SOCIETÀ

La Romania al voto: la sfida tra estrema destra, candidati pro-UE e indipendenti

La previsione, assai fondata, è che sarà il ballottaggio del 18 maggio a decidere il nome del prossimo presidente della Romania. Tutti i candidati in lizza per questa nuova elezione, che segue quella clamorosamente annullata lo scorso dicembre, alla vigilia del ballottaggio, dalla Corte Costituzionale per manifeste interferenze orchestrate del Cremlino (secondo l’intelligence rumena decine di migliaia di account TikTok, molti dei quali attivati da diversi stati stranieri, avrebbero spinto per l’elezione del candidato ultranazionalista Calin Georgescu), sono assai lontani dalla soglia del 50% delle preferenze, che assegnerebbe il ruolo già al primo turno di voto. Il primo atto della sfida elettorale, che si terrà domenica prossima, 4 maggio, vede contrapposti l’estremista di destra George Simion, sovranista, fondatore e presidente dell’Alliance for the Union of Romanians (AUR), che i sondaggisti stimano in vantaggio con il 29% dei voti, contro il candidato filo-europeista Crin Antonescu, attualmente al 22%, e l’indipendente moderato Nicușor Dan, matematico, liberale, attuale sindaco di Bucarest, con il 20%. Gli altri candidati seguono a una distanza che appare incolmabile: la partita verso il ballottaggio sarà tra loro tre. O meglio: tra Simion, che ha raccolto il testimone lasciato da Georgescu (al quale non è stato soltanto impedito di ricandidarsi, ma è stato arrestato e rischia una dura condanna) e uno tra Antonescu e Dan. Quindi tutto dipenderà dalle future alleanze. E attenzione: Simion potrà quasi certamente contare sul “pacchetto” di voti (si stima il 12%) che riuscirà a raccogliere il nazionalista Victor Ponta, ex primo ministro ed ex presidente del Partito Socialdemocratico, che fu costretto a dimettersi nel 2015 in seguito alle proteste anti-corruzione dopo l’incendio avvenuto durante un concerto in una discoteca, a Bucarest, che causò la morte di 64 persone. Oggi Ponta è un dichiarato sovranista: la sua piattaforma si chiama “Prima la Romania” e si propone di bloccare l’importazione di grano ucraino per “proteggere gli agricoltori locali”. Per semplificare: Simion e Ponta hanno il loro bacino di elettori nelle zone rurali del paese, mentre Dan e Antonescu hanno maggiore appeal nei centri urbani. Fondamentale sarà il voto della diaspora, una delle più numerose in Europa, che alle elezioni dello scorso novembre aveva premiato proprio il candidato Georgescu. 

Il “pericolo” dell’estrema destra

Dunque siamo di nuovo allo scenario già visto tante altre volte in altri paesi (i casi più recenti in Francia e in Germania, dove l’argine in qualche modo ha tenuto), con l’estrema destra da un lato e “il mondo democratico” dall’altro. Ed è perciò che la prossima tornata elettorale si annuncia dunque di enorme importanza non soltanto per il futuro della Romania, ma anche per quello dell’Unione Europea, e della Nato. Qualora dovessero prevalere i sovranisti (Simion è stato nel recente passato un convinto no-Vax, e ora sposa apertamente le politiche di Donald Trump) si troverebbero entrambe ad affrontare un nuovo vulnus interno, con il rischio di ampliare il processo di destabilizzazione già avviato dall’Ungheria e proseguito con la Slovenia. Affidare all’estrema destra la presidenza della Romania ne sconvolgerebbe la politica estera e, verosimilmente, porterebbe a un peggioramento delle relazioni con l'Unione Europea, aumentando il rischio in prospettiva di una crisi economica. Scriveva il mese scorso il network giornalistico The Financial Analyst, in un’analisi che ben fotografa la situazione attuale e l’importanza della posta in gioco: “Il terremoto politico che ha colpito la Romania è più di un semplice battibecco interno. È un duro promemoria del fatto che la democrazia, anche nel cuore dell’Europa, non è più così resiliente come potremmo pensare. La squalifica del favorito Călin Georgescu dalle scorse elezioni presidenziali ha provocato onde d’urto nel panorama politico. L’Alliance for the Union of Romanians (AUR) ha tracciato una linea sotto la sabbia, rifiutandosi di partecipare ai lavori parlamentari fino a quando la squalifica di Georgescu non sarà revocata. Questa non è solo una protesta: è una dichiarazione di guerra contro quello che percepiscono come un assalto alla democrazia. Le proteste scoppiate a Bucarest non sono state solo una dimostrazione di rabbia pubblica: erano una chiamata alle armi. I manifestanti, sventolando bandiere nazionali e inneggiando alla “rivoluzione”, si sono scontrati con la polizia. Non è la prima volta che assistiamo a tali disordini in Europa, ma è un agghiacciante promemoria della fragilità delle istituzioni democratiche. Le prossime elezioni presidenziali in Romania non riguardano solo la scelta di un leader: sono un referendum sul futuro della democrazia nel paese. La comunità internazionale deve vigilare attentamente e il popolo rumeno deve essere fermo nella sua richiesta di un processo elettorale equo e trasparente. Il mondo sta guardando e la posta in gioco non potrebbe essere più alta”.

