti per la ricerca scientifica; anche la stessa Commissione Europea ha proposto di tagliare i finanziamenti a programmi essenziali per l’Unione, come la prossima tranche di Horizon Europe, che dovrebbe avere inizio nel 2025, e i bandi di ricerca dello European Research Council (ERC).

Raccogliendo la proposta di diciannove premi Nobel, la presidente della Commissione Von der Leyen ha annunciato, a settembre, che a uno dei cinque commissariati europei sarebbe stato dedicato a ricerca e sviluppo, e ha conferito l’incarico di Commissaria per startup, ricerca e sviluppo all’avvocata ed ex ministra bulgara Ekaterina Zaharieva. L’obiettivo dichiarato di Zaharieva è promuovere la competitività dell’Europa attraverso il potenziamento della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in tutta l’Unione, incoraggiando la collaborazione e il superamento dei confini nazionali.

Questo va nella direzione indicata da Mario Draghi nel rapporto sul “futuro della competitività europea”, nella quale l’ex primo ministro italiano identifica come problemi centrali proprio la “bassa innovatività” e gli inadeguati finanziamenti per ricerca e sviluppo. In tal senso, nel rapporto Draghi si evidenzia la necessità di stanziare un budget di 200 miliardi di euro per il prossimo programma di finanziamento della ricerca europea (Horizon Europe); di istituire una “Research and Innovation Union” ed elaborare uno “European Research and Innovation Action Plan” per garantire una maggiore coordinazione su ricerca e sviluppo a livello comunitario; di chiudere il divario di competenze soprattutto nelle aree STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics).

Ma la politica non sembra aver accolto queste raccomandazioni. Infatti, il Consiglio Europeo – che comprende i capi di Stato e di governo degli Stati membri e “definisce le priorità e gli orientamenti politici generali dell’UE” – ha proposto un netto taglio (€450 milioni) dei fondi di ricerca e sviluppo per il 2025, che verrebbero sottratti soprattutto a Horizon Europe. Il Parlamento Europeo ha per ora rifiutato questa proposta: in una notizia pubblicata sul sito del Parlamento si legge che “i deputati hanno ripristinato i tagli ai finanziamenti proposti dal Consiglio [non solo nell’ambito della ricerca] per 1,52 miliardi di euro e hanno fissato gli stanziamenti di pagamento a 153,5 miliardi di euro”.

Situazioni nazionali

Nei singoli Stati membri, in particolare laddove i governi hanno la maggioranza o una componente di estrema destra, le cose non sembrano andare meglio. Nello stesso articolo di Nature si approfondisce la situazione dei Paesi Bassi, dove il governo ha deciso di ridurre di quasi un miliardo di euro l’anno i finanziamenti alla ricerca: un taglio di proporzioni storiche, il più esteso dagli anni 1980, di cui ha sofferto e soffrirà soprattutto il programma che supportava l’assunzione di dottorandi e la formazione di nuovi gruppi di ricerca. Già dall’estate del 2024, gli atenei si sono trovati costretti a congelare le nuove assunzioni, una decisione che avrà conseguenze a largo spettro sulla qualità della ricerca e della didattica. Anche il Consiglio Olandese delle Ricerche (omologo del nostro CNR) deve affrontare tagli al proprio budget in conseguenza di questa manovra: meno €30 milioni all’anno per le infrastrutture scientifiche, essenziali anche per supportare la ricerca di base.

Anche la Germania, nel tentativo di appianare i propri conti pubblici, prevede estesi tagli alla ricerca nel 2025. Nella bozza della manovra finanziaria del 2025, si prevede che uno dei programmi di ricerca e scambio internazionale più importanti per il Paese, la DAAD (Servizio Tedesco per lo Scambio Accademico) riceverà €13 milioni in meno all’anno (-6% rispetto al 2023), nonostante l’attuale governo avesse promesso, al proprio insediamento, di aumentare del 3% annuo i fondi di base dedicati al Servizio.

In Francia, d’altro canto, si discute di come tradurre in pratica l’impegno di ridurre il proprio deficit finanziario di ben €60 miliardi (attraverso €40 miliardi di tagli e €20 miliardi di proventi della tassazione di super-patrimoni e grandi aziende) nel corso del prossimo anno. In breve, bisognerà capire a quali settori tagliare i finanziamenti pubblici. E anche in Francia, il settore di educazione, ricerca e innovazione è in cima alla lista. Come riassume un articolo pubblicato sulla rivista Science, in questo caso il problema non è tanto la diretta riduzione dei fondi disponibili, ma il mancato rispetto del piano decennale che avrebbe dovuto investire €25 miliardi nel settore entro il 2030. Il budget generale per educazione superiore e ricerca diminuirà solo lievemente (da €31,43 a €31,07 miliardi), ma i fondi disponibili – al netto del taglio di €900 milioni approvato a febbraio 2024) – non saranno abbastanza per fronteggiare l’inflazione crescente, né saranno sufficienti ad aumentare gli sforzi in ricerca e sviluppo per contribuire a mantenere la competitività nazionale e comunitaria nel contesto internazionale.

“Research Matters”

Molti professionisti del settore universitario hanno deciso di provare a prendere in mano la situazione. Poco tempo fa, diverse università, centri di ricerca, agenzie di finanziamento e industrie europee si sono coalizzati con EUPRIO (European Association of Communication Professionals in Higher Education) dando vita alla campagna Research Matters, che mira a “sensibilizzare l'opinione pubblica sul ruolo cruciale che la ricerca svolge nel plasmare il nostro futuro e nell'affrontare le sfide globali, e sostenere un aumento degli investimenti nella ricerca e nell'innovazione”. Le principali richieste della campagna sono: l’aumento dei finanziamenti a ricerca e sviluppo fino a raggiungere il 3% del PIL dell’UE e di tutti gli Stati membri; il raddoppio del budget per il prossimo programma europeo di ricerca e sviluppo (il prossimo Horizon Europe); la tutela di quest’ultimo con una “barriera di protezione”.

Nella sua prima forma istituzionale (Comunità Economica Europea, CEE), l’Unione Europea era caratterizzata soprattutto dalla condivisione tra tutti gli Stati membri di un mercato comune, che mirava ad assicurare, all’interno dei propri confini comunitari, quattro libertà fondamentali: libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci, dei capitali.

In un rapporto sul mercato unico intitolato “Much more than a market” e pubblicato ad aprile 2024, il presidente del Jacques Delors Institute ed ex primo ministro italiano Enrico Letta ha proposto che si aggiunga una quinta libertà alle quattro esistenti: “la libertà di investigare, esplorare e creare a beneficio dell’umanità senza confini disciplinari o artificiali e senza limitazioni. Ciò è legato alla libertà di contribuire ad affrontare le sfide sociali, come il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità e gli impatti che questi impongono sul pianeta, gli essere umani e il patrimonio culturale”.

Nella definizione delle politiche nazionali e internazionali che definiranno il futuro della ricerca e dell'istruzione superiore, sarà essenziale mettere sul piatto della bilancia il valore sociale, politico ed economico della ricerca. 

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