SCIENZA E RICERCA

Cento anni mirabili di fisica quantistica: un patrimonio dell’umanità

Le Nazioni Unite hanno scelto di celebrare il 2025 come anno internazionale della scienza e delle tecnologie quantistiche. Il 4 e 5 febbraio a Parigi nella sede dell’Unesco si è tenuta la cerimonia inaugurale di un anno che conta già centinaia di eventi a tema quantistico sparsi in tutto il mondo. Alcuni sono per addetti ai lavori, ma molti si rivolgono al grande pubblico, per far conoscere e valorizzare un vero e proprio un patrimonio dell’umanità.

Il giornalista scientifico Pietro Greco, che ha dedicato uno dei suoi ultimi libri alla storia della meccanica quantistica (Quanti, Carocci 2020), l’ha definita “uno dei dibattiti più elevati e profondi nella storia della cultura umana”. Perché anche la scienza è cultura.

La ragione per cui è stato scelto quest’anno come anniversario della fisica quantistica è che 100 anni fa, dopo almeno un quarto di secolo di lavori e scoperte che hanno coinvolto menti del calibro Max Planck prima e Albert Einstein poi, vennero pubblicati una serie di articoli scientifici che contribuiscono a una prima formulazione della meccanica quantistica, la teoria fondamentale della fisica che ancora oggi viene usata per descrivere il comportamento degli atomi, per comprendere il funzionamento delle stelle, o per sviluppare tecnologie come i laser.

Il 1905 è ricordato come l’annus mirabilis per Einstein, che pubblicò 4 articoli che rivoluzionarono la fisica. Tra questi c’era anche quello in cui definiva l’effetto fotoelettrico e che descriveva i fotoni come quantità discrete, granulari (quanti) di energia. Allo stesso modo, il 1925 fu un annus mirabilis per la fisica quantistica. In questo caso non si trattò del frutto del lavoro di un singolo genio: fu l’esito di uno sforzo collettivo, ma non meno geniale.

Helgoland

Nel giugno del 1925 il fisico tedesco Werner Heisenberg si ritirò sull’isola di Helgoland nel mare del nord, una settantina di km a largo della foce del fiume Elba, che attraversa Amburgo. Cercava tregua da una febbre allergica che lo perseguitava e l’isola era pressoché priva di alberi e pollini. Le notti le passò lo stesso insonni, arrovellandosi sui risultati di Niels Bohr, fisico danese che aveva scoperto che l’elettrone sembrava muoversi intorno all’atomo di idrogeno (composto da un protone e un elettrone) solo su alcune orbite precise, saltando da un’orbita all’altra.

Heisenberg, solo ventitreenne, spedì a Max Born, fisico a Göttingen di cui era assistente, una bozza del lavoro che aveva elaborato sull’isola di Helgoland: introduceva un complesso sistema di calcolo che prevedeva l’uso di tabelle di numeri (in gergo matrici), ma che descriveva correttamente il comportamento, o come direbbero i fisici la “meccanica”, dell’elettrone che si muove a salti discreti o, per l’appunto, “quantizzati”.

Born ne intuisce subito il potenziale: spedisce l’articolo di Heisenberg alla Zeitschrift für Phisik, che glielo pubblica con il titolo “Sulla reinterpretazione teorica-quantistica delle relazioni cinematiche e meccaniche”. Pochi mesi dopo, assieme a un altro studente Pascual Jordan, Heisenberg e Born sviluppano ulteriormente l'idea della meccanica delle matrici in un altro articolo sulla stessa rivista, con il titolo “Sulla meccanica quantistica”.

Pochi mesi prima di ritirarsi sull’isola sacra (traduzione di “Helgoland”, titolo che Carlo Rovelli ha dato al suo libro per Adeplhi, 2020), Heisenberg aveva tenuto una conferenza nel Regno Unito dove aveva esposto le sue idee, ancora confuse. Sempre nel 1925, sulla rivista britannica Proceeding of the Royal Society A esce il lavoro di un fisico inglese, Paul Dirac, anch’egli poco più che ventenne, che giunge alle medesime conclusioni di Heisenberg, ma passando per un’altra strada matematica.