Ma alla vigilia del primo turno di voto per le presidenziali il rischio di un’affermazione dell’estrema destra appare sempre di più concreto. Da un lato perché i “numeri” sembrano essere assai più alti rispetto ad altri casi simili: Georgescu, al primo turno, aveva preso il 22,9%, oggi il solo Simion è al 29% (con Ponta è sopra il 40%): il che vuol dire che l’intervento della Corte Costituzionale ha portato ulteriore benzina ai motori della propaganda di destra. “L’Europa è una dittatura, la Romania vive sotto la tirannia”, aveva dichiarato dopo la sua squalifica Calin Georgescu, che aveva anche incassato anche la solidarietà di Donald Trump e di Elon Musk, con quest’ultimo che aveva rilanciato sui social lo stesso concetto. Ed è innegabile che la fiducia dei rumeni nel loro sistema politico sia attualmente ai minimi storici: interferenze o meno, non si fidano più dei partiti “tradizionali”. Vogliono un cambiamento, drastico. “La frustrazione per la scarsa qualità dei servizi statali è estremamente alta ed è una delle ragioni principali del malcontento generale”, aveva commentato il sociologo Barbu Mateescu. “Per molti degli elettori di Georgescu, votare per lui è solo un modo per cambiare la classe politica, non un fine”. E quanti ne abbiamo visti in passato di voti “di protesta” che si trasformano in schiacciante maggioranza: da Trump negli Stati Uniti a Milei in Argentina. Ma questa volta, per la Romania, il rischio è ancor più alto perché non accadrà di nuovo: nemmeno in caso di documentate interferenze straniere i giudici rumeni potranno intervenire per annullare una seconda volta il voto, mossa che sarebbe letta inesorabilmente come un attacco definitivo alla democrazia. Stavolta chi vince prende tutto. 

L’appello degli intellettuali: votate per Dan

È quel “tutto” che preoccupa l’UE, nella prospettiva di preservare la già fragile stabilità degli equilibri interni, ma anche la Nato, che avrebbe soltanto da perdere nel consegnare a esponenti politici filo-russi, o che comunque operano col favore del Cremlino, un paese-baluardo che confina sia con l’Ucraina sia con la Moldova. L’operazione dell’estrema destra è chiara. Da definire quella dei suoi avversari, con il candidato centrista della coalizione di governo, Crin Antonescu, e l’indipendente liberale Nicușor Dan, che punta ad allargare la sua base elettorale (“Il mio obiettivo sarà quello di identificare i partiti che condividono sinceramente il mio impegno per il progresso della Romania all’interno dell’UE e della Nato, partiti che danno priorità al buon governo, all'apertura e al benessere dei nostri cittadini”) e che ha appena incassato un appello firmato da centinaia d’intellettuali rumeni: “L’elezione di un presidente onesto, credibile, coinvolto, con una visione decente, razionale e europeista, incline a riforme sostanziali, che non sia in debito con partiti corrotti o estremisti, è il primo passo per uscire dalla crisi”, è scritto nel documento, firmato tra gli altri dal filosofo Andrei Pleșu, dalla poetessa Ana Blandiana, dal professore di diplomazia digitale presso l’Università di Oxford, Corneliu Bjola, e dal teologo (ed ex ministro degli Esteri) Teodor Baconschi. “L’opzione Nicușor Dan - suggeriscono esplicitamente gli oltre 800 firmatari del documento - significa dare una possibilità alla Romania onesta e la sostituzione di Marcel Ciolacu con un primo ministro responsabile e riformista”. Marcel Ciolacu, premier socialdemocratico, in carica dal 2021, con ambizioni presidenziali (fallite nella precedente elezione poi annullata a dicembre, quando era arrivato terzo con il 19% dei voti) è lo specchio del declino della PSD, un tempo il più grande partito della Romania, diventato oggi l’emblema del fallimento della politica “tradizionale”. Il rapporto dell’Economist “Global Democracy Index 2025”, che certifica lo stato di salute della democrazia globale, definisce la Romania “un regime ibrido”, collocandola all’ultimo posto tra i paesi membri dell’UE. 

Un diluvio di disinformazione online

Ma c’è comunque chi sta tentando di truccare la partita elettorale: l’Associated Press riferisce che “gli elettori rumeni stanno affrontando un diluvio di disinformazione online, comprese le minacciose affermazioni secondo cui il paese si starebbe dirigendo verso una guerra imminente con la Russia”. Non soltanto su TikTok, ma anche su Facebook, Telegram e YouTube. Secondo la piattaforma multimediale Devdiscourse, “[…] Questa campagna, guidata da attori antigovernativi e filorussi non identificati, evidenzia come le piattaforme dei social media possano essere manipolate per instillare sfiducia e propagare narrazioni anti-occidentali. Nonostante la rimozione da parte di TikTok di migliaia di account falsi, la disinformazione continua a permeare varie piattaforme, complicando gli sforzi per proteggere il processo democratico in vista della cruciale ripetizione delle elezioni del 4 maggio”. Un voto che sarà osservato da molti occhi e con particolare attenzione: il presidente ad interim della Romania, Ilie Bolojan (il suo predecessore, Klaus Iohannis, si era dimesso lo scorso 10 febbraio in seguito allo scandalo dell’annullamento del voto, e dopo essere stato accusato di aver violato la Costituzione), ha incontrato venerdì scorso una delegazione degli osservatori elettorali dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) ai quali ha garantito che “[…] La Romania è fedele ai principi democratici e al corretto funzionamento delle istituzioni statali. Organizzare elezioni libere, eque e trasparenti - ha assicurato Bolojan - è una priorità per le autorità rumene, che garantiranno il rispetto della legge”.

 

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