UNIVERSITÀ E SCUOLA

Italia: il lungo inverno del sistema educativo

Un quadro generalmente uniforme che non manca a tratti di sorprendere: è quanto delineano i dati sullo stato della formazione scolastica e universitaria recentemente pubblicati dall’Ocse. I risultati di una serie di rilevazioni, effettuate fra il 2008 e il 2011 nei 34 paesi aderenti all’organizzazione, parlano chiaro: quasi dovunque, il tasso di disoccupazione è cresciuto fino a livelli anche molto alti, e si è ampliato il divario fra i giovani dotati di una buona formazione e quelli che hanno lasciato gli studi precocemente. Un paradigma di questa situazione è l’esperienza italiana: il tasso di disoccupazione per le persone fra i 25 e i 34 anni senza un titolo di scuola superiore è cresciuto in questi anni di 3,6 punti percentuali; per i laureati, invece, è aumentato solo di 2,1 punti, in linea con la media Ocse.

È però nel campo dei finanziamenti all’educazione scolastica che l’Italia si distingue, purtroppo registrando un saldo decisamente negativo. Secondo il rapporto Education at a Glance 2013, infatti, il nostro Paese è l’unico fra tutti gli aderenti all’Ocse a non aver praticamente aumentato la spesa per studente nelle scuole primarie e secondarie fra il 1995 e il 2010: 15 anni in cui l’istruzione italiana si è barcamenata accontentandosi di un +0,5%, dove la media degli altri paesi è un impressionante +62%. Un knock-out, questo, da cui ci si risolleva solo in parte grazie ai dati sulla spesa per studente a livello universitario: in questo caso la crescita è del 39% (grazie soprattutto all’aumento del contributo di fondi privati, fra cui le tasse universitarie), ben sopra la media del 15% per le altre nazioni. Magra consolazione, considerando comunque che spendiamo annualmente 9.950 dollari per studente, contro i 13.528 della media Ocse (dati 2010). Una scelta di austerità di lungo corso, che agli occhi degli osservatori internazionali sembra comunque avvenuta senza che a farne le spese fossero gli studenti. A confermarlo sarebbero i buoni risultati ottenuti nelle valutazioni della ricerca PISA 2009 (Programme for International Student Assessment), secondo le quali i quindicenni italiani mostrerebbero una buona capacità di lettura e rilevanti miglioramenti nell’acquisizione delle materie matematiche e scientifiche; il condizionale è d’obbligo, se consideriamo che tali valutazioni sono fondate su di un’indagine svolta nel periodo precedente al periodo cruciale della crisi, cinque anni fa. Dal rapporto però risulta anche che, nonostante il buon livello culturale degli studenti più giovani, solo il 15% degli italiani fra i 25 e 64 anni sono in possesso di un titolo universitario, a fronte della media del 32% fra gli stati Ocse. Sembra che in Italia il mancato tornaconto economico giochi un ruolo in questa scelta: dati alla mano, i giovani laureati italiani guadagnano solo il 22% in più dei loro coetanei diplomati, ben al di sotto della media oltreconfine (40%).

Nel triennio di pesante crisi 2008-2011 si rileva però nei paesi Ocse un incoraggiante aumento della tendenza a continuare gli studi, individuando nella diminuzione dell’offerta lavorativa la molla verso la scelta, da parte dei giovani, di rimanere sui banchi. Il rischio di essere intrappolati nell’equazione “bassa qualifica-basso guadagno”, che si è aggravato nel periodo in esame, è stato contenuto in nazioni con una distribuzione più ampia e radicata dell’istruzione universitaria, come l’Austria, la Germania, il Lussemburgo e la Svizzera, dove il tasso di disoccupazione è cresciuto a ritmi minori, o è addirittura diminuito.

Nel rapporto stilato dall’organismo internazionale ciò che appare rilevante, al di là delle cifre, è l’attenzione particolare alle scelte dei singoli governi in materia di qualità della spesa per l’istruzione, piuttosto che di quantità; in particolare alle modalità dell’indirizzo dei fondi e alle strategie adottate perché tali spese producano maggiore efficienza. Da qui la ricetta proposta dall’Ocse per uscire dalla crisi senza che sia l’istruzione a subirne le conseguenze: lotta all’abbandono scolastico, orientamento personalizzato alla scelta degli studi, e congiunzione salda fra scuola e lavoro. Una ricetta ben nota in Italia, ma che stenta a sfornare risultati.

Chiara Mezzalira

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