Che cosa resta della COP30
Cop30 Brasil flickr
I contrari alzano le bandierine, ma il martelletto batte e la decisione è presa all’unanimità senza che vi sia realmente unanimità. Daniela Durán González, responsabile degli affari internazionali del Ministero dell’Ambiente e dello Sviluppo Sostenibile della Colombia, esplode per la mancata considerazione della mezza dozzina di Paesi — tra cui Colombia, Cile, Unione Europea, Uruguay e Panama — che si sono opposti all’accordo al ribasso proposto per accontentare i riluttanti Petrolstati, con Russia, India e Arabia Saudita in testa.
Il presidente della Cop30, André Corrêa do Lago, è obbligato a sospendere la plenaria finale, si consulta con gli avvocati: gli avvocati confermano che una volta ‘battuta decisione’ indietro non si torna. Per tutta risposta la Colombia afferma che parlerà con i suoi, di avvocati.
La frattura geopolitica che paralizza i negoziati
La Russia prende in giro gli Stati dell’America Latina per quelle che definisce pretese bambinesche: “siete come fanciulli che vogliono subito tutte le caramelle, ma la realtà non funziona così”. Panama, che aveva addirittura proposto di includere i diritti della natura nell’accordo e ora si trova in mano un testo che non menziona neppure i combustibili fossili, risponde per le rime: “i bambini sono estremamente intelligenti e visionari. E insieme ai nostri vicini continueremo a spingere per decisioni trasformative. Sarebbe un sogno se qui ci comportassimo tutti come bambini che lavorano per un futuro migliore, invece che come adulti senza futuro”.
“ Siete come fanciulli che vogliono subito tutte le caramelle Dichiarazione della Russia nei confronti dei Paesi dell'America latina
Corrêa do Lago, Lula e il Presidente Onu per il Clima Simon Stiell si aggrappano con le unghie e con i denti alla difesa del multilateralismo: l’unica cosa rimasta in una COP iniziata nella complessità, che aveva lasciato ben sperare e che poi è affondata nei morsi di una geopolitica che non guarda in faccia nessuno.
Europa divisa e ruolo dell’America Latina
La realtà sono le pressioni sotterranee di un Trump che fa l’occhiolino a Mamdani, ma da dietro le quinte minaccia le delegazioni dei Paesi più fragili; la Cina che par silenziosa, ma invade i padiglioni della Cop con il suo tè e l’America Latina con le sue auto elettriche, dimostrando che gli affari grossi si fanno senza parlare troppo; la Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen che si dichiara “contraria alle emissioni, ma non ai combustibili fossili”, smentendo il proprio Commissario al clima che poco prima si era detto deluso dalla mancanza di una roadmap concreta di uscita dal fossile — persino Woepke Hoekstra, l’ex dirigente di Shell, è troppo ambizioso per le spinte di un’Italia che assieme alla Polonia frammenta l’Unione. Panama fa appello all’Ue, così l’Alleanza degli Stati Insulari: “siete sempre stati i nostri migliori alleati”, ma troppo stanca, forse troppo occupata nelle sue beghe interne, l’Ue ne ha già abbastanza a tenere in piedi se stessa, al Green Deal ci penseranno i posteri. Il Brasile riesce finalmente a mettere Bolsonaro dietro le sbarre, ma non a tenere a bada i suoi alleati: i BRICS sono ospiti scortesi e contraddicono il padrone di casa, mettendo in croce negoziatori e negoziati, Russia e India per prime. Si può forse capire la stanchezza di Corrêa do Lago, considerato uno dei migliori diplomatici al mondo, quando riapre stancamente la plenaria e si scusa: “non vi avevo visti”, dice ai Paesi che si erano dichiarati contrari e avrebbero preferito un non-accordo a un accordo umiliante. “Sarà anche l’età”, prova a scherzare do Lago. A ridere sono in pochi.
“ I bambini sono estremamente intelligenti e visionari Risposta alla Russia
Che ne sarà degli Accordi di Parigi? “Un grado e mezzo, un grado e mezzo”, ripete Antonio Guterres come un mantra. Lo ripete da dieci anni: allora era un obiettivo, oggi è una sconfitta. Il grado e mezzo è superato: bisogna uscirci e poi rientrarci, sperando che nel frattempo la porta resti aperta e che uno scossone — o una tempesta — non chiuda per sempre la soglia del non ritorno.
