SOCIETÀ

Politiche migratorie UE: bocciatura secca in due rapporti internazionali

La “zona grigia” comincia proprio lì, su quel primo lembo di terra chiamato Unione Europea, terra sognata e rincorsa ogni anno, al prezzo d’inenarrabili rischi, da centinaia di migliaia di migranti (355mila gli “irregolari” arrivati nel 2023: e sono i più fortunati) in cerca di un futuro migliore per sé stessi e per le proprie famiglie. Ebbene, ormai sappiamo che alle frontiere dell’UE, in quelle indispensabili “cerniere” che dovrebbero regolare i flussi, accogliendo chi ne ha diritto e respingendo chi non ha i requisiti per essere accolto (da sempre un nervo scoperto per i 27 stati membri), c’è un problema drammaticamente serio. A certificarlo ulteriormente è un rapporto pubblicato pochi giorni fa da Amnesty International che parla di detenzioni illegali, condizioni degradanti, privazioni e abusi. Il riferimento, esplicito, è al campo di accoglienza allestito in Grecia sull’isola di Samos, finanziato da Bruxelles, ma evidentemente non molto “controllato” nella sua gestione ordinaria. E c’è anche un altro rapporto, questa volta stilato dall’Agenzia europea per i Diritti Fondamentali (FRA è l’acronimo inglese, da Fundamental Rights Agency), che si occupa dello stesso argomento e che rafforza l’allarme sull’efficienza, definiamola così, di altri punti di frontiera.

L’Agenzia europea punta il dito principalmente contro le autorità nazionali (forze di polizia, magistratura) di Grecia, Croazia e Ungheria che non avrebbero «indagato in modo efficace sugli episodi di maltrattamenti e sulla perdita di vite umane durante la gestione delle frontiere».

Nel rapporto si parla di “gravi, ricorrenti e diffuse violazioni dei diritti nei confronti di migranti e rifugiati durante la gestione delle frontiere”. Come se in quelle strutture, colme di disperazione e di stenti, lontane dai riflettori, tutto diventasse lecito, anche lo sfregio della dignità umana, anche l’uso indiscriminato della violenza e la violazione delle più elementari norme del diritto, umano e penale. «Sebbene numerosi rapporti appaiano credibili - scrivono gli esperti dell’Agenzia -, molti incidenti non diventano oggetto di indagine. E quando vengono avviate indagini penali, queste vengono spesso chiuse nella fase preprocessuale. Indagini che non soddisfano i requisiti di indipendenza, completezza, trasparenza, tempestività». Dunque nessuno vede (la responsabilità di indagare sulle violazioni dei diritti spetta agli Stati membri) e nessuno paga. Tanto che stanno aumentando in maniera netta i ricorsi delle vittime non ai tribunali nazionali dei paesi dove questi abusi sono, o sarebbero, stati commessi, ma direttamente alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, la Cedu, un organo esterno all’Unione Europea che ha sede a Strasburgo.

Un “incubo distopico” nel campo di Samos

Più nel dettaglio: Amnesty International ha condotto una ricerca tra dicembre del 2023 e luglio del 2024 sul “Centro ad accesso chiuso controllato” di Samos, in Grecia, inaugurato nel 2021 (ospita perlopiù migranti provenienti da paesi del Medio Oriente e dell’Africa), dal quale emerge una condizione di diffusa illegalità, con una “detenzione arbitraria dei rifugiati che viola gli standard europei e il diritto internazionale”. Scrive al proposito Deprose Muchena, che di Amnesty International è direttore senior per l’Impatto regionale sui diritti umani: «Con il pretesto di registrare e identificare le persone, le autorità greche stanno di fatto trattenendo tutti i migranti all’arrivo, comprese le persone in situazioni vulnerabili, in violazione dei loro diritti.

E tutto questo sta accadendo in un sito finanziato dall’UE che dovrebbe essere conforme agli standard europei.

L’UE aveva promesso che questi centri sarebbero stati all’altezza degli “standard europei”. Invece abbiamo trovato un incubo distopico: un campo privo delle infrastrutture più elementari, circondato da telecamere di sicurezza e filo spinato che rendono il centro simile a una prigione. Le persone non avevano abbastanza acqua o un’assistenza sanitaria adeguata e, in alcuni casi, neanche letti. La Grecia è stata a lungo un banco di prova per le politiche migratorie dell’UE. I risultati su Samos mostrano che questo modello è punitivo, costoso e pieno di abusi». Una detenzione che spesso si protrae ben oltre i 25 giorni previsti come limite massimo consentito dalla legge greca. Il che autorizza, secondo la ong, a parlare di “detenzione illegale” dei migranti.

«Tali restrizioni sono applicate in modo schiacciante ai nuovi arrivati senza considerare le circostanze individuali - scrive Amnesty -, in violazione del diritto e delle norme internazionali, che stabiliscono che la detenzione esclusivamente a fini di immigrazione è consentita solo nelle circostanze più eccezionali». Un altro problema è il sovraffollamento: lo scorso ottobre il centro è arrivato a ospitare 4850 persone, a fronte di una capienza massima di 2040. Secondo Amnesty, che ha chiesto all’Unione Europea di considerare la Grecia responsabile di violazione dei diritti umani, i rifugiati sono stati alloggiati anche in aree non residenziali come cucine, aule didattiche e container. E qui un’altra accusa alle autorità greche: «La capienza nominale del campo è stata poi aumentata a 3650 posti, ma senza intervenire per incrementare effettivamente il numero degli alloggi»: praticamente un “falso contabile”, per far risultare meno eclatanti i numeri del sovraffollamento.

