Hiroshima e Nagasaki: 80 anni dopo il rischio nucleare è ancora aperto

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6 agosto 1945. La mattinata era di quelle con cielo sereno e discreta calma. L’assenza di precipitazioni è un fatto per nulla secondario. È proprio questo cielo limpido che diede il via ad un’operazione militare che cambiò per sempre la storia del mondo e delle persone. Per la prima volta l’essere umano utilizzò un’arma capace di distruggere la sua stessa specie.
Il 6 agosto 1945, alle 8:14, il militare Thomas Ferebee sganciò il carico che trasportava proprio sopra il ponte di Aioi. Una bomba di quattro tonnellate, con all'interno un cuore di uranio 235, puro. In pochi secondi Hiroshima fu rasa al suolo.
Sono passati 80 anni da quel momento, così lontano ma così vicino. Lo stop al nucleare, gli accordi, la voce forte e decisa della scienza, e poi la guerra fredda, la nuova corsa alle atomiche come unico deterrente ed ora nuovamente un mondo in subbuglio, un mondo a soli 89 secondi dalla catastrofe. Da quel 6 agosto 1945 il tema di cosa fare nel caso scoppiasse una guerra nucleare è diventato uno degli argomenti più scottanti per l’umanità. Già nel 1945 era chiaro, ma ora non ci sono più dubbi che se scoppiasse una guerra nucleare il genere umano sarebbe in grosso pericolo.
“E non potenzialmente: proprio di fatto” ci tiene a ribadire Giulio Peruzzi, storico della fisica dell’università di Padova.
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“Questo problema, di distruggere la specie umana, si pose fin dall'inizio - continua Peruzzi -. Nelle persone che lavoravano come scienziati, non come politici. Gli stessi politici sapevano, i militari che sapevano, ma non avevano contezza di questo rischio. Per cui le persone che lavoravano al progetto Manhattan, già il 16 luglio del 1945, quando fu fatta la prima esplosione nucleare, il test di Trinity si domandarono "Ora con queste armi, cosa ne facciamo?"".
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Una domanda aperta ancora oggi, così come le domande fatte da Laura Capon Fermi. Abbiamo provato a elencarle queste domande, 80 anni dopo, e a ragionare su temi che, purtroppo, sembrano sempre più di attualità. L’abbiamo fatto grazie a Giulio Peruzzi, storico della fisica dell’università di Padova, Alessandro Pascolini, studioso senior dell’Università di Padova, già docente di fisica teorica e di scienze per la pace e Marta Fanasca, ricercatrice, esperta di cultura e società giapponese contemporanea e Marie Curie post doctoral global fellow all'università di Bologna.
Riprese di Antonio Massariolo e Elena Sophia Ilari. Interviste di Antonio Massariolo e Elisabetta Tola. Montaggio Antonio Massariolo
Come vive la società giapponese questo anniversario
Quando parliamo delle bombe atomiche, ma non solo, facciamo sempre molta fatica a metterci dalla parte degli altri. Tra film di successo e altre narrazioni, spesso ci si dimentica di cercare di capire a fondo anche come hanno vissuto in Giappone quell’evento e cosa ne resta.
“La tragedia di Hiroshima e Nagasaki ha avuto un impatto estremamente profondo sulla società giapponese sotto molteplici aspetti – ha dichiarato Marta Fanasca –. Penso che uno degli effetti più evidenti sia stato il radicarsi di una forte cultura pacifista in Giappone. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, infatti, il Paese ha adottato una Costituzione entrata in vigore nel ’47, nella quale, come sancito nell'articolo 9, il Giappone rinuncia formalmente alla guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Hiroshima e Nagasaki sono diventate simboli internazionali del pacifismo, diventando luoghi della memoria, dove ogni anno si tengono cerimonie commemorative, soprattutto il 6 e il 9 agosto.
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A livello più accademico e scientifico, sorvolando sul lato delle STEM, delle scienze come la fisica – chiaramente coinvolte in maniera più diretta – si è sviluppata soprattutto una riflessione interdisciplinare di produzione culturale, nella quale sono emersi concetti come trauma e memoria. Dagli anni ’50 in poi, prima gli accademici giapponesi e poi quelli internazionali hanno iniziato a concettualizzare la tragedia di Hiroshima e Nagasaki come luoghi del trauma collettivo, cioè le due città intese proprio come simboli di un trauma condiviso.