Ognuno ha i propri tabù e se Vaticano e Argentina non vogliono linguaggi gender-inclusive, le parole ‘combustibili fossili’ disturbano la sensibilità — e il portafoglio — dei colossi, fossili appunto. Allora ci si allude senza nominarli, rimandando agli accordi di Baku: tanto l’uscita era già prevista, ma dirlo apertamente fa paura, farlo ancora di più. Manca la roadmap, ma resta un Global Implementation Accelerator, un meccanismo volontario: ognuno farà ciò che potrà. Chi ha già inquinato — come l’Europa, dice di star già facendo abbastanza, “che di più non si può”; chi sta crescendo rivendica il diritto di inquinare come gli altri prima; chi è in difficoltà non può fare la transizione senza fondi; e chi ha i soldi li sta impegnando nel riarmo, perché se il multilateralismo comincia a imbarcare troppa acqua è sempre meglio avere un piano B.
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Corrêa do Lago promette che ci si rivedrà tra sei mesi per fare il punto. La Colombia, insieme a circa 90 Paesi volenterosi — inclusa la maggior parte degli Stati dell’Unione, costretti ad aderire in ordine sparso perché Italia e Polonia remano contro — lancia l’accordo degli ambiziosi, da finalizzare ad aprile: tutti invitati in Colombia per la conferenza sull’uscita dai combustibili fossili. Anche il Brasile aderisce e prende impegni fuori dalla COP su fondi per le foreste, diritti dei popoli e giusta transizione - magro contentino per chi la sua Cop storica l’ha avuta, ma in modo ben diverso da quanto sperava.
Più di tutto, scrive Damian Carrington sul Guardian, il grande risultato di questa COP, a un passo dal collasso, è che “i negoziati hanno portato a un accordo, dimostrando che la cooperazione multilaterale tra 194 Stati può funzionare persino in un mondo in pieno tumulto geopolitico”.
Lo dicono in tanti, ma è davvero multilateralismo se metà dei presenti non condivide la decisione finale? Ciò che resta è il documento conclusivo, soprannominato Mutirão, che in brasiliano vuol dire comunità, decisione condivisa, ma un “Mutirão” che delude metà dei presenti di comunitario ha ben poco. Contenti però i big - e allora andrà tutto bene. Del resto, chi si accontenta gode e, con i tempi che corrono, commenta qualcuno, è già molto non essere tornati indietro sugli impegni. È stato confermato più o meno tutto quanto deciso in passato, anche se nulla di nuovo sull’uscita dai fossili, nulla sullo stop alla deforestazione. Se ne parlerà a margine, con altri meccanismi, promette il Presidente, mentre i giornalisti entrano dalla porta del bagno pur di raggiungere la plenaria e le piogge tropicali gocciolano sui diplomatici sfiniti.
È ribadita la promessa di triplicare i fondi per l’adattamento - era il minimo, altrimenti gli Stati Insulari avrebbero lasciato la sala in blocco, come stanno lasciando le carte geografiche. Il termine però slitta dal 2030 previsto a Baku al più lontano 2035.
La forza della società civile alla COP30
Di questa questa COP però si è parlato molto - e non solo per gli incendi ai padiglioni: le comunità indigene sono finite nelle prime pagine e la forza della Cupola dei Popoli di Belém rimarrà nella storia. I difensori dei diritti umani erano in prima fila, affiancati da decine di migliaia di persone venute da tutto il mondo per manifestare con loro, la Amazon Flotilla ha risalito i fiumi di mezza America con le bandiere amazzoniche e quelle palestinesi sugli alberi di maestra. Dove c’è chi spinge per annientare, c’è anche chi non abbassa la testa e non è disposto a farsi calpestare. La Colombia, massacrata dal narcotraffico, e la piccola Panama, sventrata dalle miniere e dagli interessi esteri, hanno riempito il vuoto dell’Europa e si sono fatte portavoce di oltre 80 Paesi che tracciano ancora un’altra strada possibile. Alla COP30 si sono guardati negli occhi e ora marceranno più uniti, più forti.
Forse il multilateralismo non si salva fingendo che i problemi non esistano, ma riprendendo in mano una dopo l’altra le macerie per costruire qualcosa di nuovo. E forse, saranno proprio i ‘bambini dell’America Latina’ e le figlie dell’oceano ad avere quella determinazione caparbia, quella scintilla di energia che la vecchia e stanca Europa fatica ad accendere. All’apertura della COP, Stiell parafrasava Roosevelt: nei tempi difficili non sarà ricordato chi critica, ma chi resta nell’arena, nonostante fatica, sangue e sudore. Il merito è di chi non si arrende. E la COP30 quella scintilla nell’oscurità è riuscita ad accenderla.
Appuntamento ad aprile, in Colombia.