Indagini in corso su 8 stati membri

Ma il problema è generale e riguarda, con diverse sfumature di gravità, tutte le frontiere più esposte dell’Unione Europea: quella orientale (la Baltic Defense Line, la linea difensiva condivisa da Estonia, Lettonia e Lituania lungo i loro confini con Russia e Bielorussia, annunciata lo scorso gennaio), quelle dei Balcani occidentali (con la Serbia è stato appena raggiunto un accordo di “cooperazione rafforzata” dopo quelli con Moldova, Albania, Macedonia del Nord e Montenegro), quelle del Mar Mediterraneo, che ci riguarda da vicino, e nel Canale della Manica. Al momento sono poco più di 30 i casi di presunti maltrattamenti alle frontiere esterne dell’Ue in attesa di giudizio presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. E sono 8 gli stati membri dell’UE oggetto d’indagine: Croazia, Cipro, Grecia, Italia (già condannata in passato dalla Cedu per “trattamenti inumani e degradanti”), Lettonia, Lituania, Polonia e Ungheria. «Ci sono troppe accuse di violazioni dei diritti umani alle frontiere dell’UE», ha commentato Sirpa Rautio, direttrice della FRA, l’Agenzia europea per i Diritti Fondamentali. «L’Europa ha il dovere di trattare tutti coloro che si trovano alle frontiere in modo equo, rispettoso e nel pieno rispetto dei diritti umani. Ciò richiede pratiche di gestione delle frontiere efficaci e conformi ai diritti, sostenute da indagini solide e indipendenti su tutti gli episodi e gli abusi contestati». In Polonia, stando a quanto riferisce l’emittente Polskie Radio, nonostante le diverse segnalazioni di respingimenti “violenti” di migranti, non sembra siano state avviate indagini penali. Scorrendo tra le accuse più frequenti si trovano: violenza fisica, abusi e maltrattamenti di vario genere (ad esempio persone spogliate a forza dei loro vestiti, o che si vedono distrutte proprietà personali), mancato salvataggio di rifugiati in evidente situazione di pericolo, separazione forzata dei nuclei familiari, espulsione sommaria dei richiedenti asilo. Tutti comportamenti che non hanno alcuna attinenza con il Patto per la migrazione e l’asilo, adottato nel maggio scorso dai 27 stati membri dell’Unione Europea proprio nel tentativo di avere un sistema comune per la gestione delle migrazioni.

Peraltro, le denunce sono assai rare proprio a causa della vulnerabilità dei migranti, per la paura di rappresaglie, per paura di denunciare alle autorità locali i comportamenti delle forze dell’ordine. Perciò chi può, chi riesce a trovare assistenza e un indispensabile aiuto, si rivolge alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo. Gli altri subiscono, in silenzio.

Altre segnalazioni di violenze e abusi commessi ai danni dei migranti diretti nel Regno Unito sono arrivate proprio negli ultimi giorni dalle spiagge francesi di Calais da parte di diverse ong.

Un portavoce di Alarm Phone, un’organizzazione che monitora gli attraversamenti della Manica, ha dichiarato che dal marzo dello scorso anno, quando il governo conservatore inglese ha lanciato la campagna “stop the boats”, firmando accordi di collaborazione con la polizia francese. «Di queste 62 vittime, 39 sono morte in incidenti legati alla traversata in mare e 8 di queste sono state schiacciate a morte nel gommone. Questi numeri rientrano nei limiti accettabili per i governi del Regno Unito e della Francia»? Secondo The Guardian, la Gran Bretagna sta pagando la polizia francese con l’incarico di essere “più aggressiva” sulle proprie spiagge. Nel marzo 2023 sono stati stanziati 478 milioni di sterline (568 milioni di euro) per l’impiego di 500 agenti in più, per un nuovo centro di detenzione e altre misure per impedire alle persone di salire sui gommoni per attraversare la Manica.

Anche a Calais si stima che le denunce siano molto inferiori al numero reale di violazioni commesse: circa una su dieci viene presentata alla polizia.

Le ong all’UE: tutelare il diritto di asilo

Cosa fare dunque, oltre a chiedere all’Unione Europea di predisporre finalmente adeguate misure di sorveglianza e di controllo su quanto accade alle proprie frontiere? L’Agenzia europea per i Diritti Fondamentali ha stilato un decalogo di misure che potrebbero essere immediatamente attuate per la tutela dei migranti. Come ad esempio: registrazione più capillare delle testimonianze; migliore utilizzo dei filmati di sorveglianza; migliore utilizzo dei dati GPS dei veicoli e del personale delle forze dell’ordine; pubblicazione periodica di statistiche sulle indagini disciplinari e penali e sui loro esiti; uso di targhette identificative o numeri identificativi per identificare i singoli ufficiali di pattuglia; assegnazione dei casi a dipartimenti specializzati nell’ufficio del procuratore per garantire indagini imparziali. Il mese scorso diverse ong internazionali, tra le quali  Human Rights Watch, Oxfam e la stessa Amnesty International, hanno chiesto all’UE di salvaguardare il diritto di asilo in Europa.

E hanno criticato la crescente tendenza dei paesi dell’Unione Europea a spostare la protezione dei rifugiati verso paesi terzi al di fuori dell’Unione (come gli accordi firmati, anche dal governo italiano, con Tunisia e Albania).

«I tentativi di esternalizzare l’asilo a paesi terzi sono una manifestazione del flagrante sottrarsi degli Stati alla loro responsabilità legale nei confronti delle persone bisognose di protezione», scrivono le ong nel documento congiunto.

«Inoltre offusca la giurisdizione e la responsabilità, rendendo più difficile per le persone accedere alla giustizia quando i loro diritti vengono violati. Laddove il trattamento extraterritoriale dell’asilo è stato messo alla prova, ha causato sofferenze umane incommensurabili e violazioni dei diritti».

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