La parola ‘trauma’ non era ancora al centro del lessico accademico come lo è oggi, in cui si parla esplicitamente di Trauma Studies, ma già nel Giappone degli anni ’50, ad esempio, si comincia a parlare di ferite invisibili e di memorie che non possono essere raccontate. I sociologi hanno iniziato ad analizzare l'impatto psichico della bomba sui sopravvissuti, non solo dal punto di vista clinico – come potrebbe essere il disturbo post-traumatico o la depressione – ma anche da un punto di vista sociale: l'isolamento, lo stigma, l'autocensura nel raccontare ciò che si è vissuto. Questo ha alimentato una letteratura critica sul trauma storico e la sua trasmissione intergenerazionale, anticipando in parte molte riflessioni che sarebbero poi divenute centrali negli studi sull'Olocausto.
Anche gli studi letterari hanno posto attenzione alla lingua utilizzata per parlare del trauma: come si scrive, come si racconta – o si tace – ciò che viene considerato indicibile. Cioè, come si può trasformare l'orrore in narrazione? Qual è il ruolo dell'immagine, del silenzio, della frammentazione testuale nel raccontare un'esperienza del genere?
Inoltre, la tragedia vissuta da Hiroshima e Nagasaki ha avuto un impatto fortissimo anche in termini di cultura visiva, dando origine a un’iconografia del disastro che è diventata oggetto di studio nei media studies. Ad esempio, è stato studiato come il fungo atomico sia diventato un simbolo ambivalente: da un lato un monito contro la guerra e contro il nucleare, dall'altro quasi un’icona pop. Si è scritto anche molto su come l’era atomica abbia influenzato l’immaginario della fantascienza. L’iconografia atomica, ad esempio, viene ricodificata in chiave simbolica nel primo film di Godzilla del 1954, che nasce proprio come una metafora del problema nucleare.”
“Nelle università giapponesi – continua Fanasca – soprattutto nelle città di Hiroshima e Nagasaki, si è sviluppata una tradizione molto forte di studi sulla pace. Ad esempio, a Hiroshima c'è l’Hiroshima Peace Institute, che collega ricerca accademica e attivismo. Sono stati creati programmi dedicati proprio alla trasmissione intergenerazionale della memoria atomica, spesso con approcci partecipativi che coinvolgono anche la cittadinanza. In questo contesto si è sviluppata anche una riflessione pedagogica su come insegnare il trauma e su come trasformare la memoria in pratica politica, in linea con la filosofia del never again.”
La bomba atomica, quindi, ha ispirato una vasta produzione culturale in Giappone. In ambito letterario possiamo citare opere come Note su Hiroshima di Ōe Kenzaburō o Pioggia nera di Ibuse Masuji, adattato anche in un film di Imamura Shōhei nel 1989.
Sempre in ambito cinematografico, possiamo ricordare Rapsodia in agosto di Kurosawa del 1991. Esiste dunque una ricca produzione culturale volta a conservare la memoria del disastro atomico. Anche i manga, come suggerisce Fanasca, hanno offerto opere di grande valore: fra tutte Gen di Hiroshima di Keiji Nakazawa.
Le nuove generazioni in Giappone
“Ovviamente le giovani generazioni sono nate e cresciute ben dopo la guerra – prosegue Marta Fanasca –. Questo significa che la memoria dell'atomica per loro è trasmessa, non esperita, e diventa quindi una forma di post-memoria: un’eredità emotiva, culturale e affettiva che viene ricevuta per via indiretta, tramite racconti, immagini, celebrazioni, istruzione. Quello che si nota molto nei giovani giapponesi è che il dramma di Hiroshima e Nagasaki è diventato una sorta di orizzonte etico, perché molti crescono con un forte senso di rifiuto della guerra e uno scetticismo verso l’energia nucleare – non solo in ambito militare, ma anche civile – e con valori legati alla pace e alla cooperazione internazionale.
Tuttavia, anche questo lascito oggi subisce delle tensioni, soprattutto alla luce delle politiche del governo, che recentemente sta spingendo verso una revisione costituzionale volta a un graduale riarmo.
È stato anche molto interessante, secondo me, come per molti giovani – diciamo dagli adolescenti fino ai quarantenni – il dramma di Fukushima del 2011 abbia risvegliato e riattivato nuove forme di memoria e connessione con Hiroshima e Nagasaki.
Dopo Fukushima sono state fatte molte comparazioni tra la bomba atomica e il disastro nucleare. Si è assistito a un nuovo interesse per le testimonianze degli hibakusha – i sopravvissuti al bombardamento atomico – ed è emersa una critica alla narrazione del nucleare sicuro. In questo senso, la memoria atomica è diventata concreta, perché è stata messa in relazione con le fragilità del nostro presente.”
Il lascito, quindi, è estremamente concreto e si manifesta come un insieme di sensibilità, simboli, inquietudini e valori che contribuiscono a formare la visione giapponese del presente. Questi elementi riemergono in momenti di crisi – come Fukushima – e circolano nella produzione culturale, nel mondo accademico e nell’istituzione scolastica. Si tratta dunque di un’eredità viva, in continua trasformazione.