SOCIETÀ

La rivoluzione dei diritti della Natura: il segnale dall’Ecuador

Belém, la COP30 avanza e la cover decision proposta dalla Presidenza brasiliana — osteggiata dall’Italia, ma sostenuta da oltre 80 Paesi, tra cui Spagna, Francia e Germania, con la Colombia e l’Alleanza dei piccoli Stati insulari in testa — prevede una roadmap, un percorso a tappe definite e quantificabili per l’uscita dai combustibili fossili. È la questione centrale dei negoziati: se il mondo abbandonerà i fossili, in che modo lo farà e con quali garanzie per le comunità più vulnerabili.

Mentre il globo negoziale si concentra su numeri, target, finanziamenti e strategie per il clima, nella Cupola dei popoli si va alle radici: la Natura non è risorsa, ma fonte di vita, non va protetta, ma riconosciuta. La Natura è un’entità giuridica di per sé stessa, con diritti legali intrinseci che vanno rispettati al di là dell’utilità per gli esseri umani. Ed è dall’Ecuador che, in pieni negoziati, arriva un segnale politico di rilievo: il 16 novembre la popolazione ha votato “no” al referendum costituzionale indetto da Daniel Noboa, presidente di estrema destra, che puntava alla convocazione di un’Assemblea Costituente per riscrivere la Costituzione, minacciando fra le altre di eliminare i diritti della natura dal proprio ordinamento fondamentale. Gli ecuadoriani hanno scelto il no, riconfermando anche le tutele legali per fiumi, foreste ed ecosistemi.

La Natura non è risorsa, ma fonte di vita, non va protetta, ma riconosciuta

Il discorso sui diritti della Natura, per anni osteggiato o ignorato, entra dunque con forza nelle tribune politiche: non si tratta solo di mitigare le emissioni, ma di rivedere il rapporto fondamentale tra umanità e pianeta. E a volerlo sono le persone. Non più “natura come oggetto o risorsa da sfruttare, ma Natura come soggetto, con dignità giuridica” dichiara Natalia Greene, Direttrice della Global Alliance for The Rights of Nature (GARN), che in questi giorni sta spingendo affinché i diritti della natura entrino a far parte anche della cover decision di Belèm. “Una vittoria importante, la natura ha parlato... e l'Ecuador l’ha ascoltata”.

“Nonostante le minacce, i tentativi di zittirci e persino di ucciderci, oggi abbiamo alzato la voce, la voce della foresta e della Madre Terra, e abbiamo detto basta”, aggiunge Zenaida Yasacama, leader Kichwa e direttrice dell’Amazon Sacred Headwaters Alliance.

Dal referendum in Ecuador alla difesa dei diritti della Natura

Il successo del referendum del 16 novembre è il culmine di una lotta iniziata decenni fa, che ha portato nel 2008 l’Ecuador a essere lo Stato pioniere nel riconoscere nella Costituzione i diritti della Natura. Ne è seguito l’incontro internazionale del 2010, a Patate, Ecuador, durante il quale avvocati e leader indigeni, attivisti e scienziati hanno fondato la Global Alliance for the Rights of Nature, che ormai da 15 anni lavora per promuovere il riconoscimento della natura come soggetto intrinsecamente dotato di diritti. Sempre nello stesso anno, la Bolivia ha convocato una conferenza universale per i diritti della Terra e delle comunità indigene, durante la quale è stata stesa la Dichiarazione universale per i diritti della Madre Terra. Promossa da più di 33.000 persone, è tutt’oggi un punto di riferimento per la giurisprudenza internazionale ed è in corso una raccolta firme globale per far sì che venga accettata ufficialmente anche dalle Nazioni Unite.

Pachamama secondo la cosmovisione indigena, la natura è definita come entità viva, con il diritto al mantenimento e rigenerazione dei suoi cicli vitali. Nel 2011, quel riconoscimento è diventato qualcosa di concreto: il fiume Vilcabamba, avvelenato da detriti e rifiuti a causa della costruzione di un’autostrada, rappresentato dall’avvocato Carlos Bravo, è stato il primo fiume a vincere una causa in tribunale.

Surreale? Il giurista Christopher Stone già negli anni Settanta scriveva di come ogni avanzamento dei diritti sia sembrato sempre impensabile prima di diventare normalità - dall’abolizione della schiavitù al diritto di voto per le donne. “Siamo sempre a una generazione da una nuova idea di normalità - dichiara Greene -. Oggi la nuova normalità è riconoscere che la Natura ha diritti intrinsechi. Perché la crisi ecologica è anche una crisi giuridica. Le leggi sono state costruite per proteggere la proprietà, non la vita. Ora devono evolvere”.

