SOCIETÀ

La vittoria di Nicușor Dan è un sollievo per l’Europa, ma la Romania resta divisa

Un paradosso che sa per certi versi di beffa: oggi in Romania è l’estrema destra guidata da George Simion a chiedere l’annullamento delle elezioni presidenziali, denunciando presunte interferenze esterne. Per molti osservatori europei invece il voto che lo scorso 18 maggio ha portato alla vittoria di Nicușor Dan, il candidato vicino all’Ue, rappresenta una boccata d’ossigeno per le democrazie liberali del continente. “Si tratta di un segnale importante – afferma Dan Octavian Cepraga, docente di Lingua e letteratura romena all’Università di Padova –. Non tanto o non solo per la Romania, che resta un Paese profondamente diviso, ma soprattutto per l’Europa”. 

In che senso professore?

“Da fuori era percepito con grande preoccupazione il rischio che la Romania potesse scivolare in una ‘zona grigia’ euroscettica, sulla scia di Ungheria e Slovacchia. La Romania è però un Paese molto più grande, con un peso strategico determinante: si affaccia sul Mar Nero, ha un lungo confine con l’Ucraina e ospita importanti basi NATO, come il famoso scudo antimissile di Deveselu. Se la Romania fosse finita sotto l’influenza di forze apertamente filorusse le conseguenze per l’Europa sarebbero state drammatiche: ecco perché questa elezione è stata osservata con molta attenzione a Bruxelles, a Washington e ovviamente a Mosca”.

La situazione politica è però tutt’altro che stabilizzata.

“I problemi strutturali restano tutti sul tavolo. La Romania è una repubblica semipresidenziale: il presidente ha un ruolo politico forte ma c’è anche il parlamento e un nuovo premier da designare. Quella che abbiamo vissuto è stata una crisi prolungata di rappresentanza e Nicușor Dan, per quanto oggi rafforzato da questo risultato, resta un presidente indipendente e senza un partito solido alle spalle”.

Perché le forze anti-europeiste sono così forti, nonostante la crescita economica degli ultimi anni?

“È una domanda che mi faccio da tempo. Dopo la rivoluzione la transizione post-comunista in Romania è stata difficile, opaca: non c’è stata una vera lustration, una pulizia dell’apparato dello Stato dagli ex funzionari del regime. Così, anche se il Paese è molto cresciuto e oggi vive il periodo migliore della sua storia recente, la sfiducia nella politica è rimasta altissima. Negli ultimi anni inoltre il patto di potere tra i socialdemocratici del PSD e i liberali del PNL ha bloccato l’alternanza: questo da un lato ha garantito una certa stabilità, dall’altro ha favorito corruzione e diseguaglianze. Esistono comunque due Romanie: una urbana, borghese ed europeista, una rurale e tradizionalista, legata alla Chiesa ortodossa e spesso diffidente verso l’Occidente”.

Ed è proprio questa ‘Romania profonda’ ad alimentare la diaspora.

“Già. Proprio nella diaspora, in Italia, in Francia, in Germania, le preferenze per Simion sono state tantissime. Un voto sostanzialmente di frustrazione, ed è stato impressionante vedere quanto poco questa rabbia sia stata ascoltata. Ci sono anche motivi molto seri dietro a questo malcontento: la regione della Moldavia romena, per esempio, è stata abbandonata dal centralismo di Bucarest. Qualcuno però ha anche soffiato sul fuoco: penso alla disinformazione, agli investimenti russi nella destabilizzazione delle democrazie europee, in particolare nei Paesi dell’ex blocco sovietico. Alcuni candidati sono letteralmente ‘spuntati dal nulla’, ma in realtà sono stati coltivati con cura per anni: come Călin Georgescu, figura opaca con legami con la Securitate, l’ex polizia segreta. Allo stesso tempo molti cittadini della Repubblica Moldova con la doppia cittadinanza romena hanno votato in massa per Nicușor Dan, percependo più di altri il pericolo rappresentato dalla Russia. Vivono sulla linea del fronte: non solo simbolicamente, ma anche fisicamente. E sanno bene cosa significherebbe perdere l’appoggio dell’Occidente”.


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Eppure in Romania non sembra esserci una diffusa simpatia per la Russia.

“Non parlerei di filorussismo, quanto piuttosto di indifferenza e di sottovalutazione. Esiste inoltre un sentimento antiucraino, alimentato anche da vecchie polemiche sui diritti delle minoranze rumene in Transcarpazia. Non dimentichiamo che in Romania c’è sempre stato un senso profondo di timore verso i russi: Fii cuminte că vin rușii, ‘fai il bravo o vengono a prenderti i russi’ si diceva ai bambini nel folklore popolare. Anche se Ceaușescu cercava di costruirsi un’immagine di leader indipendente da Mosca, in realtà nel dopoguerra i margini di autonomia erano minimi”.

L’Unione Europea ha responsabilità per questo malcontento?

“Bisogna comprendere che in tutti i Paesi dell’Est, non solo in Romania, c’è una componente identitaria fortissima, soprattutto nelle aree più arretrate. Il discorso nazionale, quello delle radici, della lingua, dell’identità, è stato a volte trascurato dalla politica ‘buona’ e lasciato in mano a forze populiste e reazionarie. Questo ha colpito duramente anche la diaspora, che è fragile sul piano identitario e spesso si è sentita abbandonata. L’Europa, da parte sua, spesso non ha saputo comunicare: ha trattato tutti come se fossero allo stesso punto del loro processo storico e democratico, mentre ci sono ancora enormi disparità nella mentalità e nella sua evoluzione”.

Che ne pensa delle richieste di annullamento del voto?

“È un punto molto delicato. Molti colleghi e amici in Romania hanno giudicato un passo falso la decisione della Corte costituzionale di annullare le elezioni di novembre e di escludere Georgescu. Io ho una posizione più sfumata: le democrazie devono potersi difendere da chi vuole abbatterle dall’interno. Non si è trattato di un gesto arbitrario: c’erano forti elementi di preoccupazione, vere e proprie bande di mercenari legate a figure eversive. Sarebbe stato come permettere a Licio Gelli (il controverso capo della loggia massonica segreta P2, coinvolta in numerosi scandali e tentativi eversivi in Italia negli anni '70 e '80, ndr) di candidarsi a presidente in Italia. Forse è stato un errore politico, ma giuridicamente tutto si è svolto entro i limiti dello Stato di diritto. Il vero problema oggi è che le forze antidemocratiche stanno imparando a sfruttare le debolezze interne della democrazia”.

Cosa possiamo aspettarci dal nuovo presidente Nicușor Dan?

“Ha entusiasmo e credibilità, ma anche molti nemici. È un tipico rappresentante della Romania filo-occidentale, urbana e colta: ha studiato in Francia, come i patrioti romeni dell’Ottocento, e nasce come attivista, in opposizione alla cosiddetta "mafia immobiliare" di Bucarest. In seguito è entrato in politica fondando l’Unione Salvate la Romania (USR), prima di tornare alla sua dimensione indipendente. È un uomo fuori dai partiti tradizionali, ma proprio questo potrebbe essere un problema; i due grandi blocchi, PSD e PNL, stanno già riorganizzandosi e non molleranno facilmente il potere. Molto dipenderà da chi sarà il nuovo primo ministro e da come si evolveranno i rapporti di forza nel parlamento. È un inizio, non una fine. Per il momento però possiamo respirare: poteva andare molto peggio”.

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