Fisica e filosofia

La meccanica delle matrici si dimostra sperimentalmente in grado di predire il comportamento dell’elettrone, ma lo fa a un prezzo: la posizione esatta dell’elettrone resta un’entità “inosservabile”. Solo sue proprietà indirette come come la frequenza e l’intensità della luce che emette sono accessibili, “osservabili”.

In altre parole, le matrici mappano una serie di tappe che l’elettrone percorre: possiamo sapere che data una certa energia si troverà in una certa posizione, che a un’altra energia si troverà in un’altra. Ma non possiamo disegnare sulla mappa la linea del sentiero che percorre tra una tappa e l’altra.

Dov’è l’elettrone quando non lo si trova su una delle tappe previste dalle matrici? Dov’è quando non lo osserviamo? A Niels Bohr stava bene che la fisica quantistica fosse solo una descrizione di quello che ci è accessibile della realtà: una sorta di applicazione della conclusione del Trattato logico-filosofico del 1921 di Ludwig Wittgenstein, secondo cui “su ciò di cui non si è in grado di parlare, si deve tacere”.

Ad Einstein invece la cosa non andava giù, come confessò al suo collega e futuro biografo Abraham Pais: “ma davvero tu credi che la luna non sia lì quando nessuno la guarda”? Né Einstein sembrava poter tollerare che “Dio giocasse a dadi”, ovvero che la realtà non operasse a suoi livelli fondamentali secondo leggi deterministiche, ma solo probabilistiche.

Era questo che emergeva infatti dall’interpretazione che Max Born diede a un’altra formulazione indipendente della meccanica quantistica, sviluppata un anno dopo rispetto a Heisenberg, dal fisico austriaco Erwin Schrödinger.

Partendo dall’idea del francese Louis De Broglie secondo cui alcune particelle possano essere descritte come onde, simili a increspature su una superficie d’acqua o su una corda sferzata, Schrödinger nel 1926 si inventa un’equazione che descrive la traiettoria dell’elettrone come se fosse un’onda che si diffonde, e che nell'articolo racconta come un processo di vibrazione nell'atomo, una distribuzione della carica elettrica dell'atomo nello spazio tridimensionale.

La meccanica ondulatoria di Schrödinger è una versione della fisica quantistica alternativa alla meccanica delle matrici di Heisnberg, ma le due formulazioni sono equivalenti: entrambe predicono in modo corretto il comportamento dell’elettrone, in accordo con il modello atomico di Bohr (più correttamente di Bohr-Sommerfeld).

Oltre a fornire uno strumento matematico più gestibile delle matrici, l'equazione di Schrödinger ha il merito di restituire un'immagine intuitiva del fenomeno che tratta. Ma quell'immagine è ancora solo un'approssimazione di una realtà più complessa da afferrare. Born si accorge che l’interpretazione ondulatoria di Schrödinger, così come poi le matrici di Heisenberg, non stanno davvero descrivendo il movimento dell’elettrone: stanno solo indicando (seppur in modo molto preciso) la probabilità di trovare l’elettrone in un determinato posto, con una certa energia.

Nel giro di soli due anni, dal lavoro pionieristico di Heisenberg del 1925, vengono pubblicati quasi 200 articoli di meccanica quantistica sulle riviste di fisica e chimica: grazie alla meccanica quantistica viene spiegato il decadimento radioattivo degli atomi e come i metalli conducono l'elettricità. Su più fronti è una vera rivoluzione, ma al contempo un'indigestione intellettuale, perché in pochissimi riescono davvero a starci dietro. Sempre Heisenberg, nel 1927, delinea il celebre principio di indeterminazione, secondo cui non si può conoscere la posizione e la velocità (o meglio, il momento) dell'elettrone con precisione assoluta: per avere informazioni sull'una bisogna rinunciare a informazioni sull'altra e viceversa.

Sempre nel 1927 alla conferenza dell'istituto Solvay di Bruxelles si riuniscono i più brillanti fisici dell'epoca (in foto), ma l'unica cosa su cui riescono a concordare è che risulta impossibile visualizzare mentalmente, in modo coerente e univoco, i fenomeni descritti dalle nuove leggi della meccanica quantistica.