Una nuova eco-giurisprudenza globale

Greene cita Hugo: “Non c’è niente di più potente di un’idea i cui tempi sono arrivati. Il 2008 era presto, forse, ma ora il tempo per i diritti della natura è arrivato”. Il GARN conta migliaia di membri, operativi in più di 40 paesi, con migliaia di cause legali in corso e decine di legislazioni statali che ne riconoscono i principi: sono 22 gli Stati che hanno inserito i diritti della natura nella loro Costituzione e 18 portano avanti progettualità in questa direzione. Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha dichiarato che l’eco-giurisprudenza è il movimento giuridico a crescita più rapida del ventunesimo secolo.

Greene ricorda con orgoglio alcuni casi emblematici: in Nuova Zelanda il fiume Whanganui, sacro ai Māori, è diventato persona legale, con guardiani nominati per difenderne gli interessi; in India, i fiumi Gange e Yamuna hanno ottenuto lo status di entità legali, difese da rappresentanti umani; in Australia, nei Caraibi, in Indonesia, le barriere coralline sono entrate nelle aule come soggetti di diritto. 

Anche in Europa ci sono risultati, anche se il processo è lento. In Spagna, il Mar Menor ha visto avanzare una proposta di diritto legale della laguna; in Irlanda e in Baviera emergono dibattiti sul tema. “È interessante - commenta Greene -, perché in Europa il punto di vista è diverso, quello scientifico, le persone si stanno rendendo conto che senza biodiversità non si può vivere e che servono nuovi strumenti”. In Italia, seppur timidamente, qualcosa si muove. Con la modifica agli articoli 9 e 41, nel 2022 la Camera ha inserito la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi nella Costituzione ed esplicitato che nessuna iniziativa economica può recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Ma, come ricordano molte associazioni, la pratica politica non segue ancora le parole. Nel 2021, un gruppo di 203 organizzazioni ha depositato la causa Giudizio Universale, accusando lo Stato di inadempienza climatica e violazione dei diritti fondamentali. Un segno che, anche nel Nord globale, l’idea di un nuovo paradigma giuridico sta avanzando.

L’avvocato sudafricano Cormac Cullinan, considerato il padre dei Diritti della Natura e direttore del Wild Law Institute, dichiara che è un “cambiamento di paradigma cosmologico: è come se cambiassimo la lingua con cui comunichiamo con la Terra. Non è un concetto astratto, bensì di uno strumento pratico per affrontare la crisi globale. La crisi climatica è legata alla perdita di biodiversità; dalla biodiversità dipende l’equilibrio del pianeta. Senza soluzioni basate sulla natura, non c’è transizione ecologica che tenga. Solo un cambiamento di visione può condurre a soluzioni reali. È fondamentale ridurre le emissioni, ma non basta: dobbiamo rigenerare gli ecosistemi, proteggere i fiumi, le foreste, i cicli vitali”.

Nel padiglione dell’Alleanza Amazzonica risuona ancora la dichiarazione di Zenaida Yasacama sui risultati del referendum ecuadoriano: “Questo trionfo non è solo nostro, è di chiunque difende la vita.”

Dato il contesto geopolitico attuale, non si è trattato solo di una questione nazionale, ma di una presa di posizione chiara da parte dei cittadini verso un governo conservatore, che apre la strada ad altri popoli e comunità, dimostrando che anche dove i governi non sono favorevoli, la società civile può spingere per cambiamenti concreti. Questo slancio trova espressione nei leader indigeni presenti alla COP30 e alla Cupola dei Popoli, dove si sta forgiando una visione che mira a ridefinire la relazione tra umanità e natura: una rivoluzione etica, giuridica e quindi anche politica ed economica. Ricorrono le citazioni del capo indigeno Haudenosaunee Oren Lyons: ‘Dove siede l’aquila in questo forum? Chi parla per l’acqua della Terra? Chi parla per i pesci, per gli uccelli? Per i nostri figli?’

Dalle Ande all’Amazzonia, dai popoli Maori alle comunità afrodiscendenti, la richiesta è univoca: la difesa della Natura non è separabile dal riconoscimento dei suoi diritti e dei diritti dei popoli che la abitano. Le comunità indigene chiedono che la cover decision della COP30 riconosca formalmente il ruolo e la leadership politica dei custodi ancestrali e incorpori i principi dei diritti della Natura. 

“I diritti della Natura sono lo strumento più avanzato che abbiamo per affrontare la crisi climatica” dichiara Greene “Non stiamo chiedendo qualcosa di nuovo. Stiamo recuperando ciò che le culture indigene sanno da millenni: che siamo parte di una rete di vita. Riconoscere i diritti della Natura non è un lusso o un capriccio. È una necessità di sopravvivenza.”

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