CULTURA

Il bosco, le api, la scuola

Lido di Venezia, lungomare dell’Excelsior. Un uomo alza un braccio e indica un gruppo fitto di persone: saranno un centinaio e stanno scattando una serie interminabile di foto ricordo. L’uomo dice ad un amico: “Sono gli abitanti della Valle dei Mocheni. Sono venuti alla Mostra del cinema in gita col pullman, accompagnati dal parroco. Eccolo là, in posa con una parrocchiana. Oggi sono tutti al Lido da protagonisti, attori e comparse della pellicola che abbiamo girato a casa loro”. A parlare è Luca Bigazzi, il direttore della fotografia de La prima neve,  che Andrea Segre ha presentato il 6 settembre a Venezia. Un film che racconta di dolori che s’incontrano nei boschi della valle, e di luci intrappolate fra i rami, di bambini che s’arrampicano, di solitudini, ribellioni e affetti. Un film dove i protagonisti sono le persone e il paesaggio, quasi alla pari. E nel quale racconto e verità si legano in una quotidianità straordinaria, nel lavoro, nelle amicizie, nei sogni, nel pulmino che lascia a terra un bambino svuotato e arrabbiato, innescando così una riflessione, da parte del regista, sul possibile contributo da dare ad una scuola troppo spesso relegata alla marginalità, e a favore della quale è stato avviato un progetto sociale da veicolare attraverso la promozione del film.

È un vivere ai margini che sperimenta anche Dani, togolese in fuga dalla guerra in Libia. Nella casa di accoglienza di Pergine attende  la concessione del permesso di soggiorno e, con quello, il momento di lasciare la montagna trentina in cui si sente intrappolato, e dove è obbligato a convivere con una figlia di cui non riesce a essere padre, paralizzato da un dolore immenso. La tristezza di Dani incontra quella di un bambino, Michele, nel maso del nonno, per il quale il ragazzo africano lavora come falegname. E s’intreccia con quella di Elisa, la madre, su cui il piccolo riversa la rabbia inevitabile per una perdita che non è in grado di elaborare, e di cui lei si fa carico. 

I due protagonisti del film, Dani e Michele

Non è una storia d’integrazione, questa, perché lo spazio che separa le origini dei protagonisti non è rilevante di fronte alla comunanza dei loro sentimenti; al di là degli accadimenti, le loro vicende producono gli stessi effetti, le stesse disperazioni e gli stessi bisogni, e quindi non hanno bisogno di integrarsi, perché sono già la stessa cosa. Commenta il regista: “Avevo voglia che il luogo d’incontro tra questi due dolori che imparano a riconoscersi e a scoprirsi complementari fosse un luogo dove la natura desse modo di sentirsi a casa. Se per Michele quei boschi rappresentano davvero la propria casa, anche Dani entrandovi sente di entrare nella vita del ragazzo”. Il bosco, nella sua enormità, diventa un luogo intimo, domestico. La neve arriverà e lo trasformerà; prima di quel momento c’è un tempo breve e necessario per raccogliere la legna e riparare le arnie; un tempo durante il quale trovare il modo per andare avanti e imparare a comprendere e a scegliere.

“La realtà diventa luogo dell’anima e ospita significati e metafore che lo trascendono,”aggiunge Segre, “la natura diventa teatro”. Appartiene a questo scenario e a questa valle il poetico e grintoso primo attore, il piccolo Matteo Marchel, che interpreta Michele, al suo debutto. “Ho creduto che un racconto così doloroso dovesse essere affidato a qualcuno in grado di sfruttare altre fonti di energia, un bambino che non fosse costretto negli spazi protetti della città, che in realtà poi non proteggono davvero, ma frustrano o bloccano. Ho cercato un bimbo di montagna, capace di giocare nei boschi, di arrampicarsi sugli alberi e di lanciarsi con le liane. Tutti in Trentino mi hanno assicurato che il luogo giusto dove cercare fosse la Valle dei Mocheni”. Un bambino della Valle, e i suoi amici, i suoi compaesani, sono le voci più autentiche del film, in equilibrio fra regia documentaria e finzione. Assieme a loro, attori affermati come Anita Caprioli, Giuseppe Battiston e Jean-Christophe Folly danno vita a un film toccante, dove racconto e scelte estetiche e fotografiche si fondono. “Entrare dentro un bosco e stupirsi di ciò che può accadervi, quando la luce entra, esce, si abbassa, arriva il vento, le foglie d’autunno si muovono in un certo modo. Tutto questo guidava i nostri movimenti e le nostre scelte”, spiega Andrea Segre. E aggiunge un’informazione importante: “Collegato a questo lavoro, con la produzione e ZaLab abbiamo avviato il progetto La prima scuola: una raccolta di fondi per attivare laboratori artistici, non solo di cinema ma anche di teatro e di musica. Questo a favore delle scuole elementari di periferia, come la scuola di Matteo, che sono state massacrate in questi anni di decurtazioni di fondi e risorse, pur avendo un ruolo talmente importante che ci è sembrato naturale che il cinema, e un film che tanto deve ai bambini, potesse lavorare con e per loro”.

Chiara Mezzalira

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