Storia, futuro e una sfilza di Nobel

Nonostante ci abbia restituito una realtà più elusiva di quanto non ci potessimo immaginare, la meccanica quantistica si è rivelata nel tempo una teoria scientifica potente, resistente a tutti i tentativi di falsificazione che negli anni le sono stati mossi: è stata messa alla prova e ha sempre superato brillantemente i test di verifica e collaudo.

Le sue applicazioni hanno dato vita a una lista infinita di tecnologie: i semiconduttori di tutti i dispositivi computazionali che quotidianamente usiamo funzionano grazie alla comprensione della meccanica quantistica. Lo stesso vale per i laser che corrono lungo la fibra ottica, senza cui non avremmo internet, o quelli che vengono trasmessi dai satelliti, o ancora i laser utilizzati in ambito sanitario e chirurgico.

Le conoscenze di fisica quantistica hanno anche permesso lo sviluppo dell’arma atomica, peccato originale della dimensione conflittuale del rapporto tra scienza e società contemporanea. Heisenberg divenne il fisico che Hitler mise a capo dello sviluppo della bomba atomica in Germania. Prima di lui però ci arrivarono i fisici del progetto Manhattan, nei laboratori di Los Alamos negli Stati Uniti. Molti di loro erano esuli europei che fuggivano da un’Europa che era diventata inospitale anche per le sue menti più brillanti. Il fascismo, il nazismo e la guerra furono la rovina del Vecchio Continente anche per quanto riguarda il suo primato scientifico, che passò agli Stati Uniti.

Addentrandosi nel nuovo mondo governato dalle regole della quantistica, i fisici sono arrivati a scoprire principi tanto fondamentali quanto difficili da comprendere per le nostre facoltà intuitive, abituate agli oggetti macroscopici. Uno di questi è il principio della sovrapposizione: un sistema quantistico può trovarsi in due o più stati contemporaneamente, come il celebre gatto di Schrödinger, vivo e morto al contempo, finché non lo si osserva.

Un altro principio fondamentale è quello dell’entanglement, per cui due o più particelle intrecciate quantisticamente trattengono informazioni l’una sull’altra anche se separate da lunghissime distanze.

Nella seconda metà del XX secolo questi principi fondamentali si sono alleati con la teoria dell’informazione e hanno dato vita alla teoria dell’informazione quantistica, che oggi ci sta permettendo di sviluppare telecomunicazioni ultra-sicure, sensori ultra-precisi e progettare computer che invece dei bit sfruttano i qubit (quantum bit): la scommessa è che un giorno saranno capaci di una velocità di calcolo, applicabile in alcuni specifici ambiti, inarrivabile per i computer classici.


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Oggi siamo nel bel mezzo della seconda rivoluzione quantistica: dove ci porterà ancora non lo sappiamo, ma a tre dei suoi padri nobili è già stato riconosciuto il premio Nobel per la fisica nel 2022.

Quasi tutti protagonisti della prima rivoluzione quantistica invece sono stati insigniti del Nobel nella prima metà del ‘900: Albert Einstein lo ricevette nel 1921 per aver introdotto il concetto di quanti di luce, studiando i fotoni e scoprendo l’effetto fotoelettrico nel suo annus mirabilis. L’anno successivo, nel 1922, lo vinse Niels Bohr per aver scoperto la struttura dell’atomo. Nel 1929 toccò a De Broglie per aver proposto l’interpretazione ondulatoria. Nel 1932 lo prese Heisenberg per aver fornito la prima formulazione della meccanica quantistica. Nel 1933 lo vinsero Schrödinger e Dirac, nel 1945 Wolfgang Pauli per aver risolto la complessa matematica della formulazione di Heisenberg, Born e Jordan. Proprio Max Born vinse il Nobel nel 1954, per aver avanzato la spiegazione probabilistica, mentre non lo vinse mai Jordan, che durante la seconda guerra mondiale rimase in Germania, fedele al nazismo.

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